La Mujer Murcielago (Batwoman) restaurato: è questo il vero evento cinefilo di Locarno 76!

La presentazione a Locarno del restauro di La Mujer Murcielago del 1968, è stato uno evento di reale cinefilia contemporanea

Critico e giornalista cinematografico


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Cosa abbiamo imparato dalla visione di La Mujer Murcielago (Batwoman) alla restrospettiva di Locarno 76

Se è difficile trovare un altro festival capace di riempire una sala da quasi 500 posti con un film del 1968 messicano praticamente sconosciuto, è perché è difficile trovare un altro festival in Europa capace di una retrospettiva che includa ma soprattutto valorizzi con uno slot prestigioso (la serata di venerdì in una sala grande) il restauro di La Mujer Murcielago. Al di là del cinema di più facile recupero, di maggiore evidenza intellettuale e anche di quello di fattura migliore (migliore di questo poi non è difficile), La Mujer Murcielago, che in italiano era diventato Batwoman - L’invincibile superdonna, è una visione illuminante, specialmente nell’atmosfera che il festival ha ricreato con correttezza. Non quella austera e museale ma una gioiosa e rumorosa, divertita (molto divertita) e consapevole che l’eccezionalità di questo film che mette insieme Batwoman (senza nessun riferimento al personaggio DC nonostante abbia un costume quasi uguale), uno scienziato pazzo, un mostro uomo-pesce e il wrestling messicano, non la si trova negli stessi posti in cui si trovano di solito i pregi dei film delle retrospettive. E al pubblico va raccontato.

A introdurlo c’era Viviana Garcia Besné, nipote del produttore di La Mujer Murcielago e responsabile del restauro, nonché esperta del film in questione (sul cui set era presente da bambina). La serata è iniziata con un’ammissione di alcol. Non aspettandosi di essere chiamata sul palco Viviana Garcia Besné non si era trattenuta all’aperitivo, e dichiarare la cosa ha subito messo in chiaro i termini dell’evento che si sarebbe svolto. Con parlata fluida, poche riserve e una gran passione, ha introdotto il film spiegando innanzitutto la peculiarità di Maura Monti, la sua protagonista nel panorama messicano di quegli anni.

Maura Monti è una donna italiana cresciuta tra Londra, Caracas e Venezuela e poi andata a vivere in Messico dove è stata modella, attrice e presentatrice. Appena arrivata all’aeroporto acquistò un biglietto della lotteria. E vinse. Aveva 16 anni. Dopo essere stata modella venne notata dal cinema che fece a colpi di 4-5 film l’anno con un piglio audace e una presenza fortissima (girava due film contemporaneamente anche durante Batwoman). Il cinema dell’epoca non aveva un grandissimo riguardo per le donne e lo sguardo su di esse, specie nei film più commerciali come questo, era totalmente maschile. In Batwoman il suo costume è di fatto un bikini con maschera e mantellino, ci gira ovunque e parte dell’irresistibile ilarità del tutto è il suo pretendere che sia presa sul serio (nella trama, un po’ come Batman, è un’investigatrice inesorabile!) svestita in quella maniera. Quando non è Batwoman si trastulla in spiaggia con altri uomini.

Nonostante alcuni dettagli di fotografia e arredamento e soprattutto l’ingenuità di tutta la confezione possano a prima vista ricordare la serie tv di Batman degli anni ‘60, il film non ha niente a che vedere con essa (probabile fosse solo ispirata nel tono) e, incredibile a immaginarsi, è dieci volte più kitsch e dozzinale. Questo dovrebbe remare contro il divertimento ma tutto l’impianto è così convinto dei suoi luoghi comuni e delle sue convenzioni, così determinato a credere senza remore ai suoi effetti speciali pessimi e così fiducioso che funzionerà da essere adorabile. Esattamente tutto ciò che oggi il cinema dozzinale che si crede intelligente ama prendere in giro (dalla risata malefica del cattivo, alle risse fatte malissimo, dal sessismo casual fino improbabili piani pseudo-scientifici), Batwoman lo prende davvero sul serio e entro certi limiti e termini, rende sensato.

Se quindi dal punto di vista strettamente tecnico Batwoman non è certo eccezionale, per quanto abbia delle sequenze subacquee molto belle, realizzate con mezzi poverissimi e all’avanguardia per l’industria del cinema messicano, è la maniera in cui si è imposto come un modello proto-femminista per un pubblico di massa, nonostante sembri partire da presupposti opposti, a renderlo cinematograficamente preziosissimo. È un pezzo di cinema autenticamente sovversivo prodotto all’interno dell’industria (o almeno quella che poteva essere l’industria del cinema nel Messico di fine anni ‘60) e concepito probabilmente con finalità di exploitation di Maura Monti e del suo corpo, che si ribella proprio grazie a Maura Monti. Non è il femminismo moderno di certo e non è nemmeno il femminismo più auspicabile, tuttavia è impossibile trovarlo maschilista come vorrebbe essere.

Nella trama una serie di morti nel mondo dei wrestler messicani stimola un’indagine che tuttavia non va da nessuna parte. Per questa ragione viene chiesto l’aiuto di Batwoman, la quale subito individua in un medico chirurgo che vive su una barca al largo di Acapulco un possibile sospetto. Il dr. Williams con il suo aiutante Igor (sul serio!) lavorano a un piano per creare dei mostri uomini pesce a partire dai wrestler messicani (perché sono la forma più perfetta e alta di uomo possibile!) e dai pesci rossi (!). Ci riescono proprio quando Batwoman li scopre. Il mostro da loro creato sarà usato per catturarla e fare la prima donna-pesce. Tra dispositivi di tracciamento da film di 007, walkie talkie, formule segrete, radiazioni, volti sfigurati, esilaranti mascherine per non essere riconosciuti che sembrano quelle della Banda Bassotti e momenti morti inspiegabili, il film è un’avventura costellata dalla grazia dei passetti e saltelli di Maura Monti.

È lei ad animare letteralmente ogni inquadratura, è sempre interessante, dinamica, si muove con una femminilità indomabile che abbina all’azione come se fosse naturale, e questo è il segreto della strana forma di potere femminile che lei riesce ad affermare nel film. Invece che lottare contro il sessismo dei bikini e del corpo esposto per il piacere maschile, sembra quasi che Maura Monti vada all-in in quella direzione, che cavalchi così tanto la consapevolezza della propria figura e del proprio corpo, da acquistare potere invece che vederselo sottratto. Del resto faceva tutti i propri stunt da sola, non solo le penose (ma esilaranti) scene di colluttazione ma soprattutto tutta la parte sott’acqua, le parti in auto e anche un arrivo con paracadute. Questo fa tutta la differenza del mondo.

Quello stesso corpo messo in bikini per attirare uomini è quello che fa le scene d’azione, che si dimostra più forte, performante, cinematografico e potente di quelli degli altri uomini (le sue spalle dovrebbero uscire meglio di lei ma sono penose, nonostante vestano più appropriatamente sono messe in un angolo in ogni inquadratura). Un'ultima scena e battuta estremamente sessiste suonano così non come l'ennesimo affronto ma come un'ammissione di impotenza e una disperata (e inutile) maniera di cercare di affermare comunque quel dominio maschile che tutto il film ha negato.

Nella vita Maura Monti aveva sposato un produttore e vivevano in una specie di casa fatta a forma di Partenone, dopo la recitazione sarebbe andata a combattere gli zapatisti e poi ad insegnare letteratura a chi ne aveva bisogno. Aveva una propria testa e proprie idee, e nell’unico momento in cui usa una controfigure cioè nelle scene di wrestling femminile (perché Batwoman è pure una wrestler professionista in questo film), lo fa perché alle luchadores, cioè le lottatrici, era proibito farlo professionalmente (è stato così da fine anni ‘50 a fine anni ‘80) e questo film sì girava proprio nell’anno delle Olimpiadi messicane. Così mettendole in primo piano e facendole lavorava faceva in modo che fossero pagate.

Ovviamente c’è tutto un piacere epidermico tra il cult volontario e involontario e uno stato che, soprattutto in patria, il film ha conquistato in anni di rivalutazione del kitsch. Esiste una forma di "cinefilia LOL" intorno al film, e proprio la maniera in cui il festival, a partire dall’introduzione, dal mood creato e dalla partecipazione è riuscito a incanalarla, presentando il film e inquadrandolo in un discorso che non nega questo piacere nel momento in cui ne sottolinea gli elementi di eccezionale valore filmico, sono forse il fine ultimo di una retrospettiva: non solo mostrare e celebrare il noto, ma portare a galla il sommerso e raccontarlo nella cornice interpretativa dei nostri anni. Non si tratta di formare un gusto ma di raccontare, oltre al film, anche un’idea critica.

Il film si trova integralmente su YouTube.

https://www.youtube.com/watch?v=lUJLqT9qzfs
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