La Mummia (1999), 25 anni dopo

La Mummia (1999) compie 25 anni, ed è ancora un mezzo miracolo di equilibrismo tra commedia e avventura alla Indiana Jones

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La Mummia uscì nelle sale il 7 maggio 1999

Gli appassionati di horror probabilmente avranno già rabbrividito a leggere il sommario di questo pezzo, e ci teniamo a rassicurarli: andando avanti le cose non migliorano, perché qui è dove tessiamo le lodi del film di Stephen Sommers, di quello che ha rappresentato e anche di quello che avrebbe potuto lasciare in eredità, se solo non si fossero verificati una serie di imprevisti. Sì, è vero, La Mummia è un remake del film del 1932, con il quale condivide però solo lo spunto di base (un faraone morto male nel passato torna in vita nel presente per fare casino): per il resto se ne distacca in tutti i modi più importanti, primo fra tutti la scelta del genere di riferimento. Ma nel suo tentativo (ben riuscito!) di essere una sorta di nuovo Indiana Jones, il film portò una ventata di aria fresca e inaspettata al cinema d’avventura, dimostrando che si possono animare cadaveri anche facendo ridere e divertire, non solo paura.

La Mummia e l’orrore

L’idea di resuscitare (… ah ah ah) La Mummia nasce ben prima dell’uscita del film di Stephen Sommers: su questo vecchio numero di Cinefantastique, per esempio, si trovano informazioni su una prima versione voluta da Universal e che avrebbe dovuto essere scritta e diretta da George Romero, al quale era stato richiesto di trasformare il tizio bendato in “una specie di Terminator”. Vi lasciamo un paio di minuti per pensare a quello che avrebbe potuto essere e non è stato, poi andiamo avanti, perché la storia del progetto sembra una collezione di sogni bagnati (e a tratti surreali) dei fan dell’horror. Dopo Romero, per esempio, venne contattato Clive Barker, fresco di Hellraiser e al quale era stato fornito uno script concepito da un’altra leggenda dell’horror come Mick Garris.

Anche questo tentativo andò a vuoto perché, pensate un po’?, la versione di Barker venne giudicata “troppo perversa e sexy”. Si tentò quindi con Joe Dante, la cui idea fu invece quella di fare una Mummia cupa e meditabonda, forse persino intellettuale, e farla interpretare da Daniel Day-Lewis (!). Potremmo andare avanti così (a un certo punto Universal ci provò anche con Wes Craven), ma il punto che ci interessa dovrebbe essere chiaro: inizialmente, la produzione aveva in mente di riportare al cinema il franchise rispettandone le origini e il genere. Volevano, insomma, una Mummia horror. Poi arrivò Stephen Sommers con un’idea completamente diversa: rifacciamo il film, disse, come se fosse un mix tra Indiana Jones e Giasone e gli Argonauti.

All’avventura!

Universal accettò con entusiasmo, forse subodorando la possibilità di incassare un sacco di soldi con un bel film d’avventura come… be’, dire che non se ne facevano più è esagerato, ma non c’è dubbio che dopo i fasti degli anni Ottanta, tra Indiana Jones appunto e i vari All’inseguimento della pietra verde e La storia fantastica, il genere stesse un po’ lasciando spazio ad altre forme di blockbuster: il 1999 è anche l’anno di uscita di Matrix, per dirne uno, ma anche di La minaccia fantasma. L’idea era quella di puntare quindi sulla nostalgia – a breve termine, ma pur sempre nostalgia – e contemporaneamente di sfruttare i passi da gigante che stava facendo la tecnologia per mettere in piedi uno spettacolone old school.

Non che Sommers fosse per forza, al tempo, la persona giusta, o il primo nome che veniva in mente pensando a Indiana Jones e ai film d’avventura: non aveva ancora davvero sfondato, e più che per Huckleberry Finn e Il libro della giungla si era fatto notare per un horror, Deep Rising. Sommers, però, aveva anche un’Idea, la cosa fondamentale per dare l’abbrivio a un progetto del genere: quella di trasformare la vecchia mummia della tradizione, con i suoi stracci penzolanti e la sua andatura da zombi, in un mostro da film d’azione, agile e pericoloso anche al di là dei suoi poteri. Quello che gli serviva, a quel punto, era una faccia di gomma che potesse portare una ventata d’ironia a quello che stava venendo concepito come un action con una creatura cattiva.

La Mummia e Brendan Fraser

L’altro colpo di genio di La Mummia, quindi, fu quello di scegliere un attore che aveva uno sconfinato talento comico ma che non aveva ancora fatto davvero il salto di qualità in termini di successo e star power. Brendan Fraser era reduce da una serie di film di discreto successo nei quali aveva mostrato quanto fosse bravo a tenere la scena facendo lo scemo (andate a recuperarvi George re della giungla per esempio). Sommers gli diede le chiavi del set, gli affiancò una Rachel Weis anch’essa in rampa di lancio ma non ancora esplosa, e gli chiese sostanzialmente di fare Indiana Jones se invece di essere autoironico fosse stato semplicemente buffo.

Il risultato è un film che sì, guarda a Spielberg e alle avventure archeologiche di quel personaggio lì, ma le tinge di commedia fine anni Novanta e vuole esplicitamente (anche) far ridere. L’azione è costante, la slapstick comedy abbonda, i personaggi di contorno complementano alla perfezione il duo di protagonisti e il cattivo, interpretato da Arnold Vosloo, non fa granché paura ma trasmette comunque quella sensazione di potenza e pericolo che serve a non trasformare La Mummia in una farsa. A modo suo è ancora oggi un film perfetto o quasi, che purtroppo è degenerato già a partire dal sequel e, invece di dare il via a un revival dei film d’avventura, è rimasto un po’ fine a sé stesso – forse la più grande eredità lasciataci dal franchise è la carriera di The Rock. Non abbastanza per passare alla storia, e infatti farete fatica a trovare chi considera La Mummia un classico. Noi, un quarto di secolo dopo, siamo in questo campo, e lo ammettiamo senza vergogna.

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