La prova del tempo: 1993, l'anno di Spielberg tra Jurassic Park e Schindler's List

Nel nuovo appuntamento con La prova del tempo parliamo del 1993, l'anno di Steven Spielberg grazie a Jurassic Park e Schindler's List

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  1. Jurassic Park – $357,067,947

  2. Mrs. Doubtfire – $219,195,243

  3. Il fuggitivo – $183,875,760

  4. Il socio – $158,348,367

  5. Insonnia d'amore – $126,680,884

  6. Proposta indecente – $106,614,059

  7. Nel centro del mirino – $102,314,823

  8. Il rapporto Pelican – $100,768,056

  9. Schindler's List – $96,065,768

  10. Cliffhanger – $84,049,211

Il 1993 è l'anno della magnifica doppietta che consacra Steven Spielberg come autore completo. Dopo aver vinto più volte la classifica di fine anno sia come regista (la prima volta nel 1975 con Lo squalo) che come produttore (nel 1985 con Ritorno al futuro), a questo turno straccia la concorrenza con Jurassic Park (il film "commerciale") e trionfa per la prima volta anche agli Oscar grazie a Schindler's List (il film "d'autore"), anch'esso in Top 10.

Jurassic Park si era mangiato tutto: inizialmente non c'era un hype eccessivo, ma tempo che uscirono le prime immagini dei dinosauri e poi il trailer con l'iconico bicchiere d'acqua che vibra e di colpo diventò chiaro a tutti che si trattava di un gol a porta vuota. Il lato tecnico era impressionante, grazie a una fusione di CGI e animatronics che allora lasciava a bocca aperta e ancora oggi è efficacissima; il lato artistico, grazie alla regia esperta di Spielberg, era in cassaforte. E la macchina del marketing si mosse alla perfezione: grande risalto al libro di Crichton (i cui diritti erano stati acquistati da Spielberg stesso prima ancora della sua pubblicazione nel 1990), e dino-mania sparpagliata a invadere letteralmente ovunque, inclusi notoriamente i menù del McDonald. Il risultato batte in volata il record mondiale di incassi di E.T. (che a suo tempo aveva restituito a Spielberg la vetta del box office che Guerre stellari aveva soffiato a Lo squalo).

E senza Jurassic Park non avremmo Schindler's List, film di tre ore in bianco e nero sull'olocausto, capitanato da un solido e stimato attore come Liam Neeson che però non era ancora una star: Spielberg, che a inizio carriera era noto per sforare spesso tempi e budget, finì le riprese di Jurassic Park con dodici giorni in anticipo pur di iniziare il prima possibile a lavorare al progetto a cui teneva veramente. Dopo il clamoroso snob ai tempi di Il colore viola, che tornò a casa a mani vuote nonostante nove nomination, Schindler's List frutta a Spielberg il suo primo Oscar per un totale di sette (e Jurassic Park ne porta a casa altri tre nel reparto tecnico). Al box office di fine anno lo troviamo a un dignitosissimo nono posto.

A distanza di sicurezza, al secondo posto della Top 10, troviamo l'ennesimo trionfo di Robin Williams qui diretto da un Chris Columbus in serie positiva dopo Mamma ho perso l'aereo. Dopo Tootsie, Mrs. Doubtfire dimostra che, piuttosto che dare un ruolo da protagonista a una donna over 35, Hollywood fa travestire un uomo (sto ovviamente scherzando, ma solo fino a un certo punto).

Chiude il podio Il fuggitivo, all'apparenza uno star vehicle piuttosto generico per Harrison Ford, nei fatti un action solidissimo sostenuto dalla regia impeccabile di Andrew Davis (Trappola in alto mare) e da Tommy Lee Jones (pure lui Trappola in alto mare). L'impatto fu tale che divenne il raro action a ottenere una nomination agli Oscar come Miglior Film, con Tommy Lee Jones che addirittura soffia la statuetta al Ralph Fiennes di Schindler's List.

Al quarto e all'ottavo posto troviamo un'altra clamorosa doppietta: di un regista? Di un attore? No, di uno scrittore: è l'anno in cui esplode John Grisham, i cui legal thriller godranno per tutti gli anni '90 di trasposizioni dal pedigree prestigioso. Il socio, dal suo romanzo più noto, vede come protagonista Tom Cruise per la regia di Sidney Pollack (Oscar per La mia Africa); Il rapporto Pelican vede invece Julia Roberts diretta da Alan J. Pakula (Tutti gli uomini del Presidente, Presunto innocente).

insonnia d'amore

Quinto posto per Insonnia d'amore, che vede Meg Ryan capitalizzare finalmente sul successo di Harry ti presento Sally e iniziare ufficialmente il filotto di commedie romantiche che, per tutto il decennio, la vedranno affermarsi come la regina incontrastata del genere. Nei panni di una versione più accettabile e meno nevrotica di Billy Crystal, troviamo invece un Tom Hanks che da comico trova ufficialmente la riabilitazione ad attore completo: è l'inizio del percorso che lo porterà a diventare uno degli attori più amati d'America di tutti i tempi.

Al sesto ritroviamo la vecchia conoscenza Adrian Lyne, specializzato in film controversi di successo (altalenante in USA, ma costante in Italia). È il turno del famigerato Proposta indecente, interamente costruito sul "cosa faresti se un miliardario ti offrisse un milione di dollari per andare a letto con te pur sapendo che sei sposata e anzi, discutine pure col partner?" che uno direbbe che ha più senso come sondaggio che come trama per un film, e invece. Giova probabilmente per il pubblico americano che la domanda sia resa facile dal fatto che il miliardario in questione sia Robert Redford, e forse anche che di sesso se ne veda poco.

Al settimo posto, Nel centro del mirino vede Clint Eastwood in uno dei sempre più rari ruoli in cui non è diretto da se stesso: dopo il successo di Gli spietati, il suo personaggio di ex-uomo d'azione che non si vergogna a mostrarsi stanco e fuori forma viene trasportato ai giorni nostri, in cui ingaggia una battaglia con un pazzo psicopatico intento ad attentare la vita del Presidente degli Stati Uniti. Dirige Wolfgang Petersen (La storia infinita), che grazie a questo film si affermerà come uno dei mestieranti action più affidabili del decennio.

Infine, chiude la classifica l'inaspettata resurrezione di Sylvester Stallone con Cliffhanger, un action senza fronzoli in cui tutto gira a puntino, dalla regia di Renny Harlin (Die Hard 2) che spettacolarizza a dovere i paesaggi di montagna (le nostre Dolomiti), a un cast impreziosito da garanzie come John Lithgow e Michael Rooker.

I dimenticati

Tocca parlare di nuovo di Julia Roberts, che sinceramente il film meno celebrato di questa decina è Il rapporto Pelican. Che è un buon film, di quelli che Hollywood sa sfornare in scioltezza quando sono tutti concentrati, ma ormai un po' di seconda fascia considerando che anche in ambito di legal thriller verrà superato qualche anno dopo dal ben più frizzante Erin Brockovich che regalerà alla Roberts persino un Oscar. Ma, come dimostrato anche da Il socio, il 1993 era soprattutto l'anno di John Grisham, che stava vivendo quel tipo di enorme successo improvviso che la maggior parte degli scrittori può solo sognarsi. Sfogliatevi la sua bibiliografia: i suoi primi sette libri sono tutti diventati film dalla produzione di lusso, con almeno una star dall'appeal indiscutibile e spesso anche un grande nome alla regia: Tommy Lee Jones fresco di Oscar e Susan Sarandon per la regia di Joel Schumacher per Il cliente (1994); Sandra Bullock, Samuel L. Jackson, Matthew McConaughey e di nuovo Joel Schumacher per Il tempo di uccidere (1996); Gene Hackman e Faye Dunaway (e il povero Chris O'Donnell) per L'ultimo appello (1996); Matt Damon, Mickey Rourke, Danny DeVito e Jon Voight con nientemeno che la regia di Francis Ford Coppola per L'uomo della pioggia (1997). E tutto come potete vedere nel giro di appena quattro anni (tranne La giuria, con John Cusack, Gene Hackman e Dustin Hoffman, che è del 2003). Nel 1998 scrive addirittura un originale per Robert Altman e Kenneth Branagh (Conflitto di interessi). Insomma: era la nuova formula vincente, e senza neanche la comodità di un franchise fisso con gli stessi personaggi. Ma esaurita la spinta del trend, ce li siamo dimenticati quasi tutti.

Philadelphia 1993

I sottovalutati

Sembrava un'idea acrobatica raccontare la storia dell'amicizia tra un bambino e un'orca, ma funzionò alla grandissima: all'11esimo posto abbiamo Free Willy. Al 12esimo si completa la doppietta personale di Tom Hanks, paragonabile per certi versi a quella di Spielberg: se Insonnia d'amore era il suo film "commerciale", Philadelphia è il dramma a tema AIDS che, oltre a sensibilizzare notevolmente sul tema senza risparmiare colpi duri, lo porta a vincere l'Oscar come Miglior Attore e a rifarsi una reputazione nuova di zecca. Al 13esimo posto il cult Ricomincio da capo, particolarmente rilevante perché per coincidenza il fatidico giorno della marmotta era proprio ieri. Onorevolissimo 18esimo posto per il folle Demolition Man, a confermare che Stallone era rientrato ufficialmente nelle grazie del pubblico.

Nonostante il fiasco del doppio film su Cristoforo Colombo, ecco immediatamente che Hollywood ripropone a breve distanza due film ad argomento identico: è il turno di Wyatt Earp, leggendario sceriffo protagonista di una delle sparatorie più famose della storia americana, quella dell'O.K. Corral. Al 20esimo posto troviamo Tombstone, la versione diretta da George Pan Cosmatos (Rambo 2, Cobra): Wyatt Earp è Kurt Russell, affiancato da Val Kilmer e una serie di facce inossidabili come Sam Elliott, Powers Boothe, Bill Paxton, Michael Biehn, Stephen Lang, Michael Rooker, e nientemeno che Charlton Heston. L'altra versione si chiama Wyatt Earp, deciderà di prendersela un po' più comoda, uscirà nei primi mesi dell'anno seguente e sarà un flop clamoroso. Ve ne parlerò nel prossimo numero.

Al 26esimo posto troviamo Last Action Hero: doveva essere il trionfo definitivo di Schwarzenegger, si rivelerà un ambizioso pastrocchio produttivo dal tono incerto che, uscito disgraziatamente un po' troppo vicino a Jurassic Park, incasserà una buona cifra ma decisamente inferiore alle attese, e diventerà famoso come flop (anche se tecnicamente non lo è). Subito sotto, un cult vero come Nightmare Before Christmas (27).

Dennis la minaccia (24), progetto chiaramente nato per sfruttare il successo di Mamma ho perso l'aereo, incassa meglio di L'innocenza del diavolo (32), strana e controversa scelta di Macaulay Culkin di buttarsi sull'horror.

Altri film degno di nota che forse ricordate più facilmente del Rapporto Pelican: Un giorno di ordinaria follia (37); Lezioni di piano (38) che fece vincere un Oscar come Miglior Attrice non protagonista alla giovanissima Anna Paquin (11 anni); Carlito's Way (42); Dragon: la storia di Bruce Lee (47) dal futuro regista di Fast & Furious; Senza tregua (49), esordio di John Woo a Hollywood con Van Damme protagonista; L'età dell'innocenza (51) di Scorsese; Un mondo perfetto (54) di Clint Eastwood, con Kevin Costner che azzardava un ruolo diverso dal solito. Ormai dimenticato Sliver (45), il thriller erotico con cui Sharon Stone si ripresentava dopo Basic Instinct.

Molto più giù troviamo cult come Una vita al massimo (98), ovvero Tony Scott che dirige uno script di Quentin Tarantino, su cui era appena iniziato il passaparola; L'armata delle tenebre di Sam Raimi (101); Matinée di Joe Dante (114); La vita è un sogno di RIchard Linklater con gli ancora sconosciuti Matthew McConaughey e Milla Jovovich (121); America oggi di Robert Altman (134); El Mariachi (170), il famoso esordio di Robert Rodriguez girato con appena 7000 dollari, che incassa 2 milioni.

Il grande flop

Per assurdo il flop più famoso dell'anno è Last Action Hero che invece andò sostanzialmente in pari. Le aspettative però lo vedevano in cima alla classifica, e le leggende su come tutta la lavorazione venne gestita male si moltiplicano, tra una sceneggiatura riscritta e ritoccata multiple volte da una dozzina di persone diverse (Shane Black, William Goldman, persino Carrie Fisher), indecisioni sul target, folli spese di marketing e una data di uscita disgraziatamente vicina a quella di Jurassic Park. Buffo comunque che Arnold schianti di colpo proprio nell'anno in cui Stallone ritorna improvvisamente in voga.

Diversi sequel viaggiano più o meno violentemente sotto le attese: Sister Act 2 (19), La famiglia Addams 2 (28), Fusi di testa 2 (29), Tartarughe Ninja III (34), Sorveglianza speciale 2 (74), Weekend con il morto 2 (94), L'armata delle tenebre ovvero il terzo Evil Dead di Sam Raimi (101), Robocop 3 (107), Senti chi parla 3 (109). Il figlio della pantera rosa (164) è la pazza idea di Blake Edwards di sostituire Peter Sellers con Roberto Benigni: gli incassi americani sono disastrosi, ma quelli italiani sono quasi sufficienti a farlo andare in pari.

L'altro flop rumoroso dell'anno è quello di Boxing Helena, esordio alla regia per la 18enne Jennifer Lynch, figlia di David. La storia è quella di un chirurgo geloso che amputa braccia e gambe alla sua amante: non commercialissima, ma il film balza alle cronache perché prima Madonna e poi Kim Basinger accettano inizialmente il ruolo per poi ritirarsi all'ultimo momento. Kim Basinger notoriamente venne denunciata e fu costretta a risarcire la produzione per 8 milioni, andando sostanzialmente in bancarotta. Il film viene infine girato da Sherilynn Fenn (Twin Peaks) e incassa meno di due milioni (174), ma probabilmente la causa vinta contro Kim Basinger fu sufficiente a rientrare delle spese.

Alla fine il "vincitore" è il leggendario Super Mario Bros, ovvero il primo film della storia tratto da un videogioco. L'idea folle era venuta all'insospettabile Roland Joffé (Mission), ma la direzione creativa fu da subito un disastro, tra sceneggiature riscritte, registi intrattabili (Rocky Morton e Annabel Jankel, probabilmente assunti per via di Max Headroom), mitologia reinventata e target di conseguenza incerto. Si narra che Dennis Hopper si lanciasse in folli litigi perché non capiva la storia, e che il protagonista Bob Hoskins si ubriacasse ogni giorno per sopravvivere alle riprese. Costato 48 milioni, ne incassa 21.

robin hood un uomo in calzamaglia

Il tema dell'anno

Il trend più interessante a livello grandi incassi è sicuramente l'esplosione di John Grisham. Ma un altro trend stava vivendo un periodo d'oro: le parodie demenziali. La loro genesi, come grammatica, ritmo e tono surreale, si deve sostanzialmente a Mel Brooks e al trio Zucker/Abrahams/Zucker, che si influenzavano a vicenda. Ma è con il successo di La pallottola spuntata che il filone trova la spinta definitiva: Leslie Nielsen, ultrasessantenne canadese che fino a quel momento aveva avuto una serissima carriera da caratterista ed era noto soprattutto per il classicissimo sci-fi Il pianeta proibito (1956), ne diventa il portabandiera. Dopo Balle spaziali (1987), Mel Brooks torna nel 1993 con Robin Hood: un uomo in calzamaglia (posizione 46) che se la gioca di fresca attualità con la versione seria di Kevin Costner di due anni prima; nel 1995 ingaggerà Leslie Nielsen per Dracula: morto e contento. Il trio ZAZ si divide nell'87: David Zucker gira i primi due film della Pallottola spuntata, poi si perde e si ritroverà oltre dieci anni dopo a girare Scary Movie 3, 4 e 5; Jim Abrahams prova a cambiare genere ma poi torna con Hot Shots! (1991) che parodizza Top Gun, e Hot Shots – Part Deux (posizione 41) che se la prende con Rambo, dopodiché ci riproverà una volta sola cinque anni dopo con Jane Austen's Mafia!; Jerry Zucker è l'unico ad abbandonare il genere con successo grazie agli incassi incredibili di Ghost (1990), a cui segue però il flop di Il primo cavaliere (1995) e il dimenticabile Rat Race (2001). Leslie Nielsen, fuori da La pallottola spuntata, appare anche in Riposseduta (1990, parodia dell'Esorcista), il già citato Dracula di Mel Brooks (1995), Spia e lascia spiare (1996) e Il fuggitivo della missione impossibile (1998). Nel 1993, oltre al Robin Hood di Mel Brooks e Hot Shots 2, escono anche Palle in canna (posizione 56) che vorrebbe sfottere Arma letale ma in realtà pesca un po' a caso tra i film più popolari degli ultimi anni, e Fatal Instinct (122) del veterano Carl Reiner, che se la prende forse un po' troppo presto con i sexy thriller alla Basic Instinct.

E in Italia?

Classifica tutto sommato fedele, con Jurassic Park saldo in testa seguito da Aladdin uscito da noi in ritardo. In compenso esce in anticipo Il piccolo Buddha di Bertolucci, con Keanu Reeves, e si piazza all'ottavo posto: in USA uscirà l'anno seguente senza lasciare tracce. Il figlio della pantera rosa con Benigni incassa bene, sesto posto, ma risulta deludente se confrontato ai film che Benigni si scrive e dirige da solo. Sliver, con una Sharon Stone che da noi grazie a Basic Instinct era già diventata una diva venerata e rispettata quanto una Rita Hayworth, va decisamente meglio che negli USA e si piazza al dodicesimo posto.

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