La Marvel si è mangiata Hollywood? Anche la stampa americana alimenta il dibattito

A mettere sotto accusa i Marvel Studios questa volta è un articolo dalla stampa americana che ripercorre la loro storia

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Il NewYorker ha dedicato uno speciale fiume ai Marvel Studios. L’articolo è una ricostruzione informata e ricca di approfondimenti e curiosità. Molte di queste sono aneddoti già noti, ma raccontati da chi li ha vissuti in prima persona.

L'aneddoto più significativo è il racconto del casting di Robert Downey Jr. In cui David Maisel venne preso per pazzo per aver sostenuto la scelta dell’attore. 

L'articolo spiega anche il metodo di lavoro dello studio, ritenuto piuttosto problematico da qualcuno nell'industria. I registi alle prime esperienze con i Marvel Studios ricevono un documento di una quindicina di pagine. Dentro ci sono le idee sviluppate nelle riunioni creative relative al grande mosaico della continuity. Non è un dogma, ma un confine entro cui lavorare e che può essere messo in discussione. Il problema delle “divergenze creative” è sorto quando un regista dice di voler tenere un certo approccio e poi lo cambia in corsa, in maniera non concordata al momento dell’ingaggio.

Il problema dei Marvel Studios a Hollywood

Il punto è che l' articolo del New Yorker, ricco di testimonianze, è tutt’altro che una cronistoria di un successo. Il suo proposito, evidenziato anche nel titolo “come il Marvel Cinematic Universe si è mangiato Hollywood”, è di raccontare come i supereroi abbiano drenato risorse ed energie al resto del cinema.

Il dibattito, come noto, ha ormai molti anni. Primo fu Martin Scorsese. Definì i cinecomic dei parchi a tema, distanti dal cinema come espressione artistica. Seguirono la sua voce parecchi colleghi registi in un dibattito a distanza tra autori, fan ed esercenti cinematografici. 

Dopo la pandemia invece il modello di cinema in sala iniziò un lungo processo (non ancora terminato) di ripensamento. Sin dalla fine del lockdown si registrò una diminuita propensione all'acquisto dei biglietti per le produzioni d’essai. I film d’autore stanno tutt’ora faticando molto a farsi strada al box office. Il pubblico interessato a questi film, generalmente più in là con l’età, risulta distante dalla sala. Diversamente i giovani, audience principale dei cinecomic, rappresentano una percentuale importante negli incassi annuali.

Il tema è duplice. Da un lato il cinema, soprattutto nelle esperienze su schermi premium, si regge grazie ai cinecomic. Dall’altro chi è rimasto indietro, cioè il cinema d’essai e le grandi produzioni d’autore, lamentano gli effetti di questo monopolio (o meglio, un oligopolio).

Uno stallo di cui sono consapevoli anche i Marvel Studios. La loro posizione si sintetizza con le parole di Christopher Yost: “tutti stanno aspettando che sbaglino. Alla fine però stiamo solo cercando di fare il film che noi stessi vorremmo vedere”. 

Le argomentazioni e le paure: un’Hollywood marvel-centrica?

Oggi le argomentazioni critiche verso i Marvel Studios sono un po’ diverse. Se la convivenza tra generi e idee di cinema diverse appare possibile, ora l’accusa è di sottrarre talenti. Ne ha parlato Florence Pugh, lamentando che al momento della firma del contratto con i Marvel Studios molti hanno storto il naso. I colleghi l’hanno avvertita che non sarebbe più riuscita ad alternare i blockbuster con i film indipendenti. Anche il pubblico ne parlò come se fosse stata sottratta al suo mondo. L’attrice, dal canto suo, ha rigettato queste idee. “Per me la bellezza si trova in tutti i tipi di film”.

Dello stesso avviso è, probabilmente, anche Chris Hemsworth dato che in maniera un po' sconsolata ha preso atto dell’opinione di Tarantino e Scorsese. Addirittura pensa che l’aver interpretato Thor gli impedirà in futuro di lavorare con questi due registi, per via della loro avversione a questo tipo di cinema. 

L’articolo del The New Yorker usa come immagine quella dei "talenti risucchiati nel regno quantico MCU". Questo riguarda ogni generazione sottoposta a contratti pluriennali. Riguarda i più giovani ovviamente, ma anche attori ben navigati come Angela Bassett e Anthony Hopkins. I due anno anche battibeccato a distanza nel febbraio di quest’anno sul recitare davanti a un green screen.

Ma cosa li porta ad accettare i ruoli? Sicuramente somme ingenti ma anche altro. Un agente che rappresenta molte star MCU, interpellato, ha detto: “ad un certo punto, vuoi essere rilevante. Il successo è la migliore droga”. E in un contesto di star del cinema calanti nella loro rilevanza e nel potere, l’unico modo per restare in cima è trovare un personaggio iconico. 

Gli indipendenti convocati nel mondo del blockbuster

Si considera problematico anche il caso di Chloé Zhao. Affermata autrice indie, si è lanciata nel progetto Eternals. Ma se chiedere al cinecomic risorse infinite fosse l’unico modo che hanno gli autori per poter fare un film con un budget elevato?

Il direttore di uno studio rivale (rimasto anonimo) ha definito l’MCU "la morte di tutto il cinema”. Spiegando: “il dominio dei film Marvel è servito ad accelerare l’erosione dei film di fascia media. Se le persone vogliono una commedia, scelgono di vedere Thor o Ant-Man”.

E se la fetta di torta per i drammi adulti, più impegnativi, si è drasticamente ridotto al cinema, lo stesso si teme possa accadere in tv. Lo spazio di libertà che ha generato brillanti serie tv sta venendo occupato dalla stessa logica da blockbuster (non solo Marvel). 

Anche la televisione di qualità si sta spostando su progetti legati alle grandi proprietà intellettuali. In altre parole: le reti tv e le piattaforme non chiedono più la prossima “Mad Man” ma il prossimo Signore degli Anelli, uno lo spin off di The Batman. E questo, per qualcuno, è un bel problema.

Fonte: The New Yorker

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