La stanza accanto: la tavolozza di Almodóvar ridipinge la morte nel segno di Hopper e Wyeth

Nel nuovo film di Pedro Almodóvar presentato al Festival di Venezia abbondano i riferimenti all'arte dei grandi pittori americani

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"Ogni opera d'arte è un angolo della creazione visto attraverso un temperamento." Con queste parole, Émile Zola descrive l'essenza della creazione artistica, attraverso un concetto che Pedro Almodóvar abbraccia pienamente nel suo nuovo film, La stanza accanto. Qui, nella storia della malata terminale Martha (Tilda Swinton) accompagnata verso l’estrema soglia dall’amica Ingrid (Julianne Moore), il regista realizza un prodigio visivo trasfigurando la morte in un'esplosione di colori accesi e vibranti che catturano l'occhio dello spettatore in un abbraccio inaspettato.

Anziché abbandonarsi ai consueti toni cupi associati al trapasso, il regista fa emergere il proprio gusto e - per la gioia di Zola - il proprio temperamento, optando per una tavolozza ispirata ai dipinti di quell’Edward Hopper evocato con maestria nella scenografia e nella composizione delle inquadrature. Una scelta audace e originale che non solo conferisce al racconto un'impronta estetica distintiva, ma sovverte con intelligenza le aspettative del pubblico, trasformando la narrazione della morte in un’esperienza sensoriale che sorprende e affascina.

I toni accesi della fotografia di Edu Grau vengono utilizzati per creare una tensione visiva che sfida la tradizionale iconografia della morte come fredda e oscura, donando una nuova dimensione estetica al film, ma sottolineando anche il contrasto tra la vitalità apparente e la desolazione che serpeggia al di sotto della superficie, con lo spettro della mietitrice sempre in agguato. In La stanza accanto, il colore diviene strumento narrativo di per sé: basti pensare alla caratterizzazione delle due protagoniste, i cui abiti ne rispecchiano in toto l’interiorità (soprattutto il verde che connota la Ingrid di Julianne Moore, baluardo di speranza incrollabile di fronte alla morte che la atterrisce).

Una suggestiva scena de La stanza accanto

L’impressionante dialogo tra cinema e arte pittorica non si ferma a Hopper: in un flashback, Almodóvar cita quasi pedissequamente il celebre quadro Il mondo di Christina di Andrew Wyeth, in un tributo che conferma l'intento del regista spagnolo di omaggiare i grandi maestri della pittura americana nel suo primo film in lingua inglese, ricreando atmosfere di solitudine e introspezione che richiamano la potenza emotiva delle opere di questi artisti.

Ecco dunque il linguaggio cinematografico sfruttato per reinterpretare la composizione e l’emotività dei capolavori pittorici d’oltreoceano, creando un nesso tangibile tra le immagini in movimento e la staticità contemplativa della pittura. Omaggiare la grande arte figurativa americana in questo suo primo film negli Stati Uniti non è solo un atto di rispetto, ma anche un segnale della sua volontà di radicare la sua narrazione visiva in un contesto culturale specifico, riconoscendo l'influenza di questi artisti sulla sua stessa visione estetica e narrativa.

Nella costante ricerca di un equilibrio tra la vitalità prorompente di Ingrid e la pacata rassegnazione di Martha, il cineasta spagnolo costruisce una riflessione visiva di campiture piene e sature, una tela coloratissima che enfatizza la natura ambigua e spesso contraddittoria della morte stessa.

Nella continua ricerca di un equilibrio tra la vitalità prorompente di Ingrid e la pacata rassegnazione di Martha, Almodóvar tratteggia una riflessione visiva che va oltre la semplice narrazione cinematografica. Le campiture piene e sature che caratterizzano ogni scena impregnano una tela in cui si intrecciano vita e morte, speranza e disperazione, in un gioco cromatico che esalta l'ambiguità e la contraddittorietà dell'esistenza.

In La stanza accanto, il regista spagnolo riveste quindi l’attesa della morte di significati nuovi, sfidando lo spettatore a guardare oltre la superficie. Ecco dunque la storia di Ingrid e Martha trasfigurarsi in un'esperienza estetica profonda, un viaggio attraverso i colori dell'anima, dove la dipartita, anziché essere un'ombra oscura, si rivela un mosaico di emozioni complesse perfettamente esemplificate dalle tinte contrastanti che connotano le scelte fotografiche di Grau. Un grande omaggio alla grande pittura americana al servizio di una meditazione poetica sulla condizione umana, che consegna allo spettatore una visione ricca e stratificata dell’eterno binomio vita-morte.

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