La leggenda del pianista sull'oceano: una storia ben raccontata può catturare un secolo

La leggenda del pianista sull'oceano è un film in cui tutto racconta qualcosa. Una fiaba ambiziosa lontana di molte "note" dal cinema di oggi

Condividi

Tutto è simbolo, tutto è narrazione dentro La leggenda del pianista sull’oceano. La nave Virginian in cui vive Novecento, un trovatello abbandonato nel primo giorno del secolo, è una casa in balia della relatività. Ferma e sicura per chi ci vive dentro, in una staticità perenne. Mezzo di scoperta e di viaggio per tutti gli altri: una società alla scoperta del globo e di una nuova velocità. Il viaggio della vita si può fare in pochi giorni, grazie ai potenti motori. Avanti e indietro, in un moto perpetuo. E viaggiando si può anche stare immobili.

Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, questo il suo nome per esteso, è il fantasma che ha condotto dalla modernità alla contemporaneità. Ha un nome poliglotta, nobile, bianco e nero al contempo. In sé racchiude tutte le due anime dell’America. È, simbolicamente, quello che furono gli uomini alla fine del secolo, pur essendo lui nato agli inizi. La sua identità è mista, non deriva da nessuno, ma riassume in sé tutte le sfumature.

Affascinato dalla musica, fa di essa il collante della sua esistenza. È il linguaggio delle emozioni che nessuno gli ha mai insegnato. Non i passeggeri del transatlantico, non suo padre adottivo, morto per un incidente sul lavoro e nemmeno i lavoratori dell’imbarcazione che l’hanno adottato come un figlio. Lui è libero, nessuno ha viaggiato allo stesso modo. Eppure la sua prospettiva è limitata. Sul ciglio del ponte che porta sulla terra ferma si immobilizza, guarda la vastità delle scelte offerte dalla città e torna indietro. 

Da un monologo breve a un film fiume: un incontro di emozioni

Quello tra Baricco, che ha scritto il monologo da cui è tratto il film, e Giuseppe Tornatore è un incontro quasi simbiotico. Lo è nonostante lo scrittore non mise mano alla sceneggiatura e poco contribuì al film. I due condividono però la stessa passione per la ricerca della forma più pura e appassionata del racconto. Una storia ben fatta è una valuta inestimabile. Lo pensano il regista e lo scrittore, lo pensano anche tutti i loro personaggi\metafora in questa incessante epica mai sazia di dire, di prendere e dare. 

La leggenda del pianista sull’oceano è così un film al quadrato. Tutto raddoppia: la durata, la voglia di emozionare, i piani del racconto. Se per gran parte la sua zuccherosa retorica regge sotto questa confezione senza freni, tutto crolla negli ultimi, eccessivi, minuti. C’era qualcosa da tagliare; lo si capisce facendo lo sforzo di ricordare il film. Nella mente, si conclude ben prima della fine: dopo la scala, lo sguardo alla città, e il ritorno sulla nave. Invece lo spettatore, qui ormai sazio, deve resistere all’ingordigia di un regista innamorato della sua opera che continua qualche passo di troppo, perdendo forza. Se il risultato complessivo è però questo, si può accettarlo senza problemi.  

La leggenda del pianista sull’oceano è infatti un film come non se ne fanno più. Le sue ambizioni sono figlie della convinzione che in una finzione si possa riassumere tanto della realtà. Questo lo rende distantissimo dal cinema di oggi, che invece ha perso fiducia nella sua importanza, che anche quando si fa militante e sociale non ambisce più a diventare una capsula del tempo che racconti un’epoca ai posteri. Baricco e Tornatore invece fanno proprio questo, e lo fanno bene: danno i codici emotivi per decifrare il secolo più rapido, frenetico (e breve) della storia.

La musica de La leggenda del pianista sull'oceano

Aiuta molto avere Ennio Morricone alla colonna sonora, in un film dove le note sono l’educazione sentimentale. Novecento incontra corpi da cui cerca di intuire il passato e farne musica. 

Aiuta altrettanto avere Tim Roth immerso nell’atmosfera più dolce e fantastica possibile. Duetta con Pruitt Taylor Vince come una coppia di opposti. Uno è magro l’altro corpulento, uno è misterioso l’altro parla troppo, c’è chi è in fuga e chi è fermo. Eppure entrambi sono uniti da una dolcezza e da una positività verso la vita che trova il romanticismo nelle piccole cose. 

Allo stesso modo i due personaggi appaiono proprio come Baricco e Tornatore. Uno che traccia le linee degli eventi, l’altro che li visualizza. Così La leggenda del pianista sull’oceano si carica di un andamento letterario, straniante per qualcuno, sicuramente furbetto, ma innegabilmente toccante. Non sono molti i film che cercano di fare in modo che tutto, ma proprio tutto, sia un momento indimenticabile. Così anche la costruzione più eccessiva ritrova la genuinità del piacere di raccontare qualcosa e del farlo bene.

Una fiaba che si prende il tempo di accompagnare verso un'emozione

Basta guardare il piacere con cui tornitore protrae il momento topico dell’arrivo in America. Ci sono tanti narratori all’interno, si passano le parole di bocca, distorcendo i fatti e rendendoli leggenda. Max dà la sua versione, ed è una che inizia ancora prima che lui arrivi all’interno. “Il guaio è che nessuno crederebbe a una sola parola”. Costruisce pian piano le posizioni dei naviganti, le loro faccende fino a che non alzano lo sguardo per gridare “America!”. La terra dei sogni. Forse questo è uno di quelli.

Tornatore si diverte a usare un linguaggio cinematografico grosso, vistoso. Ma è un divertimento contagioso questa volta non autoriferito (come spesso accade al regista). Succede, nella scena madre dello scontro musicale tra Novecento e Jelly Roll Morton, che il tempo si dilata oltre ogni logica del ritmo di un film. Una sequenza lunghissima, che poco aggiunge all’evoluzione dei personaggi. Eppure è uno spazio concesso alla musica, a Morricone e alla capacità della cinepresa di danzare e di farsi significato con la sola esibizione di ritmo e tensione. Il Jazz va al passo con i suoni dell’ambiente, in particolare con i flash delle macchine fotografiche e le rende parte della musica. Ancora una volta, tutto ha la stessa importanza in scena: un suono, quanto una lacrima. 

Una sigaretta appoggiata su un piano forte, è la battuta finale di questo travolgente cartone animato in live action, di questa fiaba. Sempre un passo indietro rispetto alla fantasia, molti passi in avanti rispetto alla realtà. Novecento chiude la sfida al pianoforte suonando come non aveva mai fatto prima, sfoga tutta la sua personalità. Sforza lo strumento così tanto da scaldare le corde che diventano incandescenti e accendono la sigaretta, secondo personaggio di questo momento insieme alla colonna sonora.

La leggenda del pianista sull’oceano è perciò uno di quei film che non ci si stanca a riguardare, a patto che si sia disposti a fidarsi dei cantastorie e ci si metta comodi. Pronti per godersi un viaggio illudendosi di essere fermi, sulla poltrona di un cinema o sulla sedia di una nave.

Continua a leggere su BadTaste