La casa dei fantasmi (del 2003) è frettoloso come un giro su una giostra

La casa dei fantasmi (2003) era un tentativo di unire le attrazioni Disney con il cinema. Qualche mese prima, qualcuno aveva fatto meglio

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A distanza di 20 anni non è cambiato molto. C’era un’attrazione molto popolare dei parchi a tema Disney, la Haunted Mansion, e c’è ancora. Un nome troppo forte per non essere capitalizzato in qualche modo. Così è arrivato La casa dei fantasmi, il primo tentativo targato 2003 di cui parliamo oggi, mentre nelle sale si proietta il nuovo film, di cui trovate qui la recensione

Potrebbe essere un film sul divorzio La casa dei fantasmi con Eddie Murphy. Lui interpreta Jim Evers, un agente immobiliare troppo preso dal lavoro. Sua moglie Sara è al limite della pazienza. La famiglia ha bisogno di passare del tempo assieme. Così decidono di prendere i due figli e andare a fare una gita al lago. Megan è piccola, ma sa il fatto suo, Michael invece è ancora insicuro e terrorizzato dai ragni.

Prima di concedersi la vacanza l’intera famiglia, vittima della decisione del padre, si ritrova in un’enorme villa che deve essere venduta. Jim fiuta l’affare, ma ancora non sa che l’odore è quello dei fantasmi che vivono all’interno.

Fa impazzire che nei titoli di testa, che raccontano la backstory degli abitanti della casa, ci sia più trama, intrighi e tradimenti, di quello che si vede nel resto del film. La casa dei fantasmi è infatti un film convinto che il suo compito sia arrivare il prima possibile al punto. Dove per punto si intende la sequenza per cui lo spettatore paga, non il senso della storia. 

A Rob Minkoff, reduce da Il re leone e Stuart Little, viene affidato il compito di fare un film smorzato sotto ogni suo aspetto. Quando fu annunciato il progetto, online iniziò a muoversi la curiosità degli appassionati dell’attrazione. Loro sognavano Tim Burton, la Disney voleva però fare un altro film.

Spaventati che ti passa

Non è questo lo spazio per discutere di quanto sia importante spaventare i bambini al cinema. Non per traumatizzarli, è ovvio, ma si può farlo con storie alla loro portata che li facciano convivere con l’emozione della paura a piccole dosi per poterla conoscere meglio. Deleghiamo questo compito a Inside Out. Per ora.

Fatto sta che La casa dei fantasmi avrebbe potuto fare paura conservando allo stesso tempo il suo bollino di film per famiglie. Senza andare a scomodare Joe Dante e la sua dedizione al brivido divertente, si capisce che Minkoff aveva in testa un film di questo tipo. Una commedia molto divertente, ma anche una parte centrale con qualche salto sulla sedia che permettesse proprio di ridere di questo spavento. Invece la sceneggiatura di David Berenbaum ridimensiona entrambi i propositi. 

Lo si capisce al primo battito sull’enorme porta. Il film non è fatto per mostrare dei personaggi che fanno cose, bensì per filmare la casa dentro cui, incidentalmente, ci sono degli esseri umani con cui ci si possa minimamente identificare. 

Famiglie molto belle, molto unite, molto disperate, molto in crisi. Tutto contemporaneamente, per non lasciare indietro nessuno. Basta un giro di giostra (dell’orrore) e tutto si rimette a posto. Così Eddie Murphy fa esattamente quello che ci si aspetterebbe da lui. Diventa un veicolo; uno strumento per esplorare le scenografie (belle, ma non memorabili) e dare un minimo di carisma al film invogliando a provare l’attrazione.

Ecco l’adattamento vecchio stampo, la forma mentis di inizio anni 2000 quando si produceva un film tratto da qualcosa di non narrativo: riprodurre l’esperienza di fruizione. Così si pensava che il pubblico pagante sarebbe entrato proprio per la scena in cui Jim Evers attraversa la casa, intrappolato, e si spaventa, scappa, incontra zombie, fantasmi e recupera un oggetto che può risolvere tutto.

Che sballo essere imprigionati e condannati a pene infernali!

Il film è una giostra, perché è tratto da una famosa attrazione Disney (con buona pace di Scorsese). Tutti gli attori recitano come se si divertissero tantissimo a farsela sotto. Come se scappare da quella casa fosse proprio quello che serviva per evadere dallo stress del lavoro. 

Fu immancabile la partnership con McDonalds, il marketing diffuso, con immagini e gadget del film buttati un po’ ovunque per cercare di lanciare un franchise. Non andò malissimo al botteghino, ma non così bene da incoraggiare un sequel immediato. Ci pensarono però! C’era Guillermo del Toro alla sceneggiatura del primo progetto di remake ma, come spesso capitava con lui, non se ne fece niente. 

Se oggi La casa dei fantasmi gode di una crescente popolarità come film di Halloween è probabilmente merito dell’eroe del film: Rick Baker. L’effettista e truccatore di Un lupo mannaro americano a Londra (per dirne uno) è l’unico tra i comparti tecnici, che presti veramente servizio al film. Si intravede una personalità quando compaiono i, pochi, mostri. È credibile la maggior parte degli effetti visivi e c’è giusto quel minimo di fantasia nel farli apparire che male non fa. 

La casa dei fantasmi può oggi vivere solo sulla nostalgia di una cassetta o un DVD noleggiati e guardati ad Halloween a inizio secolo, da piccoli, con gli amici o in famiglia. Più interessante invece vederlo sotto l’aspetto di un tentativo, fallito, di integrazione tra due settori di intrattenimento redditizi. Il film di Rob Minkoff finisce per essere un prodotto commerciale senza ispirazione e senza personalità. 

A peggiorare la sua situazione ci fu anche il tempismo. Arrivò in sala nel novembre 2003. Qualche mese prima, a luglio, nelle sale americane era arrivato un altro film tratto da una celebre attrazione che aveva dimostrato quanto questo tipo di cinema questo potesse essere una grande idea. Un film che aveva fatto tutto giusto, seguito poi da La casa dei fantasmi che aveva fatto quasi tutto sbagliato. Il film si chiamava: Pirati dei Caraibi - La maledizione della prima luna.

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