La prova del tempo: 1985, Ritorno al futuro batte Rambo e Rocky

Nel nuovo appuntamento con la nostra rubrica dedicata alla storia del box-office parliamo del 1985, dominato da Ritorno al Futuro

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  1. Ritorno al futuro - $210,609,762

  2. Rambo 2: la vendetta - $150,415,432

  3. Rocky IV - $127,873,716

  4. Il colore viola - $94,175,854

  5. La mia Africa - $87,071,205

  6. Cocoon - $76,113,124

  7. Il gioiello del Nilo - $75,973,200

  8. Witness - Il testimone - $68,706,993

  9. I Goonies - $61,389,680

  10. Spie come noi - $60,088,980

Il primo posto oggi ci sembra ovvio: Ritorno al futuro è un credibile concorrente per il primato fra i classici più amati dell'intero decennio. Mica male per un film che vi inietta nel cervello la parola "incesto" per gran parte della sua durata. Le sue peripezie produttive sono ormai note: l'idea parte da Bob Gale, che leggendo un vecchio annuario scolastico inizia a chiedersi se lui e suo padre sarebbero diventati amici, e da lì l'associazione di pensieri lo porta verso un'altra direzione. Robert Zemeckis rinuncia al sequel del suo grande successo dell'anno precedente, All'inseguimento della pietra verde, per girare un altro film prodotto da Spielberg. La sua prima scelta è Michael J. Fox, allora occupato con la sit-com Casa Keaton: costretto a rinunciare, sceglie l'altrettanto sconosciuto Eric Stoltz, ma non funziona e dopo un paio di settimane lo licenzia. Nel frattempo si libera Fox, e si compie la storia.

Ma se il film dell'anno è Ritorno al futuro, l'attore dell'anno è senza dubbio Sylvester Stallone che piazza una clamorosa doppietta al secondo e terzo posto. Fu una sua idea trasformare un killer psicopatico in un eroe incompreso nel primo Rambo, è di nuovo una sua idea – dopo un primo script di James Cameron, bocciato, che virava verso il buddy movie alla 48 ore – trasformare un action-drama di denuncia in un film d'azione pieno e quasi supereroistico: Rambo 2: la vendetta, come già successo con Rocky nove anni prima, catapulta il suo protagonista fuori dai confini del cinema fino al linguaggio quotidiano, il suo nome ancora oggi sinonimo di eroismo militare violento/vendicativo. Anticipato nei temi di rivalsa verso il Vietnam da Rombo di tuono con Chuck Norris, li esalta definitivamente dando benzina a un sottogenere che avrà vita lunghissima. E sei mesi dopo esce Rocky IV, l'immediata estremizzazione/stilizzazione delle innovazioni stilistiche del capitolo precedente, quasi un videoclip continuo con un cattivo ai limiti del cartone animato, che come Rambo 2 coglie in pieno i sentimenti del suo tempo rimpiazzando la vecchia rivalità col Vietnam con la più attuale guerra fredda contro la Russia, ed è un nuovo trionfo. Stallone è di colpo in piena sintonia con il pubblico e, dimenticate le fatiche passate, sembra invincibile.

L'autore dell'anno? Beh, sempre Steven Spielberg. C'è il suo zampino produttivo in Ritorno al futuro, ed è sua la regia del film al quarto posto: Il colore viola è un dramma ambientato in una comunità afroamericana lungo quattro decenni – una mossa azzardata che viene premiata al botteghino ma verrà beffata agli Oscar, dove su undici nomination non vincerà nulla. Ed è di nuovo prodotto da lui il film al nono posto: è lì che si piazzano I Goonies, diretti dal Richard Donner di Superman. È una posizione di tutto rispetto considerando anche il cast di sconosciuti, ma la fama di cui gode oggi vi ha probabilmente fatto pensare di trovarli più su.

Sotto Il colore viola, a rafforzare un distacco netto con l'escapismo del podio, troviamo il film che lo batterà agli Oscar: La mia Africa, con la coppia Redford/Streep.

Al sesto posto forse il primo film che coglie in pieno lo spirito delle produzioni di Spielberg senza bisogno di coinvolgerlo in nessun modo: Cocoon è la storia di un gruppo di anzianotti che ritrovano energie giovanili dopo essere stati in contatto con bozzoli di alieni, ed è la conferma del talento registico di Ron Howard dopo Splash.

Al settimo paga l'interesse per Il gioiello del Nilo, frettoloso sequel di All'inseguimento della pietra verde che non si farà ricordare. All'ottavo al contrario si lascia guidare da un ottimo passaparola il thriller Witness, con Harrison Ford infiltrato nella comunità Amish.

Chiude la classifica Spie come noi, piazzamento decisamente ottimo per quello che oggi viene considerato un John Landis minore.

spie come noi

I dimenticati

Onestamente, in confronto alla Top 10 del 1984 almeno metà di questi film farebbero la figura dei dimenticati. Fece molto rumore la sfida agli Oscar tra Il colore viola e La mia Africa, eppure oggi si ricordano a malapena entrambi, il primo eclissato dalla rivincita di Spielberg con Schindler's List e il secondo dalla filmografia dei suoi protagonisti che non sono a corto di veri capolavori. E come Splash l'anno prima, Witness è un film solidissimo i cui responsabili sono ricordati principalmente per altre cose (per Ford c'è l'imbarazzo della scelta, Weir ha L'attimo fuggente e Truman Show, la McGillis un anno dopo si infilò in Top Gun). Si potrebbe parlare di Il gioiello del Nilo, classico caso di gente che accorre in massa a vedere un film che gli interessa per poi dimenticarlo delusa quando ormai l'ha lanciato in classifica. E invece ci tengo a dilungarmi su Spie come noi, non fosse altro che per il fatto che spiccioli più spiccioli meno incassò tanto quanto i Blues Brothers, ma oggi non escono esattamente cofanetti deluxe commemorativi in suo onore e nessuno ha mai chiesto un sequel. Puro star power: Dan Aykroyd era freschissimo di Ghostbusters, Landis veniva da Una poltrona per due (ma anche dal leggendario video di Thriller di Michael Jackson), Chevy Chase era nel suo anno d'oro e come vedremo qui sotto ha altri due film fra i primi 15. I tre erano in forma ma con l'ispirazione a corrente alternata, e probabilmente il fatto che si trattasse di una debole satira della guerra fredda è ciò che lo aiutò sia ad avere qualche extra-incasso allora che ad essere gradualmente ritenuto superfluo in seguito. Ma per dire, sullo stesso tema lo stesso trucco non riuscì a Tom Hanks (L’uomo con una scarpa rossa, posizione 93).

I sottovalutati

Noi in Italia ce ne siamo a malapena accorti, ma negli USA di colpo Chevy Chase calamita milioni qualsiasi cosa tocchi, e dopo Spie come noi al decimo posto troviamo Fletch al 12esimo e Ma guarda un po' 'sti Americani (sequel di National Lampoon's Vacation) al 14esimo. Non fosse già l'anno di Stallone, sarebbe il suo. In mezzo, incassa bene Scuola di polizia 2 (11esimo) e finisce senza botti la lunga parentesi di Roger Moore come James Bond in 007 Bersaglio mobile (13esimo). Al 15esimo Mask è una vendetta agrodolce per Eric Stoltz, che dopo aver perso il ruolo in Ritorno al futuro si rifà con un film che porta comunque ottimi incassi e gli fa guadagnare una nomination ai Golden Globe, ma che gli nasconde per tutto il tempo il volto dietro un pesante trucco in stile Elephant Man. Al 16esimo Breakfast Club fa esplodere definitivamente la teen comedy di marca John Hughes, mentre al 19esimo inizia col botto la carriera di Tim Burton che porta sul grande schermo le surreali avventure del comico teatrale Pee-Wee Herman. Al 21esimo fa da spartiacque una re-release di E.T. che porta a casa altri 40 milioni in scioltezza.

Sotto c'è di tutto. George Miller porta la saga di Mad Max a Hollywood con la raccomandazione di Tina Turner e si piazza alla posizione 24. Commando (posizione 25) conferma l'appeal di Schwarzenegger al botteghino prendendo la formula di Rambo e stirandola al volo verso estremi surreali e già autoironici; lo segue a distanza il serissimo prequel di Rombo di tuono, sempre con Chuck Norris, alla 77 (vanno meglio, con l'improvvisamente attivissimo Norris, Codice del silenzio alla 44 e Invasion USA alla 50). Voglia di vincere alla 26 conferma Michael J. Fox come nuovo astro nascente. Non esaltanti gli incassi di altri due film oggi molto amati: Piramide di paura è alla 46, Ladyhawke alla 48. In mezzo, dopo il flop storico di I Cancelli del cielo si riaffaccia timidamente Michael Cimino con L'anno del dragone (47). Dal lato horror Nightmare parte 2 (30) è il più visto dell'anno seguito da Ammazzavampiri (35), mentre Venerdì 13 parte 5 (41) viene superato anche dal film sugli Orsetti del cuore (40). Il ritorno dei morti viventi, semi-parodia della saga di zombi di Romero, si piazza alla 59 superando Romero stesso che con Il giorno degli zombi si ferma alla 115. Ancora più sotto un cult oggi amatissimo come Re-Animator (140).

Il grande flop

Penalizzato da litigi produttivi diventati leggendari, con Terry Gilliam che nasconde il suo director's cut e lo fa proiettare clandestinamente ai festival, Brazil viene distribuito male e si ferma alla posizione 85, perdendo qualche milione che recupererà poi in homevideo grazie alla fama crescente di capolavoro. Va male anche Il mio nome è Remo Williams (58), tentativo di creare un nuovo franchise diretto da Guy Hamilton, uno dei registi storici della saga di James Bond. Pure peggio va a due film Disney che avevano azzardato un'inaspettata impronta horror: Taron e la pentola magica, all'epoca il film di animazione più costoso di sempre, finisce la sua corsa alla posizione 42 recuperando appena metà budget, mentre Nel fantastico mondo di Oz si ferma alla posizione 78. Baby è una specie di proto-Jurassic Park senza il lato thriller e affossato da dinosauri pupazzi francamente terribili, e lo troviamo alla 56. E va malissimo anche un altro cult oggi molto amato come Explorers, il progetto che Joe Dante aveva fatto seguire ai Gremlins: 25 milioni di budget, 9 di incasso, posizione 86.

Sono altri due film però a contendersi il titolo di flop più grosso dell'anno. La vera storia di Babbo Natale è lo spettacolare tentativo dei produttori di Superman di trasformare Babbo Natale nel protagonista di una specie di saga supereroica, vanta il budget più grosso dell'anno e Dudley Moore nel ruolo di un elfo, ma si ferma alla posizione 39 perdendo oltre la metà dei costi. Revolution è il progetto con cui Hugh Hudson segue il successo del suo precedente Momenti di gloria, ma soffre di problemi di tutti i tipi, da scommesse che non funzionano (Al Pacino con l'accento scozzese!) a incidenti di set, ad ambizioni stilistiche/espressive che risultano confusionarie. Viene bocciato male da chiunque e non incassa manco mezzo milione su un budget di 28. Per la delusione, Al Pacino si prenderà una pausa dal cinema di quattro anni.

Il tema dell'anno

Il grande protagonista è Ronald Reagan. Viene esplicitamente citato da una famosa battuta di Ritorno al futuro, e per quanto Stallone si sia sempre dichiarato apolitico è fin troppo facile far corrispondere i messaggi di Rambo 2 e Rocky IV con la politica portata avanti dall'allora Presidente/attore. È a suo modo il filo conduttore che collega il podio. Nel resto della classifica è possibile notare altri sottofiloni, specie quello spielberghiano sia diretto (Ritorno al futuro, I Goonies, Piramide di paura) che derivativo (Cocoon, Explorers), ma ce n'è uno in particolare che mi ha sempre affascinato: sulla tarda scia del successo di War Games, fra il 12 luglio e il 9 di agosto escono ben quattro film a tema giovani nerd esperti di computer alla riscossa. Si tratta di Explorers (86), Scuola di geni (66), La donna esplosiva (38) e Ritorno dalla quarta dimensione (121). Se poi volete includere nel filone anche Ritorno al futuro, la finestra si allarga appena al 3 luglio. A volte, a Hollywood, girano le stesse dritte e pensano tutti alla stessa cosa nello stesso momento.

E in Italia?

Il podio si ribalta e i due film di Stallone battono Ritorno al futuro. È un trionfo, soprattutto per la saga di Rocky che prima di quel momento non era mai entrata nella Top 10 italiana. Funziona benone La mia Africa, ma non c'è traccia di interesse per Il colore viola di Spielberg. Qui è anche dove mi tocca confessare che, per via del fatto che i cinema italiani chiudevano d'estate, le classifiche di box-office nostrane a differenza di quelle USA prendono in realtà in esame la stagione a cavallo fra due anni (in questo caso '85-'86), il che di solito viene equilibrato dal ritardo con cui i grandi film hollywoodiani arrivavano dalle nostre parti. Ma per la prima volta sfonda sul podio un film americano uscito in realtà in contemporanea a febbraio 1986: si tratta di 9 settimane e mezzo, specie di versione soft e patinatissima di Ultimo tango a Parigi, che colpisce i pruriti nostrani al punto da battere persino Ritorno al futuro. In America, nonostante la regia di quell'Adrian Lyne che aveva appena sfondato con Flashdance, è un flop che incassa appena 6 milioni su un budget di 17.

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