La notte del giudizio nei videogiochi, Manhunt e non solo

I videogiochi che ci hanno permesso di vivere la nostra personalissima notte del giudizio

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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La saga cinematografica La notte del giudizio, nuovamente nelle sale cinematografiche nostrane con La prima notte del giudizio, all’esordio proprio oggi, 5 luglio, si fonda su un concetto molto semplice, sulla carta persino paradossale: a patto di osservare e rispettare tutte le leggi previste per mantenere l’ordine pubblico e garantire l’incolumità dei cittadini per il resto del tempo, una volta all’anno è possibile commettere qualsiasi crimine e gesto efferato senza pagare alcuna conseguenza, una notte, per l’appunto, in cui regna l’anarchia più indiscriminata e le pulsioni più istintive e feroci possono scatenarsi in tutta la loro violenza incontrollata.

Per dirla in termini diversi, si tratta di una rilettura dei Due Minuti d’Odio di 1984, il romanzo distopico di George Orwell, all’ennesima potenza, esasperati sia nella durata, che nelle possibilità offerte ai partecipanti di questo osceno e crudele rito.

Eppure, a ben pensarci, siamo di fronte ad una pratica piuttosto nota ai fruitori di videogiochi, spesso e volentieri catapultati in ambienti digitali dove si deve eliminare qualsiasi avversario si pari di fronte, quando non in mondi di gigantesche dimensioni dove la libertà di scelta può anche tradursi nella possibilità di dare vita ad una vera e propria carneficina, utilizzando armi e mezzi messi a disposizione.

[caption id="attachment_187232" align="aligncenter" width="1920"]Manhunt 2 screenshot Manhunt 2, pubblicato persino su Wii, proponeva un gameplay del tutto simile a quello del prequel, ma abbandonava la sovrastruttura da programma televisivo[/caption]

C’era un parcheggio su più piani in GTA III, location perfetta per un po’ di sano cecchinaggio, per abbattere gli elicotteri della polizia a suon di colpi di bazooka, per resistere più a lungo possibile dagli assalti della SWAT. Just Cause 3, dal canto suo, è un’autentica tentazione in texture e poligoni, un parco giochi da mettere a ferro e fuoco con jet, bombe di ogni tipo, persino un paracadute per elargire, con tutta calma, un po’ di distruzione dall’alto.

Ci sono tanti The Purge nel mondo dei videogiochi, molti dei quali hanno fatto discutere l’opinione pubblica, scandalizzata, per l’appunto, dal modo con cui assecondavano le smanie omicide dell’utente di turno. Tra i molti, vale la pena ricordare Manhunt, pubblicato nell’ormai lontanissimo 2003, su PlayStation 2 e Xbox, action e stealth game sviluppato da Rockstar North.

Nel gioco si vestivamo i panni del criminale condannato a morte James Earl Cash, a cui viene offerta la libertà a patto di partecipare, suo malgrado, ad un controverso programma televisivo in cui avrebbe dovuto eliminare diversi target, membri di una gang che minacciava la tranquillità di Carcer City, metropoli il cui nome è tutto un programma e descrive a meraviglia la qualità della vita dei suoi abitanti.

La scelta del soggetto, tra l’altro, era assolutamente pianificata dalla produzione dello show, candidato prescelto proprio per i suoi precedenti, per la fragile psiche, per la violenza feroce e, a suo modo, originale che avevano caratterizzato i crimini che gli erano costati la pena di morte. Tra le feature più esaltate dagli sviluppatori, e denigrate da chi lo reputava un gioco immorale, non a caso figuravano le esecuzioni, uccisioni particolarmente sanguinolente e drammatiche che spesso e volentieri prevedevano l’utilizzo di oggetti o elementi dello scenario, utili ad incrementare ulteriormente il tasso di brutalità sprigionato dall’esperienza.

Qualcosa di simile lo propose Platinum Games qualche anno dopo, nel 2009 per l’esattezza, con MadWorld, action in terza persona caratterizzato da un sistema di combattimento particolarmente cruento, eccezionalmente pubblicato in esclusiva per Wii.

"Da sempre i videogiochi, tra le moltissime altre cose, sono anche dei veri e propri Minuti d’Odio messi a disposizione dell’utenza, strumenti in cui sfogare non solo la propria violenza, ma anche la propria creatività e fantasia, piegando al proprio volere e desiderio mondi digitali interattivi"La produzione SEGA riprendeva il format del programma televisivo già visto in Manhunt, estremizzandone il concept ed innalzando ulteriormente il tasso di violenza, frutto degli “sforzi” del protagonista dell’avventura, il massiccio Jack Cayman, anch’esso “eroe” suo malgrado, armato di motosega impiantata in un braccio, con il compito di deliziare l’audience nel tentativo di ripulire le strade di Varrigan City dalla presenza dei membri della Organizer, vera e propria cellula terroristica senza un reale scopo né ambizione che non fosse la distruzione fine a sé stessa.

Entrambi i giochi, pur avvicinandosi nel feeling allo spirito che caratterizza la saga de La notte del giudizio, non ne rispettano l’intima convenzione di fondo: la libertà di scelta, la possibilità di dare sfogo ai propri istinti, ma anche di non farlo. Manhunt e MadWorld propongono gameplay piuttosto canonici, incastonati in level design rigidi, che permettono ampia scelta sulle modalità di eliminazione, ma che impongono al videogiocatore di uccidere, smembrare, eliminare in ogni modo consentito, senza alcun’altra opzione.

[caption id="attachment_187231" align="aligncenter" width="1000"]MadWorld screenshot MadWorld seppe incantare anche per il suo ricercatissimo art design. Non disdegneremmo affatto una sua riproposizione in HD, proprio per gustarne ancor meglio la ricercatezza estetica[/caption]

Sotto questo profilo, il paragone è estremamente più valido, pur con tutti i limiti del caso beninteso, con esperienze più improntate all’open-world, titoli, per l’appunto, come i già citati GTA, Just Cause, ma anche i vari Saints Row o, perché no, The Sims, dove i poteri “divini” consegnati nelle mani del videogiocatore gli permettevano di veder morire di fame e di stenti gli infelici avatar prigionieri in una piscina senza scaletta. Liberi di spaziare in una struttura più aperta, meno vincolata da precisi obblighi e regole restrittive, in questo genere d’esperienze si è davvero in grado di imbastire la propria personale “purga”, anche e soprattutto godendo di un vasto arsenale più o meno convenzionale.

Da sempre i videogiochi, tra le moltissime altre cose, sono anche dei veri e propri Minuti d’Odio messi a disposizione dell’utenza, strumenti in cui sfogare non solo la propria violenza, ma anche la propria creatività e fantasia, piegando al proprio volere e desiderio mondi digitali interattivi.

Del resto tutti i bambini giocano “alla guerra”, imbracciano fucili giocattolo ed “eliminano” i propri amici, prontamente liberi di rientrare nell’arena dopo un immediato “respawn”.

Da Manhunt a GTA, di Notti prima del Giudizio ne abbiamo attraversate, superate e vissute a centinaia. A ben vedere, la moda del momento, quella dei battle royale, sembra proprio riprenderne in qualche modo le fondamenta concettuali del film prodotto dalla Universal Pictures. Tanto in PUBG, quanto in Fortnite, del resto, si tratta di sopravvivere ad una mattanza indiscriminata scegliendo la strategia migliore, possa essere questa la ricerca degli avversari, o la fuga, il nascondersi evitando il più possibile lo scontro diretto.

Non ci sorprenderebbe, insomma, se un improbabile tie-in di The Purge dovesse assumere le fattezze di un battle royale. Noi, per lo meno, avremmo già diverse idee di game design che potrebbe funzionare ed adattarsi alla grande al brand cinematografico della Universal Pictures.

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