La crisi prima del Coronavirus: come venne affrontata dai cinema l’epidemia di Spagnola del 1918?
Il cinema è in crisi per via del Coronavirus. Ma nel 1918 dovette affrontare un'altra grande pandemia: la spagnola. Ecco quali furono le misure prese.
È facile rendersi conto, osservando il box office di questi mesi, di come il cinema stia attraversando la sua crisi più nera a causa del Coronavirus. Le chiusure forzate, oltre a una sistemica assenza di prodotto filmico hanno messo in difficoltà l'esercizio.
Ma come reagirono gli esercizi cinematografici all’epidemia?
Da un punto di vista epidemiologico i dati indicano che la malattia si diffuse più lentamente rispetto al Coronavirus. Di conseguenza, la gestione della crisi non venne mai centralizzata. La chiusura degli esercizi si organizzò secondo una natura più regionale e circoscritta per rispondere all’emergenza a partire dal territorio.
Una delle prime città a chiudere fu Boston, nella seconda metà del settembre 1918. Da lì seguirono le altre. A metà ottobre molti stati, ma non tutti, obbligarono le sale alla chiusura, inizialmente prevista per 10 giorni poi prolungata a un mese.
In gran parte delle città coinvolte la politica di riapertura fu molto simile a quella adottata oggi: entrate limitate e sale operanti al cinquanta percento della capacità. In alcune zone venne richiesto agli utenti di indossare le maschere protettive. L’ingresso venne vietato ai bambini, in quanto ritenuti più fragili, e per via della preoccupazione di un'accelerazione del contagio, data la loro frequentazione delle scuole e di coetanei.
In molte aree la tendenza fu quella di aprire, dove possibile, il prima possibile, proprio perché la sala cinematografica rappresentava uno strumento fondamentale di informazione e prevenzione rispetto ai danni della spagnola.
Sullo schermo, prima del film, venivano infatti comunicate le pratiche da adottare per la prevenzione; informazioni rese disponibili in questo modo anche alle fasce più povere della popolazione.
Eppure la tensione durante le proiezioni era comunque molto alta. Dalle fonti sappiamo che a New Haven, nel Connecticut, il proiezionista era addirittura dotato di una slide da proiettare in caso di necessità, anche nel mezzo della proiezione.
Il cartello recitava: “la persona che ha starnutito e tossito ha messo in pericolo tutto il pubblico. Per favore se ne vada.”
Il proiezionista aveva quindi facoltà di allontanare eventuali clienti ritenuti pericolosi. Un'esperienza di sala decisamente poco rilassante...
LEGGI ANCHE - Quell’altra volta in cui tutti i cinema americani furono chiusi per epidemia e nacque lo studio system
Con il prolungarsi delle misure di sicurezza, adottate dalle autorità, alcuni esercenti entrarono in conflitto con i legislatori, lamentandosi della crescente durezza delle restrizioni. Alcune controversie arrivarono addirittura in tribunale, ma si tratta solo di casi senza un grande seguito, la maggior parte si risolse in nulla.
Qualche esercente riuscì anche a trovare il lato positivo di tutta la vicenda, come W. C. Patterson il manager del cinema Criterion di Atlanta che ha commentato la chiusura forzata dei cinema come un’occasione per fermarsi e pensare a lungo sulle strategie di vendita. Secondo lui il blocco infatti “ha permesso di rilanciare i nostri spettacoli e rivedere i nostri piani di promozione per essere in grado, quando arriverà il momento, di far passare finalmente dalla teoria alla pratica una serie di idee”.
Alcune figure di spicco del cinema vennero contagiate dalla spagnola. La star del muto Harold Lockwood morì per complicazioni dell’influenza a soli 31 anni. Era uno degli attori più noti e amati dell'epoca. Perse la vita a causa dell'epidemia anche il regista e sceneggiatore John H. Collins, a soli 29 anni.
Uno dei casi più significativi di focolai avvenne sul set di Giglio Infranto di D. W. Griffith con numerosi contagiati, all’inizio del 1919, ed ebbe un impatto sulla produzione e sulla tabella di ripresa, rientrando però in poco tempo.
In generale le case di produzione con una situazione economica solida riuscirono a riprendersi senza problemi, ad eccezione della Triangle Film Corporation che andò invece verso il fallimento. In generale, in pochi furono colpiti così duramente.
Una linea di pensiero degli analisti sostiene che la diffusione dell’influenza spagnola contribuì alla localizzazione dell’industria in California a Los Angeles, andando ad accelerare un processo già in atto. Fatto sta che, nonostante la gravità dell’epidemia, l’industria resse il colpo. Non era inusuale infatti che, negli anni '10, si vedessero focolai ed epidemie che causavano chiusure localizzate. L’industria, molto più fiorente di come era oggi e con meno rivali, era maggiormente preparata a reggere colpi simili. Oggi, con un mondo dell’intrattenimento sempre più variegato, ricco di offerta e “smaterializzato” rispetto al luogo fisico della sala, la crisi potrebbe essere ben più diversa e pesante.
La storia non insegna come evitare che le cose accadano, ma può aiutare a capire come gestirle. E forse, grazie ai documenti del passato, si potrà trovare una chiave per riaccendere gli schermi di oggi.
Che cosa ne pensate di quello che le fonti storiche hanno fatto emergere sulla prima grande pandemia affrontata dal cinema? Fatecelo sapere nei commenti!