La cosa, l’incubo incompreso di John Carpenter

La cosa di John Carpenter è un incubo a occhi aperto che parla di paranoia, sfiducia e perdita dell’identità, ma quando uscì non se ne accorse nessuno

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La cosa va in onda su Italia 2 questa sera alle 21:10 e in replica domani sera alle 23:25

Se dovessimo stilare una lista dei film più incompresi (almeno al momento dell’uscita) della storia del cinema, La cosa si piazzerebbe senza fatica nelle prime posizioni, e probabilmente assumerebbe la forma degli altri film in classifica, sostituendoli. Universalmente considerato, soprattutto da chi l’horror lo fa di mestiere, come un capolavoro e una delle opere di genere più influenti di tutti i tempi, venne accolto con freddezza antartica da critica e pubblico quando uscì, incassando qualche spicciolo in più del proprio budget e influenzando in negativo tutta la carriera successiva di John Carpenter – non tanto in termini qualitativi quanto di possibilità offertegli da Hollywood. Non è facile trovare un altro film che sia passato nel giro di pochi anni dall’essere considerato “il più odiato di tutti i tempi” (come recitava un’introvabile, almeno su Internet, copertina di Cinefantastique) a venire annoverato tra i grandi classici del decennio; ma ancora più incredibile è leggere le motivazioni dietro le sonore bocciature che ricevette.

La cosa: cosa è?

La cosa è il tentativo di portare al cinema in una maniera più fedele all’originale uno dei più importanti racconti di fantascienza del secolo scorso, La cosa da un altro mondo di John Campbell, la storia di una spedizione scientifica in Antartide che viene a contatto con un’entità aliena in grado di assumere la forma di qualsiasi altra forma di vita, e che comincia a sterminare e sostituire tutti i membri della spedizione stessa. Il racconto era uscito nel 1938, in un periodo nel quale l’Antartide rappresentava ancora una delle ultime vere “frontiere selvagge” del pianeta (l’arcinota spedizione di Amundsen, la prima a raggiungere il Polo Sud geografico, era avvenuta meno di trent’anni prima) e aveva quindi ispirato decine di autori di horror e fantascienza: era un’ambientazione ideale dove nascondere misteri e creature terrificanti, come dimostra per esempio il fatto che Alle montagne della follia di Lovecraft è datato 1931.

Nel corso del suo primo passaggio al cinema, nel 1951 grazie a Christian Nyby, La cosa da un altro mondo si era in parte allontanata dal modello originale, mantenendo l’ambientazione ma sostituendo l’alieno mutaforma con una creatura di origine vegetale. David Foster e Lawrence Turman, produttori del film di Carpenter, decisero invece di tornare agli anni Trenta, e affidarono al povero Bill Lancaster (al suo terzo e ultimo script in carriera) il compito di riadattare il racconto di Campbell con la massima fedeltà. Il risultato venne affidato a John Carpenter – dopo una serie di giri che per un attimo coinvolsero anche Tobe Hooper –, allora giovane e promettente regista di film indipendenti (Distretto 13 – Le brigate della morte, Halloween, Fuga da New York, The Fog) che si trovò di fronte alla prima grande occasione della vita con una major, e a un budget (circa 15 milioni di dollari) che era di un ordine di grandezza superiore alla somma dei budget di tutti i suoi film precedenti.

La cosa cosa

La cosa e la paranoia

Come da richiesta della produzione, La cosa è molto più vicino al racconto originale di quanto fosse il film di Nyby. Ci sono ovviamente differenze sostanziali: la sceneggiatura di Lancaster riduce il numero di persone intrappolate nella base antartica (da 37 a 12) ed elimina uno dei dettagli più difficili da gestire in un film (il fatto che la Cosa del titolo fosse una creatura telepatica), e soprattutto aggiunge al quadro d’insieme la spedizione norvegese che per prima si imbatte nell’alieno (e che diventerà il soggetto del discreto ma parecchio anonimo prequel datato 2011). I beat narrativi però rimangono quelli: la scoperta dell’“invasione” in uno dei cani da slitta, la rivelazione che la Cosa può assumere la forma di qualsiasi essere vivente di cui si nutre, il momento in cui il biologo della base Blair realizza che se l’alieno dovesse raggiungere la civiltà potrebbe rapidamente soppiantare l’intera umanità e dunque, lovecraftianamente, impazzisce...

La cosa è quindi principalmente un film che parla di paranoia e di sfiducia, negli altri ma anche in sé e nel proprio stesso corpo. A differenza di altri horror fantascientifici tipo Alien, il “mostro” del film non è particolarmente minaccioso, o quantomeno non si comporta come tale: dove lo xenomorfo era un predatore, la Cosa è semplicemente un parassita in cerca di un ospite, che attacca solo se messo alle strette e per il resto fa di tutto per passare inosservato. C’è di peggio: non solo le sue motivazioni non sono mai chiarite (al di là della basilare necessità di sopravvivere), il film non spiega neanche cosa significhi venire “sostituito”; un umano che viene soppiantato dalla sua versione aliena sa di non essere umano? Oppure è convinto di essere dalla parte giusta, e la rivelazione sulla sua vera essenza sarebbe shockante anche per lui?

C’è pochissima azione vera in La cosa, non ci sono scontri con il mostro o sequenze d’inseguimento e di tensione: la semplice presenza di un parassita invisibile trasforma i dodici membri della spedizione nei peggiori nemici di loro stessi, e li trasforma contemporaneamente in vittime e carnefici, con l’ulteriore incertezza su chi appartenga a quale categoria. Più che un film di paura intesa in senso classico è un film di dubbi e sfiducia, che sono il motore dietro ogni svolta narrativa e che coinvolgono non solo i personaggi, ma anche chi sta dall’altra parte dello schermo, che non sa nulla di più di quello che si veda sullo schermo e di quello che sostengano, spesso contraddicendosi tra loro, i protagonisti; neanche arrivare alla fine scioglie tutti i dubbi, in quello che è uno dei finali aperti più cinici e nichilisti della storia del cinema.

Kurt Russell

“Il film più odiato di tutti i tempi”

Curiosamente, tutto quanto abbiamo scritto finora presentandolo come “i motivi per cui La cosa è un film magnifico” è anche il motivo per cui la critica nel 1982 lo demolì senza alcuna pietà. L’impeccabile Wikipedia raccoglie come sempre una serie di pareri dell’epoca: per il New York Times il film era “divertente solo se vi piacciono i ragni con la testa da uomo e le autopsie canine” (certo che sì!), il Los Angeles Times lo definì “disperato, nichilista e privo di sentimenti” (è esattamente il punto!), il bisettimanale New York criticò il fatto che la minaccia si vede solo da fuori, e il film non si concentra su cosa significhi venire assimilato (per quello se volete esiste il racconto The Things).

Senza stare a citare ogni singola recensione negativa uscita all’epoca, il punto del nostro discorso è proprio questo: La cosa è un film gelido e nichilista, dove l’unico modo per sopravvivere è mettere a tacere i propri sentimenti e ogni senso di cameratismo e amicizia, perché nel momento in cui ti trovi di fronte a una minaccia che può assumere la forma di letteralmente qualsiasi creatura vivente e vuoi uscirne vivo non c’è altra soluzione che non fidarsi di nulla e tenere il dito saldo sul grilletto (della pistola o del lanciafiamme). È ingeneroso e fuori fuoco criticare il film di Carpenter per quello che non è; La cosa non vuole essere Alien, non vuole essere un altro film di invasione aliena tipo L’invasione degli ultracorpi, e sicuramente non vuole essere una versione ottimista e non violenta di questo sottogenere come un altro film sci-fi uscito nel 1982 con tutt’altri risultati (parliamo di E.T.). Soprattutto, ed è forse il dettaglio fondamentale, La cosa è, e vuole essere, un film senza speranza fin dall’inizio: non esiste alcuna versione del film di Carpenter nel quale il MacReady di Kurt Russell (che si può identificare con la figura del protagonista principale, anche se forse il termine non è adeguato) riesce a sconfiggere la Cosa e a vivere per sempre felice e contento. Nel momento in cui l’alieno si scongela ed entra in contatto con una creatura vivente, tutti e 12 i membri della spedizione sono spacciati, e La cosa diventa semmai una lunga e dolorosa presa di coscienza della loro condizione (intervallata con scene ultra-gore nelle quali Rob Bottin dimostra perché è uno dei più grandi di sempre). La cosa, in altre parole, è una malattia incurabile e molto contagiosa: scoprire che ce l’hai è una condanna, e tutto quello che ti resta è fare il possibile perché non si diffonda troppo.

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