I Simpson: la spiegazione del viaggio misterioso di Homer e il peperoncino piccante
La puntata allucinata che tramite un viaggio misterioso di Homer esplora nuove forme di animazione e lo strano rapporto con le realtà di I Simpson
Il viaggio misterioso di Homer - I Simpson, ottava stagione, episodio 9
HOMER: “Certo Marge! Tutto è imbarazzante se poi te lo ricordi!”
La dinamica tra Homer e Marge li dipinge come una coppia in cui lui è molto peggiore di lei, incastrata in una relazione che la frustra ma da cui non può separarsi per un sentimento ormai maturato. Come molte donne nella società americana è vincolata al suo ruolo, stretta tra i due fuochi di una vita di insoddisfazioni per uscire dalla quale dovrebbe accettare il fallimento della vita di coppia (per lei una sconfitta personale inaccettabile). Questo fa sì che quando per ragioni drammaturgiche il loro rapporto si incrini o vada in crisi sia lei a mettere in dubbio la relazione e allontanarsi. In Il viaggio misterioso di Homer accade il contrario, è lui ad avere dei dubbi e affrontare un viaggio mistico, che poi è un viaggio dentro se stesso. La risoluzione sarà puerile ma lo svolgimento eccezionale.
Inizia tutto proprio con un’interazione tra loro due. Un parte del giornale è stata tagliata via. Homer riceve una telefonata e Marge passa appositamente con l’aspirapolvere per non fargli sentire cosa gli vogliono dire fino a staccare la presa (“Beh se fosse stato qualcosa di importante l’avrei letto sul giornale”) e infine Marge inizia a fumare in casa per coprire l’odore. Quest’ultimo espediente farà insospettire Homer che, uscito fuori, annusa cipolle, curcuma e cumino e capisce che è il giorno della fiera annuale del peperoncino messicano!
La ragione per la quale Marge cercava di tenerlo nascosto è che ogni anno Homer si ubriaca mettendola in imbarazzo.
Dopo essersi fatta promettere che non berrà niente la famiglia va alla fiera dove Homer è atteso e temuto, l’uomo con lo stomaco a prova di fuoco. Quando tira fuori il suo cucchiaio di legno portato da casa Lenny mormora tra la folla: “Si dice se lo sia intagliato da sé a partire da un cucchiaio molto migliore”. Homer assaggerà tutti i chili esposti senza fare una piega fino a quello assassino del commissario Winchester (preparato nell’ala di massima sicurezza di un manicomio criminale messicano) che gli brucia la lingua al solo contatto. Umiliato dal non essere riuscito a reggerlo si ficcherà la cera in bocca e con quel rivestimento ignifugo trangugerà diversi peperoncini. Tutto quello che accadrà nei successivi 10 minuti saranno visioni e viaggi astrali indotti dall’assunzione sregolata di peperoncini maledetti.
E proprio quei 10 minuti sono il punto di un episodio altrimenti molto standard. Standard è l’inizio, tutto introduzione e mestiere con i personaggi di Springfield che animano la fiera a modo loro (lo stand di Boe, quello kitsch di Ned Flanders, quello spartano di Nelson Muntz), e standard è la chiusa con un pizzico di avventura e un sentimento molto semplice. A scrivere c’è Ken Keeler, meteora della sceneggiatura di I Simpson quasi subito passato a Futurama, il cui episodio più memorabile è quello del film festival di Springfield ma anche responsabile dello scivolone imperdonabile che è Il preside e il povero (convenzionalmente considerato come l’episodio peggiore della serie e l’inizio della fine, curiosamente in italiano ulteriormente peggiorato da quello che forse è il peggior doppiaggio di sempre).
Keeler è il classico laureato in matematica che sceneggia I Simpson ma non ha mai brillato per inventiva. Se si tiene a mente che John Swartzwelder, la mente comica della serie, ha sparso gag praticamente in tutti gli episodi e non solo quelli in cui è accreditato come sceneggiatore (a farci caso molto più spesso è accreditato come Consultant), il merito degli altri dovrebbe stare nel riuscire a creare storie significative. Keeler non era quel tipo di sceneggiatore. Le sue sono storie corrette dalle blande implicazioni che puntano a ribadire piuttosto che ad aggiungere.
Alla fiera accade che il primo fallimentare tentativo con il peperoncino del commissario Winchester spinge Homer a versarsi addosso della birra per spegnere il fuoco in bocca. Quando Marge lo vede equivoca subito. Per resistere ad un secondo tentativo Homer si fodera la bocca di cera e così ne mangia diversi senza problemi, lo stomaco comincia però a dare problemi, arrivano le prime visioni e fugge via. La famiglia torna a casa senza di lui. Marge è furiosa.
Lontano, chissà dove, in un deserto della mente, Homer vaga tra surrealismo e mistica.
L’idea per la puntata nasce dai romanzi sciamanici di Carlos Castaneda, era stato George Meyer ad aver inizialmente proposto un episodio simile, uno che affondasse in quel tipo di immaginario. Come molti sceneggiatori di I Simpson anche Meyer prima di arrivare alla serie era stato parte dell’Harvard Lampoon (la rivista satirica universitaria), aveva scritto per un late show (quello di Letterman nello specifico) e per il Saturday Night Live. A differenza di altri però aveva dato una forma molto concreta alla serie lavorando in diverse posizioni fin dalla primissima stagione. Come sceneggiatore ha scritto Crepes al vino (la puntata in cui Bart va in Francia), uno degli episodi migliori della prima stagione e quello che più annunciava cosa sarebbero diventati I Simpson, ma anche altri che puntavano ai massimi sistemi come Homer l’eretico (quello in cui Homer decide di non andare in chiesa la domenica).
Meyer però aveva avuto questa idea preparando la terza stagione e la gran parte del team creativo aveva giudicato che fosse troppo presto per un episodio di questo tipo (per la cronaca Matt Groening invece avrebbe voluto farlo). Il viaggio astrale di Homer era così rimasto sepolto fino a che i produttori dell’ottava stagione, un momento in cui I Simpson erano in trasformazione perché una parte consistente degli sceneggiatori originali se n’erano andati, non hanno deciso di realizzarlo. Un viaggio sciamanico in tutto e per tutto simile a quelli che vengono raccontati dopo l’assunzione di droghe che però non fosse in nessun modo collegato alle droghe (da cui l’idea del peperoncino).
Il risultato è una puntata molto più visiva del solito, in cui la scrittura fa il lavoro di non ingombrare troppo e fornire i pretesti giusti ad un viaggio tra colori ed esperienze. Non a caso tutta la parte nel deserto immaginario fu animata in America da David Silverman (il regista più attivo di tutta la serie, vero artefice del ritmo, del look e della precisione nei riferimenti visivi di I Simpson). Mentre di solito in America vengono concepite le puntate, inclusi i keyframe e l’animazione è appaltata alla Corea del Sud, per poter controllare al massimo la resa di qualcosa di così lontano dal solito Silverman decide di realizzare in proprio quei 6 minuti, sperimentando anche l’animazione 3D (che già si era vista nell’episodio di Halloween Homer³) per la grande farfalla.
Fuggito dalla fiera dove inizia a vedere tutti deformati (e ognuno gli parla con parole inesistenti di note canzoni, da Goo goo gavoob di Jasper, preso da I Am The Walrus, a Gabba Gabba Hey dei Ramones di Flanders), Homer si specchia in un lago che rimanda un’immagine distorta, incontra una tartaruga che gli indica la strada, sale un piramide Maya, parla con un coyote e infine si risveglia quando sta per essere investito da un treno. Tutto in quell’allucinazione gli pone il dubbio sull’anima gemella. Marge lo è davvero come lui crede? E l’immagine che lo spiega meglio forse è la più centrata di tutte, una che sembra uscita direttamente dal cinema sperimentale e surrealista degli anni ‘60 di Buñuel (ma pure dai sogni di Il posto delle fragole o da uno dei film di Fellini), cioè Marge sempre di spalle. Per quanto Homer le giri intorno per guardarla in volto è come se a 360° fosse sempre di spalle. Inconoscibile, inaffrontabile, incomunicabile.
A doppiare il coyote c’è Johnny Cash anche se è facile capire come mai non fosse la prima scelta. Il primo cui la produzione aveva pensato infatti era Bob Dylan e non stupisce nessuno sapere che Dylan non ha nemmeno dovuto rifiutare, non sono proprio mai riusciti a mettersi in contatto con lui. Sarebbe stata una scelta perfetta non solo per la stranezza della voce di Dylan ma perché del viaggio astrale, della mistica e del sogno lui ha fatto la base di molta della sua produzione sia agli inizi che poi nella fase più spirituale. Ed è normale che Homer fissato com’è con la musica abbia nei riferimenti musicali la sua distorsione mentale.
In generale però è proprio l’idea del deserto come luogo mistico che appartiene alla mitologia americana, il posto della solitudine dove avvengono cose inspiegabili, dove le persone impazziscono o forse sono più a contatto con l’assoluto. La narrativa americana, specie dagli anni ‘60 in poi, trabocca di storie allucinate in cui nel deserto è possibile essere a contatto con il vero sé. Questa è una di quelle.
Tutto questo segmento di soli 6 minuti sui 23 totali dell’episodio definisce la puntata. Pieno di piccole grandi sperimentazioni anche solo di design. Oltre al già citato 3D della farfalla, il coyote mistico ha un character design completamente diverso dal resto di I Simpson, là dove la serie usa linee curve per tutto il coyote è squadrato, ma anche le nuvole con cui si apre la sequenza sono nuvole reali, filmate davvero e integrate nel disegno. Non era la prima volta che I Simpson facevano riferimento al mondo reale (il nostro) e come sempre il live action quando entra nella serie identifica “un altro mondo”, è il sinonimo della rottura dell’equilibrio della realtà.
Il contatto con il nostro mondo e con gli altri mondi dell’animazione e del design è il viaggio astrale, rientrato dal quale Homer si sveglia in un campo da golf, distrutto, dopo aver fatto chissà cosa. Tornato a casa in uno stato impresentabile trova Marge infuriata. Non ha capito che Homer non si era ubriacato ma era stato il peperoncino e questo rafforza l’idea che non sia la sua anima gemella e spingendolo a vagare in cerca di una. Finisce in una cabina telefonica dove fraintende un annuncio per GBM non conoscendo il significato dell’acronimo (Gay Black Male) e avrà una telefonata di cui sentiamo solo la sua parte (“No, non mi piace quello…. e nemmeno quello… e non è che abbia paura ma ora attaccherò ciao!”).
Tutto si chiuderà al faro, dove Homer si dirige pensando di trovare qualcuno di solo come lui e invece troverà un computer (che è quel che accade nell’episodio di Ai confini della realtà intitolato Il vecchio e la caverna). Da lì con un espediente di sceneggiatura un po’ goffo tutti vedono la sua silhouette nel cielo (“Ehi è papà quello?” - “O è lui o Batman sì è davvero lasciato andare”), Marge lo raggiungerà dimostrando di aver capito dove trovarlo solo per quanto lo conosce, parlando capiranno di essere anime gemelle davvero per quanto diverse. E per farlo citano Gli uomini vengono da Marte, Le donne da Venere il saggio americano del 1992 che è stato il libro non di finzione più letto degli anni '90, vero fenomeno di costume e culturale sull'insanabilità dei rapporti di coppia e la profonda differenza che esiste tra uomini e donne. A certificare la ritrovata unione affronteranno una piccola scena d’azione per salvare una nave e il finale sarà all’insegna della stupideria.