La drammatica produzione di Chicken Little raccontata punto per punto

Ricordate Chicken Little? La sua produzione fu una drammatica battaglia di posizioni e di influenze di potere in un momento di cambiamento

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Che il pubblico avesse rischiato di non vedere mai Chicken Little era una cosa nota. Che la produzione del film fosse stata un campo di battaglia tra gruppi di interesse che ha ridefinito le gerarchie Disney, lo era molto meno.

La storia della produzione che ha rischiato di lasciare macerie dietro di sé inizia poco dopo l’arrivo in sala delle Follie dell’imperatore. Il regista Mark Dindal e il produttore Randy Fullmer vengono arruolati per un nuovo progetto. Questa volta gli è concesso di fare un lavoro estremamente personale, a patto che mantenga l’energia e lo spirito irriverente del precedente film.

L’idea era quella di basarsi sulla storiella di origine europee dedicata a Henny Penny, un pollo convinto che il cielo sta cadendo perché, dopo che si è riposato sotto una quercia, una ghianda gli è caduta addosso. 

La prima versione della storia era incentrata su Chicken Little (così è noto Henny Penny) e il suo rapporto con il padre. Con una grande, abissale, differenza rispetto al film arrivato in sala: Chicken Little era infatti un personaggio femminile. Holly Hunter, secondo i piani, avrebbe dovuto doppiarla. 

Mark Dindal voleva fortissimo raccontare una storia al femminile perché, avendo all’epoca due figlie piccole, e avendo avuto il benestare su un progetto personale, desiderava basare l’intera sceneggiatura su di loro, sulla loro sensibilità. In fondo era quello il mondo infantile a lui ben noto.

A lavori inoltrati, con la sceneggiatura nelle fasi finali e alcuni test vocali già completati l’allora CEO Disney Michael Eisner si oppose. Chicken Little doveva essere un maschio. Le motivazioni ufficiali addotte erano legate alle ricerche di mercato dell’epoca secondo cui le ragazze sono più disposte ad andare a vedere un film con un protagonista maschile di quanto lo siano i maschi a vederne uno con protagonista femminile. Un’idea ben radicata nei reparti marketing di Hollywood di quegli anni, ovviamente con qualche eccezione. 

Abbiamo dovuto aspettare il successo planetario di Frozen perché questa convinzione cambiasse. Paradossalmente però, all’epoca Eisner (e le ricerche di mercato) avevano la risposta sotto i loro occhi proprio nella storia dell’azienda. Cenerentola, Biancaneve e i sette nani, ma anche film del rinascimento Disney come la Sirenetta avevano già provato il contrario. Ma tant’è. Chicken Little cambiò in corsa, incontrando prevedibili nuovi problemi e facendo infuriare sia Dindal che Fullmer.

Il protagonista stava cambiando sesso nella sceneggiatura, rincorrendo i tempi di produzione. Nel frattempo Thomas Schumacher, una delle menti che aveva contribuito al rinascimento Disney e che stava sostenendo maggiormente il film, lasciò la divisione cinematografica per concentrarsi sulle produzioni Disney a teatro. Insomma, un altro scossone che minò alle basi il progetto. 

Schumacher venne sostituito da David Stainton, il quale concentrò la produzione dello studio sul digitale. I test screening che seguirono furono un campo di battaglia. Stainton, per seguire la linea di Eisner, esagerò il suo giudizio definendo il film come un clamoroso “deragliamento". Cosa che, secondo i registi, non era affatto vera. Il tira e molla che ne seguì e i conflitti interni portarono a ripensare da capo la storia.

Chicken Little

Un cambio radicale di trama: il focus passò su Chicken Little, i suoi amici animali della fattoria e gli alieni. Per tre sceneggiatori accreditati misero mano al film altri sei scrittori mai citati nei crediti. E mentre il film veniva riscritto in fretta e furia la direzione dimezzava il tempo di produzione. 

Chicken Little era il primo film Disney completamente in computer grafica. Prima di lui c’era stato Dinosauri, composto da un mix di animazione 3D e modelli fotografici. Lo studios era diviso in due fazioni: chi sosteneva un approccio tradizionale disegnato a mano e chi voleva esplorare la nuova forma. Da qui lo stile particolare di Chicken Little, che è sì renderizzato a computer, ma l' animazione, la plasticità dei movimenti, richiama l’animazione tradizionale fatta di forme che si allungano e si comprimono. Per realizzare il film fu necessaria una formazione ad hoc dei vari dipartimenti, mettendo in comune competenze ed esperienze sui precedenti film.

Ma nel frattempo la tensione cresceva. Lo studio di animazione Disney era accerchiato: la Pixar stava incassando con gli Incredibili, quanto gli ultimi 8 film Disney messi insieme. E mentre Steve Jobs rilasciava dichiarazioni impietose sulla qualità di questi prodotti, Eisner metteva in piedi la Circle 7 Animation, società che avrebbe potuto (e dovuto) realizzare sequel diretti dei successi Pixar. Jeffrey Katzenberg dal canto suo, dopo i disaccordi con Eisner, macinava successi alla Dreamworks. Il peso delle aspettative sul film era altissimo.

Una volta arrivato in sala il Chicken Little guadagnò 40 milioni di dollari nella settimana di apertura anche a fronte di critiche negative. Fu uno dei film Disney di maggiore incasso da molti anni a quella parte, soprattutto per un’invasione degli store con giochi e merchandise del film. 

Chicken Little è stato qualcosa di più di un film. È stato uno strumento di contrattazione interna, un oggetto simbolo di una crisi creativa ed economica che aveva portato all’allontanamento di Eisner e all’arrivo di Bob Iger alla direzione. Chicken Little ha riscritto gli equilibri, ha rafforzato la posizione della Pixar ma, al contempo, ha mantenuto a galla la divisione dell’animazione.

Il suo buon risultato economico (non eccezionale, ma salvò la baracca) aveva dimostrato che la Disney era ancora in grado di creare in autonomia personaggi che riempissero parchi a tema e vendessero giocattoli. Il rapporto con la Pixar si stabilizzò a favore dell’indipendenza dei due team creativi. 

Nonostante tutto, Chicken Little sparì alla svelta dalla memoria collettiva e il previsto sequel venne silenziosamente accantonato. Oggi restano solo i ricordi (e le macerie) di una produzione travagliata e di un film che avrebbe potuto essere tutto’altro, con un’altra voce e altre sembianze. 

Fonte: Collider

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