La Lucasfilm è in crisi creativa? Le riflessioni degli analisti dopo il quinto Indiana Jones
Lucasfilm non è più quella di un tempo. Il timore è che le sue proprietà intellettuali abbiano perso il favore del pubblico. È davvero così?
In calce all’ultimo articolo pubblicato sul sito della Lucasfilm si può leggere il motto: “storie senza tempo. Storytelling innovativo”. Ma è ancora così? Dagli ultimi anni al box office dei film della casa di produzione emerge un dato chiaro: il sistema si è inceppato e le storie senza tempo in realtà stanno facendo fatica a leggere il tempo presente e il suo pubblico. Ultimo caso clamoroso, i 369 milioni di Indiana Jones e il quadrante del destino che non si giustificano a fronte di un budget (rumoreggiato) intorno ai 300 milioni di dollari, spese promozionali escluse.
Altro colpo pesante. La serie Willow è diventata presto uno strumento di risparmio sui residuali e le licenze più che un mezzo per attirare iscritti su Disney+. E come avrebbe potuto, dato che è stata di fattp cancellata dopo una stagione e rapidamente tolta dalla piattaforma?
Cosa sta succedendo alla Lucasfilm?
Community di fan e analisti stanno conducendo due dibattiti paralleli, entrambi rilevanti. Per quanto riguarda il primo gruppo fa scalpore la percepita distanza tra chi produce e chi dovrebbe essere il primo ambasciatore dei progetti editoriali. Una fanbase che ha permesso a Star Wars (e non solo) una longevità senza pari.
Il colpevole contro cui spesso risponde al nome di Kathleen Kennedy. Con una certa regolarità sorgono online petizioni per allontanarla dal suo ruolo di presidente dello studio, ottenuto con il benestare di George Lucas. Attualmente non vi sono prove concrete che il suo ruolo sia a rischio.
Sul versante industriale dopo l’insuccesso di Indiana Jones e il quadrante del destino, gli analisti hanno dedicato studi sulla storica crisi. Le motivazioni sono complesse, si intrecciano a una generale fatica dei grandi studio e a un trend di box office sfavorevole rispetto alle IP già consolidate al cinema.
In generale si rileva che Indiana Jones, così come i film di Star Wars, costano troppo rispetto a quanto il mercato possa sostenere. Per ripagarsi nel solo sfruttamento theatrical sono costretti a fare numeri che il cinema dopo la pandemia concede molto più raramente. Secondo Fortune anche la pluralità di voci su Guerre Stellari, i registi che si sono passati la torcia, spesso cambiando anche stile e visione, hanno indebolito il progetto della nuova trilogia.
C’è poi il fattore di eccessivo sfruttamento. La saturazione del mercato con un’offerta continua che ha fatto perdere la dimensione di evento. Deadline ha aggiunto, nel caso di Indiana Jones, l’importanza della continuità nella qualità. La storia, ha avuto un grande senso di chiusura con il terzo capitolo, è continuata però con Il regno del teschio di cristallo, che pur avendo incassando 790 milioni porta con sé una pessima nomea. Il quinto Indiana Jones si inserisce in quella scia e, pur provando a correggere in parte il tiro, ha dovuto fare i conti con lo scetticismo sul progetto nato dal precedente film.
La situazione è più complessa (e forse meno grave)
Come ha spiegato il presidente Pixar Jim Morris parlando del flop scampato di Elemental, i budget dei film comprendono diverse voci. Non sono solamente legati alla produzione ma anche ai costi per fare andare avanti l’azienda includendo quindi i salari dei dipendenti. Nel caso di Indiana Jones il costo è poi lievitato per via della produzione iniziata periodo pandemico, con il relativo costo degli stop e dei protocolli di contenimento.
Un film della Disney poi non si ripaga solamente al box office. Ci sono infatti vari livelli di sfruttamento che rendono più complessa la valutazione di un successo. Andor è partito con dati di ascolto molto bassi, salvo poi riprendersi durante la stagione grazie al passaparola e ottenere molti riconoscimenti da parte della critica. Non un successo clamoroso, è considerato però un riuscito tentativo di alimentare nuovamente l’affetto per la saga. In parallelo The Mandalorian, che ha avuto l’onere e l’onore di farsi portabandiera del lancio di Disney Plus, si è inserito bene nell’immaginario collettivo, grazie soprattutto a Grogu che ha fatto la gioia dei negozi di giocattoli. E non è poco.
Christine McCarthy, CFO di Disney, ha spiegato agli investitori come valutare lo stato di salute di una proprietà oltre al botteghino. I parchi a tema e i gadget sono infatti voci pesantissime nei bilanci Disney. McCarthy nota come le attrazioni abbiano una spinta in più quando si configurano come esperienze legate a un franchise. Il pubblico è più propenso ad acquistare cibi e bevande se queste sono legate a Star Wars. L’acquisto di gadget, come magliette o spade laser, è parte dell’esperienza stessa.
Guy Bisson, cofondatore della società di ricerca sull’audiovisivo Ampere Analysis, concorda: il valore della proprietà intellettuale non può essere misurata solo sulla ricezione del franchise al botteghino, bisogna mettere in conto il suo contributo nello streaming, nel merchandise, nei personaggi e nelle attrazioni dei parchi.
L’urgenza di ribaltare il trend
È chiaro però che tutto si fonda su un delicato equilibrio. Dalla disaffezione cinematografica può discendere un calo della propensione all’acquisto. In questo caso i problemi che genererebbe su tutta la filiera sono evidenti.
Disney e Lucasfilm dovranno quindi risolvere il problema a partire dal target. Quella nuova generazione a cui era rivolta la nuova trilogia di Star Wars che non sembra avere attecchito. In parallelo non va perso il vecchio pubblico. Serve un’operazione trasversale in stile Top Gun: Maverick (che ha portato al cinema sia la vecchia che la nuova generazione) ma non ci sono formule magiche per questo.
Per avere “una nuova speranza” Lucasfilm si affiderà ancora una volta a Star Wars. James Mangold, regista dell’ultimo Indiana Jones, potrà “rifarsi” esplorando l’alba dell’Ordine Jedi con un nuovo film. Il tentativo sarà di riallacciare il legame con le emozioni del pubblico. Provare a creare qualcosa di nuovo su cui basare il futuro, partendo dalle icone del passato consapevoli che la nostalgia, da sola, non basta più.