La grande storia di come George Miller ha realizzato Mad Max: Fury Road

Dietro a un grande film c'è sempre una grande storia: un documentario spiega cosa è successo nei 20 anni di lavorazione di Mad Max: Fury Road

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l canale YouTube Warner Bros. Entertainment ha pubblicato un lungo video documentario dedicato al dietro le quinte di Mad Max: Fury Road.
Potete vedere il filmato in cima all’articolo. Si tratta di un extra originariamente presente nella versione iTunes del film dal titolo Going Mad: The Battle of Fury Road.

Attraverso il racconto dell’origine del progetto abbiamo potuto imparare molti dettagli dello stile di regia del regista George Miller. Come noto la lavorazione di Mad Max: Fury Road ha attraversato diverse traversie: dai continui cambi di set alle faide interne tra attori. Insomma, una lavorazione epica, grande come la storia stessa che racconta, per un film già entrato negli annali di cinema.

Ma cosa abbiamo scoperto dal documentario?

La prima cosa che emerge dal documentario e che, nonostante sia ben nota, è ancora oggi straordinaria, sono le straordinarie difficoltà affrontate dalla produzione. Spesso nel cinema si vedono “film maledetti”, la cui lavorazione continua a incontrare ostacoli. Terry Gilliam con il suo L'uomo che uccise Don Chisciotte ne sa qualcosa. Ma anche, più recentemente, ha fatto scuola il caso di The New Mutants. Due casi in cui le traversie si possono leggere tra le immagini e nel prodotto finito. Per Mad Max non è così. È come se Fury Road avesse preso energia cinetica dai suoi problemi. È riuscito a essere fedele a se stesso anche durante gli anni di produzione e gli scontri con la major. L’esito è stato non solo il capolavoro che tutti conosciamo, ma anche un vero e proprio miracolo produttivo la cui identità, negli anni, si è rafforzata.

mad max furiosa prequel

L'origine

L’idea di un quarto Mad Max è arrivata a George Miller nel 1995, quasi per caso. Si è sedimentata nella mente ed è cresciuta. Così semplice ma così complessa da realizzare. Un inseguimento continuo per la sopravvivenza, senza sosta, in uno scenario apocalittico fatto di sabbia, sangue e automobili. Un high concept che avrebbe dovuto redimere il controverso Mad Max oltre la sfera del tuono. Mel Gibson sarebbe dovuto essere il protagonista. così non è stato, come sappiamo, e il motivo principale è stato lo scorrere degli anni, per un Mad Max non più giovane, e per un film apparentemente irrealizzabile.

Dal 1995 al 2015 (data di uscita di Fury Road) passarono 20 anni di crisi economiche, tagli al budget, rinvii delle riprese. In particolare nel 2000 il film avrebbe dovuto vedere i suoi primi ciak sotto l’egida Fox. I materiali di scena erano già pronti, i set costruiti nel deserto del Namib.

Quando arrivò l’11 settembre tutto cambiò.

La crisi economica che ne seguì sconvolse il valore del dollaro. Le case di produzione "tirarono i remi in barca" in attesa di trovare una nuova corrente favorevole. E Mad Max: Fury Road era uno dei progetti più rischiosi anche alla luce dei temi sensibili per la guerra in Iraq che si stava svolgendo in quegli anni. Tutto si fermò. La produzione venne sospesa, interi magazzini andavano liberati distruggendo in pochi giorni auto, costumi e oggetti di scena.

Difficile immaginare cosa possa passare per la testa di un regista in un momento simile.

Problemi ai test screening

Dopo i primi, disastrosi, test screening del 2014 iniziarono grandi pressioni da parte della Warner (subentrata dopo la Fox). Il film era rischioso e il pubblico non aveva compreso la versione non completa che era stata mostrata loro. Le accuse? troppa azione. Un disastro irreparabile, per un film giocato proprio sul concetto di corsa non stop. Il regista subì pressioni, lottò e infine riuscì a non scendere a compromessi con la Warner. 

Per inciso, questo è un potere decisionale riservato a ben pochi registi.

La versione vista in sala è quindi, per ammissione di Miller e della montatrice, la Directors cut. Ma che rischio è stato corso!

Non è una novità che i test screening siano una croce e una delizia per la macchina dell’intrattenimento U.S.A. Il momento in cui un pubblico selezionato viene chiamato a dire la propria su un film può diventare un’occasione per rifinire e aggiustare alcune asperità del montaggio. Capita però che, se il test viene effettuato troppo frettolosamente, come in questo caso a film non finito, o con un pubblico sbagliato, i risultati possono restituire un’impressione sbagliata. Come detto, Fury Road venne stroncato per la “troppa azione” e i troppi pochi dialoghi. Ma nella versione mostrata al pubblico mancavano parti di trama chiave per la comprensione. Se Miller avesse dato ascolto al pubblico, non avremmo avuto il montaggio che abbiamo potuto vedere in sala.

La stanza di Max

Torniamo alla pressione sulle spalle del regista. Nel 2000 Mad Max: Fury Road era già tutto presente sulla carta. Negli uffici di Miller venne creata una “stanza Mad Max” in cui erano affissi i pannelli di storyboard che illustravano, una ad una, tutte le inquadrature del film. Lontano da essere un film di animazione (anche alla luce di un uso accorto degli effetti visivi digitali) il film trova giovamento dall’esperienza del regista nei prodotti per famiglie. La saga di Babe, prima, e di Happy Feet, dopo, hanno plasmato un linguaggio esclusivamente visivo che andrà a costituire il cuore di Fury Road. Una sceneggiatura esile di dialoghi, ma espressione di una grammatica per immagini figlia del cinema di Keaton e Meliés, più che di Michael Bay.

Mad Max: Fury Road

Un cambio di deserto

Data la trama del film, dalla forte impronta ecologista e in cui l’acqua fa da vero e proprio motore dell’azione, è piuttosto ironico l’incidente capitato nel 2010.

Il cast attuale era già stato scritturato, le riprese erano in procinto di iniziate.

Questa volta però intera produzione si era spostata a Broken Hill in Australia. Qualche settimana prima dell’avvio delle riprese arrivò una tempesta senza precedenti. L’acqua smosse la terra e ridisegnò il paesaggio. Germogli d’erba presero a crescere per tutta la vallata. Non certo lo scenario migliore per un film post-apocalittico in cui (come mostrato nel documentario) ogni accenno di verde va nascosto. Pena la perdita dell'immedesimazione del pubblico. La produzione si spostò così, nuovamente, in Namibia. E mentre le navi trasportavano le automobili e i carri dei figli di guerra i giorni di riprese scendevano da 140 a 100. Una corsa contro il tempo.

Tom Hardy contro George Miller

Miller si fece quindi carico di tutta la pressione sul set. Una maratona di riprese in una delle location più sfiancanti possibili, i continui cambi di scenario e di programma e… l’opposizione di Tom Hardy.

L’attore si scusò con il regista per il suo comportamento solamente durante l'edizione del festival di Cannes dove presentarono il film. Eppure le cronache raccontano di un atteggiamento oppositivo perdurato per tutte le riprese. Hardy infatti non era abituato allo stile di ripresa di Miller. Quasi in contemporanea stava infatti lavorando con Inarritu e Leonardo di Caprio per Revenant - Redivivo. E nel 2013, con Locke, aveva dato prova di sapere gestire situazioni attoriali sfidanti e al limite. Ma erano comunque due film più nelle sue corde e convenzionali.

Il suo stile ha bisogno di spazio e di tempo per concretizzarsi. Fury Road è però un film creato in sala di montaggio, dove le riprese consistevano in piccoli istanti di grande potenza, ma di pochi secondi. Per un attore, girarlo in quelle condizioni, è evidentemente come correre una maratona fermandosi continuamente e accelerando. Sfiancante. Non capendo il progetto vi si oppose.

Si pentì.

Mad Max: Fury Road è entrato nella storia anche alla luce della sua travagliata produzione e delle incredibili storie che circondano il set. Ma lo spettacolo visivo creato da George Miller è riuscito a parlare al pubblico come pochi altri sono hanno fatto nell'ultimo decennio. E sono forse proprio i suoi 20 anni di lavorazione, le idee costruite lontano del tempo, e la fedeltà al progetto iniziale, ad avergli permesso di ottenere quel tono così unico. A metà tra la nostalgia di un cinema action d’altri tempi, e l’esperienza visiva del cinema del futuro.

È così che si costruisce una leggenda immortale. 

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