La città verrà distrutta all’alba è un remake sorprendentemente buono
La città verrà distrutta all’alba è uno di quei rari casi in cui fare il remake di un film di George Romero non è una cattiva idea
Alzi la mano chi, nel lontano 2010, avrebbe scommesso due euro sul regista di Sahara con Matthew McConaughey e Penélope Cruz. Ora che siete rimasti in tre: alzi la mano chi tra voi, sempre nel lontano 2010, avrebbe scommesso due euro sul fatto che il regista di Sahara fosse la scelta giusta per il remake di un film di George Romero, The Crazies, distribuito in Italia con il fenomenale titolo di La città verrà distrutta all’alba. Non vediamo più mani alzate, ed è comprensibile. Eravamo nel pieno di un periodo nel quale gli horror dei grandi maestri del passato venivano ripresi e modernizzati a ritmo di catena di montaggio, un vizio che non risparmiò neanche George Romero, che nel 2004 aveva visto i suoi storici cadaveri deambulanti ripresi e trasformati in corridori ferocissimi nel remake di L’alba dei morti viventi di Zack Snyder. Breck Eisner, per l’appunto il regista di Sahara, non aveva fin lì dimostrato alcuna affinità con l’horror. E La città verrà distrutta all’alba non era, per usare un eufemismo, uno dei film più noti di Romero – anzi fu un flop clamoroso, che non arrivò a incassare neanche 150.000 dollari. Eppure...
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La città verrà distrutta all’alba era un film che parlava di un’arma biologica involontariamente rilasciata nelle campagne di un piccolo paesino dell’America più rurale che c’è – il classico centro abitato da un migliaio di abitanti e circondato da chilometri e chilometri di campi coltivati, strade infinite e un sacco di nulla – e che provoca, nelle persone che ci vengono a contatto, una rabbia incontrollata e incontrollabile, che le trasforma in potenziali killer. E siccome Romero è sempre stato affezionato ai simboli e alle metafore oltre che al sangue e alla violenza, il film era in realtà una riflessione sulla quiete apparente di certi piccoli centri abitati, un survival movie che si basava sulla terrificante prospettiva che il tuo vicino di casa che salutava sempre potesse un giorno svegliarsi con un unico pensiero in testa: farti saltare le cervella.
Che è (perdonateci i continui riferimenti) la stessa che nel 1973 colpì l’altrettanto minuscola Evans City, Pennsylvania: c’è un’arma biologica che fa impazzire la gente, e che finisce per sbaglio nell’acquedotto cittadino. Segue una rapida discesa agli inferi per l’intero paese, che prima diventa teatro di omicidi a sangue freddo tra vicini di casa e poi viene invaso e messo in quarantena dal sempre valido nemico chiamato “esercito”, che ha l’ordine di non far uscire la gente infetta dal perimetro e di evacuare più gente possibile prima di fare quello che c’è scritto nel titolo, cioè detonare un ordigno nucleare sulla povera città, distruggendola all’alba.
Eisner segue quindi il tentativo di fuga (e di capirci qualcosa, anche) dello sceriffo e della dottoressa, ai quali si uniscono nel corso del viaggio altre figure più o meno archetipiche che potrebbero o non potrebbero fare una brutta fine. È una struttura semplicissima e lineare, che parte carica d’atmosfera e pian piano evolve (o degenera) in confronti sempre più violenti ed estremi man mano che la confusione (“che cosa sta succedendo alla gente?”) lascia il posto all’indignazione (“avete fatto casino e ora volete ammazzarci per nasconderlo!”); La città verrà distrutta all’alba è un film di gente che passeggia e di gente che si spara, e la proporzione tra le due si sposta lentamente ma inesorabilmente verso la seconda con il passare dei minuti, per concludersi in un climax che, questo sì, è molto più rumoroso ed esagerato di quello dell’originale, pur senza tradirne il messaggio di fondo. Nel 2010 non ci avremmo scommesso due euro, e ci saremmo sbagliati clamorosamente.