L’alba dei morti viventi ai tempi del distanziamento sociale | BadBuster
Gli zombie di L’alba dei morti viventi fanno ancora paura oggi che assembrarsi in un centro commerciale è una cattiva idea a prescindere?
(se preferite invece Netflix ha in catalogo il remake del film del 2008 firmato da Zack Snyder – questa nozione ha forse un valore simbolico che però lasciamo decidere a voi)
Il manuale d'istruzioni dei morti viventi
L’alba dei morti viventi, o Zombi se preferite il primo titolo con cui fu distribuito in Italia, è uno dei manifesti dell’horror sociale nonché un punto di svolta nella storia del sottogenere “film di zombie”, di tutto il genere “film dell’orrore” e più in generale di quella cosa chiamata “cinema”. È il modello sul quale sono costruiti il 100% dei film di zombie con gente intrappolata in un posto e i morti viventi fuori (il sotto-sottogenere “assedio zombie”) e il 75% dei film di zombie in generale, che dal secondo film della trilogia romeriana hanno preso una tale quantità di spunti trasformandoli in trope e archetipi narrativi riciclati migliaia di volte da trasformare L’alba dei morti viventi da film a manuale di istruzioni.
Sì, ma il consumismo?
“Ovviamente sì” è la risposta breve e scontata: Zombi è molto di più di un film sui centri commerciali e sul consumismo, e basta la prima terrificante mezz’ora, prima ancora dell’arrivo nella fortezza/prigione dove si rinchiuderà il gruppo di protagonisti, per spazzare via qualsiasi concorrenza venuta dopo. A Romero basta un po’ di gente truccata di blu, qualche effetto speciale ultra-gore e fumettosissimo, un sound design aggressivo e spesso stridente e una gran quantità di inquadrature strettissime e angoli di ripresa bizzarri per generare terrore, tensione e fastidio (Roger Ebert scrisse nella sua recensione del film “nessuno ha mai detto che l’arte debba avere buon gusto”), e dal punto di vista della grammatica del genere quello che succede nel primo atto di Zombi è tutto quello che serve per creare infinite variazioni sul tema, come dimostra, be’, la storia dei film di zombie.
Però, però: come si fa a parlare di questo film senza citare il centro commerciale? Senza parlare di satira, della folla sbavante che si pigia contro le vetrine con un solo pensiero fisso per la testa e del limpidissimo parallelo con quello che accade nel mondo ogni volta che ci sono i saldi? Oggi il vero terrore del lungo assedio nel Monroeville Mall è quello generato dagli assembramenti, dal vedere masse di gente affetta da un virus che si affollano in uno spazio circoscritto – e senza mascherine! Zombi era una critica piuttosto esplicita alla società dei consumi: potrà mai avere lo stesso impatto oggi che l’acquisto compulsivo si è spostato in gran parte online, nella solitudine di un account Amazon o di un conto su PayPal?
Virologi e mascherine
Di nuovo: la risposta è sì, e le motivazioni vanno ricercate non tanto in quei particolari che sono invecchiati male e oggi ci sembrano anacronistici, quanto piuttosto in quelli che sono validi ancora oggi, a dimostrazione che Romero aveva capito molto di più su come funziona la nostra società di un semplice “il consumismo è spersonalizzante”. Per esempio: Zombi si apre con uno scienziato che, in diretta TV, dice una serie di cose scomode su come difendersi da questo virus, e viene sbeffeggiato e criticato e cacciato a calci dallo studio nonostante abbia la ragione, e la scienza, dalla sua. Subito dopo: l’effetto della sfiducia generalizzata verso le autorità e i c.d. esperti è alla base della sequenza nel condominio (quella di cui qualche anno dopo Jaume Balagueró e Paco Plaza fecero un remake esteso chiamandolo [REC]), abitato da gente che non vuole consegnare i propri morti alle forze dell’ordine per mancanza di fiducia, e che diventa così vittima di un doppio massacro – da parte degli zombie e da parte degli SWAT, che nel momento in cui si trovano in un posto abitato prevalentemente da non-bianchi non si trattengono dallo sparare a qualsiasi cosa si muova.
Andiamo avanti: il gruppo si forma e si mette in viaggio in cerca di un rifugio sicuro; e scopre così che i luoghi dove il virus ha colpito più duramente sono le città, mentre le comunità rurali se la cavano benissimo, grazie mille, anche perché armate fino ai denti; e se quest’ultimo dettaglio non è applicabile alla nostra attuale situazione per evidenti motivi, tutto il resto suona familiare: il problema, sembra dire Romero oggi che i centri commerciali sono vuoti o nella migliore delle ipotesi pieni di poca gente socialmente distanziata, non è tanto l’assembrarsi per abbeverarsi alla fonte dello shopping, quanto l’assembrarsi in generale. Ed è ovvio che Zombi non vuole essere un manuale di pratiche igienico-sanitare per prevenire una pandemia, ma c’è un legame evidente tra quello che voleva dire Romero e quello che stiamo vivendo oggi: e cioè che la massa informe e anonima è un problema, in generale, a prescindere, virus o meno. C’è molto sogno americano nella voglia di affermazione della propria individualità che anima i quattro protagonisti del film, un’aspirazione che oggi si potrebbe riadattare in un più generico ma sempre efficace “non essere una pecora nel gregge” o qualcosa di simile.
La verità è che la gente non ha mai smesso di fare schifo
Ci sono altri due punti che giocano a favore della tesi “L'alba dei morti viventi non è invecchiato di un giorno”. Il primo riguarda ancora i personaggi, le quattro individualità contrapposte alla massa anonima di zombie che popolano il Monroeville Mall: nessuno di loro è fino in fondo una bella persona, e anzi è legittimo arrivare a provare fastidio se non odio per alcuni di loro. Stephen, Peter, Roger e Francine non sono archetipi, non sono modelli aspirazionali: sono esseri umani, che vogliono sopravvivere non per salvare il mondo o per rispondere a qualche chiamata dall’alto, ma perché non hanno alcuna voglia di morire. E quindi, per esempio, Stephen è un aspirante maschio alfa che viene trasformato all’istante in beta dai suoi due compagni e sfoga le sue frustrazioni comportandosi come un padre-padrone con la compagna Francine; Roger è un onesto soldato che perde la testa e si innamora della violenza che si rivelerà essere la sua condanna, Peter ha una vena di crudeltà che sembra sempre in procinto di venire in superficie, e Francine ha così voglia di liberarsi dell’ombra del compagno che non sempre fa la scelta più oculata.
Il secondo punto è quello che poi caratterizza Zombi tanto quanto la sua satira anti-consumista, ed è il genere di messaggio che verrà poi assimilato dal 137% di chiunque abbia fatto un film di zombie dal 1978 in avanti – e se vi chiedete da dove arriva quel 37% extra la risposta è “The Walking Dead”. Il messaggio è: il vero mostro siamo noi! I motociclisti, certo, ma anche i soldati, gli abitanti del condominio, Stephen, Peter, Roger, Francine, nessuno è immune alla considerazione che uccide tutte le altre considerazioni, all’idea che non sia necessario andare a cercare il male altrove quando ce l’abbiamo dentro dal momento della nostra nascita. Più di ogni altra cosa, e per tornare a noi e alla domanda “cos’ha Romero da dirci oggi?, ”L’alba dei morti viventi è il film che ha aggiunto “non” prima delle parole “andrà tutto bene”.