La società della neve parla di fede nel modo giusto

La società della neve di Bayona è il film definitivo sul disastro aereo delle Ande, perché è spirituale senza scadere nel predicatorio

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La società della neve è su Netflix

È appena arrivato su Netflix dopo un breve periodo nelle sale di altri Paesi, ma ci sentiamo già di affermare che La società della neve di Juan Antonio Bayona è uno dei migliori survival movie di sempre, magari non il migliore ma sicuramente meritevole di una menzione in una conversazione a base di top 10 o anche top 5. Questo lo rende automaticamente anche il miglior film mai fatto sul disastro aereo delle Ande, il cui rappresentante di lista fino a pochi giorni fa era Alive – Sopravvissuti, che (con tutto il bene per il film di Frank Marshall) Bayona supera a destra facendo anche una pernacchia. Per tanti motivi, il più importante dei quali è legato al modo molto diverso in cui i due film trattano il tema della fede.

La società della neve e il realismo

Partiamo però dagli altri motivi che rendono La società della neve un grandissimo film di sopravvivenza in condizioni estreme, oltre che una versione migliorata di Alive. Innanzitutto c’è una pura e semplice questione di ambizioni e di mezzi tecnici a disposizione: dove Frank Marshall scelse le montagne canadesi della British Columbia per ambientare la sua ricostruzione dell’incidente che coinvolse il volo 571 della Fuerza Aérea Uruguaya, Bayona è andato a girare nei veri luoghi del disastro, e ha strizzato l’impossibile dal budget a sua disposizione (60 milioni di dollari) per girare un film anche di paesaggi e colpi d’occhio, un lavoro che avrebbe meritato un passaggio in sala anche nel nostro Paese, e di essere visto su uno schermo grossissimo.

La tensione verso il realismo di La società della neve si ritrova poi nell’intero film. Il che significa poi che Bayona mette in scena anche le scene più truci e disturbanti senza mai staccare lo sguardo da quello che sta succedendo, e che le sequenze, diciamo così, d’azione sono spettacolari quanto uno stunt di Tom Cruise in un Mission: Impossible a caso. Bayona ha sempre avuto un gran tocco nel dirigere il disastro e nel mettere in scena il caos senza trasformarlo in una sequela di scorciatoie visive; altrove questa sua capacità è stata un po’ soffocata da certi eccessi di melodramma (si veda The Impossible), mentre qui il regista spagnolo può sfogarsi come forse mai in carriera.

I membri della società della neve

C’è poi la questione del cast: dove Marshall aveva puntato su qualche volto noto (Ethan Hawke su tutti) e aveva quindi deciso di bypassare completamente la questione etnica in favore di un’attenzione alla vendibilità presso il pubblico americano, Bayona sa di lavorare in un contesto culturale completamente diverso, almeno da questo punto di vista. Sa che il suo è un nome noto, e che ormai nemmeno gli americani hanno più paura di guardare, ogni tanto, un film senza gente bianca che parla con l’accento di Boston. E quindi sceglie un gruppo di attori sconosciuti quando non direttamente esordienti, e il massimo che si permette di fare è prenderli argentini e fingere che siano uruguayani. E soprattutto elimina il fattore stardom, che in Alive ci permetteva di identificare immediatamente il Vero Protagonista e anche di capire quali ruoli avrebbero avuto gli altri sopravvissuti non chiamati Ethan Hawke.

In La società della neve, invece, l’effetto è opposto, e quasi disorientante all’inizio: c’è una certa uniformità di look e pettinature tra i membri della squadra di rugby, confermata peraltro dalle vere foto degli atleti e prevedibile in un contesto come quello, per cui all’inizio si fa fatica a capire chi sia chi, a quale volto corrisponda quale nome. Questo ha l’effetto (positivo) che impariamo a conoscere i personaggi per quello che fanno, non per chi sono al di fuori del set. Uno dei temi del film è la necessità di giocare di squadra, di riconoscere che chiunque ha un ruolo e un’utilità: c’è chi si occupa dei feriti, chi di raccogliere e razionare il cibo, chi ancora di esplorare le montagne intorno al luogo del disastro. Bayona ci presenta i suoi personaggi sotto questa lente, e in questo modo la società del titolo viene costruita organicamente, non desunta in base a fattori extra-filmici.

La differenza tra fede e predicozzo

E arriviamo quindi a quella che è la grande differenza tra Alive e La società della neve: il primo è un film predicatorio, mentre nel secondo la fede è un elemento definente di tutti i personaggi ma rimane sempre un discorso tra loro, e gestito con spontaneità e senza dargli troppa attenzione. Come scrivevamo al tempo, “Alive – Sopravvissuti vuole sfruttare una situazione estrema per parlare d’altro in un contesto che amplifica la chiarezza e l’incisività di questo altro”: nello specifico, parlare di fede in un luogo dove solo questa ti può salvare, o quasi. È quindi un film verboso e che mette presto in secondo piano il discorso sulla sopravvivenza per farti capire chiaramente che a lui interessa altro: dirti che Dio c’è, è tra queste montagne, solitarie e perfette come solo una sua creazione può essere.

Questo approccio alla faccenda rende Alive un po’ respingente, almeno per chi non ha lo stesso rapporto con la fede – riformulando, non è un film per atei. La società della neve, invece, è un film che parla di un gruppo di ragazzi cattolici per i quali la fede è un tratto essenziale, uno di quelli che li definiscono in quanto esseri umani. Tutti i loro discorsi, le loro riflessioni e anche le loro speranze sono conseguenza della loro fede, come lo è la loro visione del mondo, della situazione specifica nella quale si trovano e anche di alcune scelte che sono costretti a fare (una su tutte l’arcinoto cannibalismo). Ma il film non dà mai l’impressione di volerci dire “questo è il modo giusto di guardare le cose” – semplicemente “questo era il loro modo”.

E quindi tutti i voli pindarici sulla fede, la speranza, la carità, la volontà di Dio, il destino, il libero arbitrio… sono discorsi tra persone che ci credono, che ci vengono presentati e raccontati con tono cronachistico. Non c’è alcun tentativo da parte di Bayona di farci identificare con i suoi protagonisti, solo la voglia di raccontare la loro storia, che rimane ugualmente accessibile anche a chi non ha alcun rapporto con Dio e la fede. È un film che guarda solo a sé stesso, dove Alive invece continua a interrompersi per guardare verso lo schermo e accertarci che lo stiamo seguendo e che ci stiamo convincendo che abbia ragione lui. La società della neve è antropologia della fede, dove Alive è una messa in alta montagna: noi scegliamo senza dubbio il primo approccio.

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