La tempesta perfetta è, in effetti, perfetto (o quasi)
La tempesta perfetta è un grandissimo film catastrofico che perde un po’ di abbrivio solo sul finale (ma non è colpa sua)
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La tempesta perfetta e l’accuratezza storica
La questione delle differenze tra realtà e finzione in La tempesta perfetta (e nel libro da cui è ufficialmente tratto) è discussa ormai da quasi un quarto di secolo, al punto da meritarsi un intero paragrafo sulla pagina Wiki del film e da aver scatenato cause legali volute dalle famiglie di due delle vittime. Non è questa la sede per entrare nei dettagli e discutere punto per punto cosa sia stato cambiato e perché; c’è però qualcosa della quale secondo noi vale la pena parlare. Come raccontato già all’epoca, la discrepanza maggiore tra quanto successo e quanto raccontato nel film di Wolfgang Petersen è nella reazione dell’equipaggio all’arrivo dell’evento atmosferico che dà il titolo al film.
Detta più semplicemente: nel film, la ciurma della Andrea Gail si rende conto del pericolo in cui si sta cacciando, e la comunica al personaggio interpretato da Mary Elizabeth Mastrantonio, la quale procede a effettuare una chiamata di emergenza avvertendo le autorità della situazione. Nella realtà, invece, quella chiamata non avvenne mai, e non ci sono indicazioni che la gente a bordo della Andrea Gail sapesse a cosa stava andando incontro. Inesperienza? Superficialità? Sfiga clamorosa? Non lo sapremo mai, il punto è che il modo in cui questo passaggio è interpretato in La tempesta perfetta è dieci volte più potente della realtà, dal punto di vista drammaturgico. Invece di un incidente, il tuffo nella tempesta si trasforma in un atto di coraggio e incoscienza, in una sfida agli elementi, in un tentativo disperato ma temerario di sconfiggere (o almeno di sopravvivere a) qualcosa di incontrollabile e troppo grosso anche solo per essere concepito. È un approccio alla Moby Dick, che mette in soffitta la fredda cronaca per trasformare il film in un’avventura.
E che avventura!
Il segreto di La tempesta perfetta è che, quando quest’avventura comincia e ci sballotta per quasi un’ora tra onde alte come un palazzo e venti che farebbero impallidire Trieste nelle sue giornate peggiori, siamo già da un pezzo anche noi a bordo della Andrea Gail. Quello di Petersen è uno dei più bei ritratti cinematografici che siano mai stati fatti della vita in mare, e in particolare su un trabiccolo mezzo arrugginito che affronta l’oceano nella speranza di tornare sano, salvo e con un ricco bottino ittico utile a far sbarcare il lunario ai disperati che ci abitano. Merito del design dei set, dei tempi che il film si prende per farci conoscere tutti i personaggi, merito degli attori coinvolti e anche del tempo che viene dedicato a raccontare la vita di chi rimane a riva in attesa del ritorno del peschereccio. C’è ovviamente anche un po’ di retorica, ma usata con gusto e parsimonia, quanto basta per regalarci non dei semplici nomi, ma dei personaggi a tutto tondo – tra i quali si annovera anche la stessa Andrea Gail.
E così, quando comincia la tempesta, ci si ritrova a fare il tifo per il capitano Billy Tine e la sua ciurma: è vero che si trovano in una situazione estrema e che avrebbero fatto meglio a evitare, ma La tempesta perfetta fa di tutto per farci capire come mai in realtà non avessero alternative. Ci sono dietro anche discorsi socioeconomici, appena accennati ma sufficienti a non far mai affiorare quel genere di pensiero che da solo è in grado di ammazzare storie del genere – il classico “se la sono cercata”. Vogliamo che la Andrea Gail esca viva dalla tempesta, perché i nostri eroi (fallibili, imperfetti, iracondi, a volte pure un po’ stronzi) se lo meritano.
La tempesta perfetta e il finale imperfetto
Ed è paradossalmente questo il motivo per cui il finale di La tempesta perfetta è il suo punto debole. Di fronte alla fredda verità cronachistica – cioè il fatto che nessuno dei membri dell’equipaggio sopravvisse all’incidente –, Wolfgang Petersen deve inventarsi un modo in qualche modo poetico per chiudere il film. Pensate ad Alive – I sopravvissuti: lì i protagonisti sopravvivono (almeno alcuni di loro), e basta quindi raccontare come sono andate le cose per chiudere il film in modo soddisfacente. La tempesta perfetta non ha questo lusso, e deve quindi puntare su artifici narrativi di ogni genere per non finire come un semplice servizio di telegiornale.
Abbiamo quindi, per esempio, il voiceover di Mark Wahlberg che dà l’addio alla sua amata: i due sono in un certo senso il vero cuore del film, più ancora del capitano interpretato da George Clooney, perché se quest’ultimo è un disperato, un Ahab che sta cercando un’ultima vittoria e che sa che ogni sua uscita in mare potrebbe essere l’ultima, Bobby e Chris sono due giovani pieni di speranza, che aspettano solo l’occasione per mettersi la parentesi “peschereccia” alle spalle e costruirsi una vita insieme. E come fai a raccontare il loro dramma senza almeno un po’ di romantica retorica? Risposta: non lo fai, almeno non in un film d’avventura e disastro come La tempesta perfetta. Insomma: fare le cose come si deve avrebbe tradito le precedenti due ore, ma farle come le ha fatte Petersen è una soluzione un po’ troppo melensa che macchia il dramma di romanticismo, e lascia in bocca un sapore un po’ dolciastro. Come detto all’inizio, in fondo non è colpa di Wolfgang Petersen se La tempesta perfetta non arriva al 10: forse non c’era modo di farlo, e va bene così.