La zona morta è il miglior adattamento da Stephen King di sempre?
La zona morta è un raro caso di romanzo di Stephen King il cui adattamento cinematografico è all’altezza della fonte
Dice la saggezza popolare che se un film è tratto da un romanzo di Stephen King ci sono ottime probabilità che non sia un granché, e questa possibilità aumenta esponenzialmente se è lo stesso King ad approvare il progetto, mentre si riduce se il Re dice di odiare il film in questione. La zona morta è un esempio perfetto di eccezione che conferma la regola, nonché uno dei migliori tra i film tratti da un romanzo dell’autore di Portland; merito di David Cronenberg, per la prima volta in una versione più appetibile al grande pubblico di quanto fosse stato fin lì, e di Christopher Walken, del quale La zona morta è sostanzialmente un monologo. Non è detto che sia il migliore in assoluto, ma chi dice che non sta sul podio mente, e Johnny Smith se ne accorgerà.
La zona morta e Stephen King
La zona morta, inteso come il romanzo, è uno degli snodi cruciali nella carriera di Stephen King, che dopo aver dato fuoco al mondo con Carrie, Salem’s Lot e Shining, e dopo essersi dedicato a quel magnifico e profetico delirio di onnipotenza che è L’ombra dello scorpione, decise di tirare il freno e scrivere per la prima volta un romanzo nello stile che diventerà sempre più suo con il passare degli anni (e culminerà con IT oppure con Cose preziose, scegliete voi da che parte stare). E quindi un po’ di freno a mano tirato sull’orrore e sui brividi, e tanto spazio al respiro del racconto, alla crescita dei personaggi, a tutti quei dettagli apparentemente futili che però finiscono per dare vita alle storie di King più di tutti i mostri che le abitano.
La zona morta e la versione di David
La confusione intorno alla sceneggiatura era conseguenza della struttura del romanzo di King, che raccontava due storie in parallelo e le faceva convergere nel finale. Nel passaggio da libro a film questa struttura si perde, e l’attenzione si concentra tutta su Johnny Smith (Christopher Walken), un insegnante che rimane coinvolto in un incidente stradale che lo lascia per cinque anni in un coma dal quale si risveglia dotato di premonizione, lettura del futuro e altri poteri psichici analoghi. La sua vicenda viene così suddivisa in tre atti, che assomigliano pericolosamente alle tre parti di un film a episodi, o a un trittico: tutto quello che porta all’incidente di Smith e alla scoperta dei suoi poteri, il suo coinvolgimento nell’arresto del serial killer di Castle Rock (che qui compare per la prima volta in un romanzo di King), e il suo scontro finale con il politico corrotto Greg Stillson.
Ristrutturandola in questo modo, Boam e Cronenberg tolgono a La zona morta una notevole componente di mistero: il romanzo di King è quello che in inglese si chiama page-turner, e il suo costante saltare da una storyline all’altra rende difficile interrompere la lettura. Al contrario, il film di Cronenberg è lento e paziente, e non nasconde mai nulla, preferendo concentrarsi sull’esplorazione dei personaggi e sul dramma di un uomo che possiede poteri ma che non è sicurissimo di sapere a che cosa gli servano e anche se li voglia davvero. È una versione meno horror di uno dei romanzi meno horror di Stephen King, e funziona benissimo perché nell’istante in cui compare in scena Christopher Walken decide che è così devono andare le cose.
“More Walken!”
Non vogliamo fare torti per cui lo mettiamo in chiaro fin da subito: l’intero cast di La zona morta merita applausi. Brooke Adams, che interpreta Sarah, la fidanzata di Johnny che durante il di lui coma sposa un altro, costruisce silenziosamente un personaggio che potrebbe avere connotazioni negative (“ha mollato il protagonista!”) ma in realtà non può non risultare simpatico. Tom Skerritt, che è lo sceriffo di Castle Rock, fa Tom Skerritt, cioè il caratterista di gran lusso, e lo stesso vale per Herbert Lom (che magari ricordate come Dreyfus nei film della Pantera Rosa con Peter Sellers). E Martin Sheen negli untuosi e un po’ mafiosi panni di Greg Stillson, una sorta di Trump ante litteram, è in pieno overacting – la versione buona, quella di un tizio con la licenza di divertirsi e che regala un paio di risate in quello che è altrimenti un dramma serissimo.
Ma è Walken che calamita l’attenzione, monopolizza la scena, scegliete voi l’espressione che preferite. E Cronenberg lo sa, e sacrifica virtuosismi e ricerca stilistica in favore di uno stile più moderato e rigoroso, inondando il suo protagonista di primi piani, riprendendolo da ogni angolo, costruendo ogni scena intorno a lui e alle sue visioni – che potevano essere per Cronenberg un modo per sfogare i suoi istinti sopiti dalle esigenze di copione, e che invece il regista canadese tratta con lo stesso rigore e la stessa attenzione a Walken del resto del film. Tracce del Cronenberg fissato con la violenza e il corpo umano fanno capolino qui e là, soprattutto in una scena che non racconteremo ma che comprende tra l’altro un paio di forbici, ma sono, appunto, tracce: La zona morta è un film interamente al servizio di Christopher Walken e della sua interpretazione, ed è innegabile che sia una scelta vincente. Ancora non siamo sicuri se sia davvero il miglior adattamento di Stephen King di sempre (tra Shining, Carrie, Stand By Me, Le ali della libertà, Misery, Christine c’è l’imbarazzo della scelta), ma di sicuro non ci va lontano.
Qual è secondo voi il miglior adattamento da Stephen King? Ditecelo nei commenti!