La politica di Steven Spielberg: eroi ribelli ma sempre per ragioni personali
Mai idealisti e sempre mossi da qualcosa di personale, gli eroi di Spielberg non fanno che battersi contro il sistema
Raramente racconta figure straordinarie Spielberg, solitamente è più innamorato delle persone comuni e ordinarie animate da desideri comuni e ordinari. E anche quando si dedica a profili eccezionali cerca quanto più possibile di abbassarne la mitologia e scovarne l’ordinarietà. Per lui qualsiasi posizione rispetto alla società, allo stato o alla rettitudine morale non è praticamente mai un principio intellettuale, ma sempre uno umano e personale. Nemmeno Indiana Jones e Oskar Schindler, che si battono contro i nazisti, lo fanno per ragioni intellettuali o per principi etici, quanto per inclinazioni personali e ragioni umane.
I ribelli
Ready Player One non fa eccezione. La lotta per la vittoria in una gara mondiale diventa nella versione di Spielberg un principio umano e personale: salvare un videogioco, la visione di un idolo e una creazione in cui ognuno dei protagonisti ha trovato una vita migliore. È la medesima visione che si trova in film com Amistad o The Post in cui alcuni individui hanno il coraggio e l’urgenza di fare ciò che il sistema non fa, hanno la voglia di fare qualcosa per cambiare il mondo. Sono questi i personaggi di Spielberg che potremmo chiamare i ribelli, ma alla fine vediamo sempre che hanno ragioni personali.
È la medesima spinta che si trova in molti film degli esordi come E.T. e Sugarland Express, in cui qualcuno per affetto si trova a battersi contro un sistema che non odia ma che non può nemmeno rispettare. Oppure è quel che si vede in Lo Squalo, in cui tutta la città unita non vuole chiudere le spiagge per non andare falliti, mentre un uomo solo sa che invece va fatto. Il sistema, con in testa il sindaco gli dà un ordine e lui per salvaguardare i figli decide di disattenderlo.
Così Ready Player One propone la politica individualista di Spielberg in cui rompere le regole è doveroso se è per ragioni umane, in cui il sistema è fatto anche per non essere rispettato e in cui rubare per sfamare i figli non solo è accettabile ma è un obbligo. La polizia non è mai il male in questi film, Spielberg non è un sovversivo, ma nondimeno per l’arco di tempo della storia è il nemico. Che è una posizione complicatissima spiegata sempre con grande semplicità.
Non è insomma uno statalista né è un reazionario come Eastwood o un critico come Spike Lee, nemmeno un arrabbiato come ha saputo essere Coppola. A differenza di tutti gli altri Spielberg vede per prima cosa le esigenze dei singoli. Anche in questioni giganti come schiavitù o libertà d’informazione, per prima cosa ci sono le esigenze delle persone. Esistono delle regole più grandi di quelle degli stati che stanno dentro di noi e sono le uniche a cui dobbiamo rispondere.
Indiana Jones ha un odio per i nazisti che sembra tutto personale, non fa mai tirate morali (al massimo il padre una volta spiega come mai quel che fanno i nazisti è universalmente sbagliato), lui ha proprio un odio viscerale suo. Allo stesso modo nemmeno Oskar Schindler parla mai apertamente contro l’ideologia nazista, come spinto da un’esigenza personale fa di tutto per salvare ebrei.
Il sistema è sbagliato
E se la categoria dei personaggi che hanno dentro di sè delle regole più alte di quelle dello stato è grossa, ancora di più lo è quella degli oppositori di tutto un sistema sbagliato, cioè quelli che si trovano contro tutto il mondo che li contiene e che soli si battono per la propria storia.
Può essere la dittatura di un microcosmo come il parco dei dinosauri del giurassico in cui sopravvivere ad una serie di predatori ma anche un aeroporto che ti tiene bloccato, nessuno di questi eroi aizza una rivoluzione ma tutti conducono una battaglia. Addirittura nelle mani di Spielberg diventa una specie di guerriero contro il sistema per una vita migliore il Frank Abagnale Jr. di Prova a Prendermi, eroe dallo stile di vita necessario in un mondo che omologa tutti. E una parabola molto usuale come quella di Minority Report, inserita nell’universo degli eroi di Spielberg, prende un tono politico perché il sistema è corrotto e una persona per salvare sé deve cambiarlo.
Quante volte nei film di questo autore il sistema sbaglia? Quante volte le leggi non sembrano giuste, non sembrano fatte per andare bene a tutti? In Spielberg ad essere fallace quasi mai è l’interpretazione che alcuni (cioè i cattivi) danno delle regole ma sempre quelle regole in sé.
Spielberg, così positivo e patriottico, è un critico costante della natura stessa dei sistemi, come se non fosse immaginabile un mondo dalle regole buone per tutti. Siano gli stati che segregano, maltrattano e vessano le donne di colore in Il Colore Viola, siano le città del futuro che approvano leggi per la prevenzione del crimine, siano infine le leggi americane che tengono bloccato Viktor Navorski nel suo Terminal. C’è sempre qualcuno in questi sistemi che fa le spese.
I servitori dello stato
La cosa più interessante di tutte però capita in una minoranza di film, quelli cioè in cui i protagonisti sono figure reali che si sono distinte al servizio del proprio stato. In una visione di mondo in cui il sistema è pieno di difetti che vessano individui, i quali hanno il diritto morale di ribellarsi per il proprio benessere particolare, cosa accade quando ad essere raccontate sono le vere persone che hanno lottato per conto del sistema? Succede che sono anche loro dei rivoluzionari, succede che anche loro si battono sottilmente per piegare il sistema.
È tutto personale il dilemma morale dei protagonisti di Munich che sempre di meno vogliono fare quel che gli è stato ordinato, che si rendono conto che forse quel che il sistema vuole da loro non si accorda bene con le loro idee e i loro principi. E allora cambiano.
Similmente molto si è parlato all’uscita di Lincoln di come quel film mostri stratagemmi e piccoli inganni o anche proprio manovre sporche per arrivare all’abolizione della schiavitù, di come lì la politica sia il tentativo di un uomo retto di arrivare al suo obiettivo anche barando. Tutto è concesso. E del resto bara tantissimo James B. Donovan, avvocato incaricato dal paese di difendere una spia russa in tempi di guerra fredda e poi andare a trattare lo scambio di questi con una spia americana in Il Ponte Delle Spie. Bara perché si muove nelle regole e nei compiti affidatigli per fare di più e meglio, per non essere come il sistema lo vorrebbe, ma più retto, più morale, più umano. Anche se tutto il paese è contro di lui non importa, in Spielberg i principi morali più giusti non sono condivisi dal sistema.