La trilogia di Spider-Man dell’MCU ha un solo grande villain: i media
Alla fine della prima trilogia di Spider-Man dell'MCU possiamo dirlo: il filo comune che lega i tre film sono i media come grande nemico.
Le immagini sono spesso un problema per Spider-Man: come lo vede il pubblico? Come una minaccia o come un eroe? E il costume deve incutere timore ai criminali, ma essere anche un amichevole arrampicamuri di quartiere. Peter, scattandosi le foto da solo, cerca per lo meno di avere il controllo su come il suo alter-ego viene raccontato alla città.
Nella nuova trilogia con Tom Holland, non ci sono macchine fotografiche analogiche. Peter apparentemente fa di tutto tranne che il fotografo, tradendo apparentemente lo spirito del personaggio. A ben guardare non è così. Anzi, in questo non è mai stato tanto fedele ai fumetti. John Watts ha adattato la sua propensione alla fotografia e alla cattura delle notizie al mondo contemporaneo e addirittura l’ha messa al centro tematico di tutti e tre i film.
I filmati, nei film di John Watts (e in quelli dei fratelli Russo in cui compare) sono ovunque. Tony Stark scopre l’Uomo Ragno vedendo i filmati su YouTube, a scuola c’è un attivissimo notiziario studentesco, persino Captain America appare in televisione. E questo è solo l’inizio. In Spider-Man: Far From Home, Mysterio è solo un veicolo per il vero villain del film: i media. Per la prima volta l’eroe perde. Perché il piano di Quentin Beck non era sopravvivere allo scontro, ma distruggere la reputazione rendendo il suo avversario un nemico pubblico. Trionfa con una fake news (la colpa dell’attacco a Londra) e uno scoop: l’identità del ragazzo sotto la maschera. Lo concede in esclusiva a un giornale online, il Bugle appunto, non più a un cartaceo.
I tempi cambiano ed è giusto che anche i personaggi seguano il presente declinando, ma non snaturando, i propri elementi costitutivi. Gli occhi della televisione e di internet non sono mai stati così onnipresenti. La maschera che restava l’unico strumento di privacy gli viene strappata via per fare visualizzazioni. Spider-Man come simbolo sarà sempre discusso, ma almeno Peter poteva vivere la sua adolescenza senza essere al centro delle controversie. Invece nel mondo informatizzato e che tutto vede, è impossibile conservare la propria identità. Non quando si compiono azioni clamorose come salvare il mondo da un titano pazzo.
Nell’America e in un occidente in cui i social network influenzano la politica, i pensieri, e addirittura le scelte sulla salute personale, il più grande nemico per Spider-Man non ha la forma di un animale. È l’informazione stessa.
Nella trilogia di Raimi la popolazione aiutava l’eroe in più momenti. Salvandolo da Goblin a furia di sassate nel primo film, trascinandolo sul treno - svenuto dalla fatica - nel secondo. Lo guardano senza maschera e gli dicono “è poco più che un ragazzo” e lo lasciano andare.
Oggi per John Watts l’informazione è potere. Quindi una scena così non è più possibile. Zia May non muore in No Way Home solo per il colpo dell’aliante. Quella è l'azione che le toglie la vita, ma la causa scatenante della reazione a catena è quello che le notizie hanno fatto a suo nipote. L'occhio indiscreto e voyeuristico di un popolo che vuole mettere in crisi i suoi idoli. Che non si fida più. Come ci mostra qualche inquadratura dopo, l’Uomo Ragno è piegato dal dolore e dalle ferite sul tetto di un palazzo. Di fronte a lui un enorme Jameson lo indica come minaccia da catturare. Visivamente la differenza di dimensioni racconta il giornalista come un malvagio pieno di sé che ha quasi sconfitto l’eroe.
Tutto il percorso della origin story nasce, cresce e deriva dalle reazioni di Peter rispetto ai media. A lui importa quello che si dice delle sue azioni. Non lo ammette, ma zia May lo sa: alla fine fa tutto per essere riconosciuto per i suoi poteri. Il consenso lo attira e lo motiva più della fedeltà alla propria etica. È qui che entra la responsabilità: fare qualcosa di giusto anche se impopolare.
Profondamente coerente con la decisione di ripartire con il protagonista più giovane di sempre, la Marvel l’ha fatto confrontare con il vero ostacolo per le nuove generazioni. Sapere gestire la fama improvvisa, i commenti e i giudizi, oltre che la vita perennemente esposta (o esponibile) al pubblico è la sfida del presente. Lui è tutto al contrario di un hikikomori. Non sta in disparte, ma viene posto al centro di una scena enorme e su scala mondiale quando non è ancora pronto a gestire i riflettori.
Il fotografo Peter viene fotografato. Il ragazzo che si filmava, viene ripreso e distorto dai filtri che il cinema ha sulla realtà. Per questo la trilogia di Spider-Man si eleva oltre ad un semplice intrattenimento di fantasia. Dà infatti ai pittoreschi nemici che lo vogliono morto un’arma attualissima, un nuovo potere: la visibilità. Il cinecomic è il luogo giusto per una riflessione di questo tipo. Un genere cinematografico al confine tra la fantasia e l’azione, che si basa proprio su questo continuo “schermo verde” che distorce e racconta menzogne sulla realtà. Lo si cerca proprio per questo suo felice inganno.
Non c’è nulla di più anti neorealista del cinecomic. Eppure è proprio quando ha accettato questa cosa, e ne è diventata consapevole, che la Marvel ha saputo raccontare il mondo vero con chiarezza e immediatezza. Un linguaggio comprensibile a tutti, ma non per questo meno profondo.
Peter Parker, l’uomo qualsiasi, è stato sconfitto dal sistema dell’informazione. Spider-Man anche, ma è riuscito a diventare completo smettendo di chiedersi cosa ne pensava la gente delle sue azioni, e trovando un proprio codice morale interno a cui restare fedele.