L’appartamento compie 60 anni ed è ancora il film da vedere per vincere le fatiche del lavoro e l’alienazione

L’appartamento, capolavoro di Billy Wilder, compie 60 anni in questi giorni: è ancora il film da vedere per vincere le fatiche del lavoro e l’alienazione

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C.C Baxter (Jack Lemmon) è un sempliciotto ambizioso. Grande lavoratore, vive solo e presta il proprio appartamento alle scappatelle amorose dei colleghi. Incapace di dire no, e bramoso della promozione promessa in cambio del favore, si abbandona alla volontà altrui. Innamorato di miss Kubelik (Shirley MacLaine), Baxter la osserva da lontano. La ragazza è vittima dei giochi del suo amante, Jeff Sheldrake, che si compiono proprio nell’appartamento dell’impiegato.

Raccontare l’High Concept (l’idea di trama) di L’appartamento, il film diretto da Billy Wilder che in questi giorni compie 60 anni, è come risolvere un’operazione matematica fatta di parentesi tonde e quadre. Un concetto semplice: un uomo affitta l’appartamento ai colleghi. Tante diramazioni: quando a chiedere le chiavi di casa sarà il suo capo, l’impiegato avrà accesso a molti benefici. Ma anche: quando l’uomo avrà la possibilità di osservare le tresche avvenute nella sua casa si renderà conto dei drammi e dei cuori infranti da queste piccole scappatelle. E infine: questo via vai dalla sua casa darà adito ai vicini di costruire una personalità dell’uomo molto lontana dal vero.Diceva Wilder che una sceneggiatura deve essere costruita sapendo dove andare e nascondendo il tema principale con sottotrame, hook (letteralmente ganci, si intendono i tormentoni e le battute ricorrenti), e situazioni che richiamino sempre l’idea iniziale. Così è. L’appartamento, una delle commedie più sottili, matematiche, precise e perfette mai scritte. E visto ancora oggi fa bene. Perché racconta le fatiche del lavoro ridendone e ritrovando la più spiccata umanità.

Il cuore de L’appartamento non è infatti la storia d’amore o il meccanismo comico, legato alle situazioni assurde e paradossali. L’appartamento è un film di folle e di persone comuni.

Sin dall’inizio Baxter viene inquadrato all’interno di un ufficio vastissimo e brulicante di persone, ma è solo. Così sarà per gran parte del film: isolato nella folla.

Si dice che per dare l’impressione di profondità Wilder abbia posto in primo piano gli attori su tavoli più grandi e, per creare l’illusione ottica, abbia messo bambini vestiti da adulti su tavoli piccoli sullo sfondo.

Il personaggio di Baxter si definisce attraverso i due ambienti: un ufficio pieno di persone con gradi diversi che sono la misura con cui egli valuta se stesso, e una casa vuota invasa dai colleghi. Vita privata e lavoro non sono distinti, ma si incrociano e si invadono a vicenda.

Wilder aveva bisogno di un look diverso per poter comunicare visivamente la presenza di una persona in un mondo popolato da personaggi tutti uguali come vestiti, etica e stile di vita. La scelta ricadde sulle lenti widescreen anamorfiche in bianco e nero. L’immagine veniva catturata dalla cinepresa, compressa e decompressa, per arrivare a un rapporto di aspetto di 2.35:1. Ovvero un formato molto largo e rettangolare rispetto al quadrato della televisione.

La pellicola in bianco e nero aveva inoltre una sensibilità tale da permettere riprese con ampia profondità di campo. Wilder usa tutta l’immagine per creare l’effetto comico. Un personaggio è in primo piano, l’altro si muove dietro, prende oggetti, li sposta. L’inquadratura è statica, ma c’è molto movimento nello spazio.

La scenografia dell’ufficio e dell’appartamento stesso sono veri e propri personaggi, come dimostra anche questo simpatico video saggio creato dalla piattaforma Mubi in cui i personaggi sono stati rimossi digitalmente dalle scene.

Fran Kubelick è un’ascensorista. Aiuta le persone a raggiungere il proprio ufficio in ascensore. Tutti sono innamorati di lei. Normale, date le gradevoli fattezze di Shirley MacLaine.

Ma non è solo estetico questo interesse: in un film come L’appartamento ogni oggetto vive (dallo specchio rotto come il cuore della donna allo spumante come simbolo erotico).

L’ascensore altro non è che un’immagine della scala sociale, della carriera lavorativa.

Salire di piano significa cambiare la propria vita, acquisire importanza ed emergere dalla folla. Non è quindi un caso che tutti i personaggi del film vogliano in qualche modo compiacere la donna che permette di portarli al piano successivo.

Nella screwball comedy di Wilder il destino è già scritto dal “Dio sceneggiatore”. Per quanto le vite possano intrecciarsi e allontanarsi, chi guarda sa già che l’esito di questo movimento sarà un nodo che porterà Baxter e Kubelik a stringersi. Non è il cosa che interessa, ma il come. Wilder lo sa e gioca continuamente con le aspettative. La regia e la sceneggiatura hanno l’innata capacità di leggere nella mente di chi guarda. Sono sempre un passo in avanti. Prevedono ciò che si crede sarà la battuta successiva e giocano con le attese.

L’appartamento compie 60 anni, ma resta un attualissimo pezzo di cinema per quanto riesce a fondere i momenti più drammatici (il tentato suicidio con le pillole) e a condirli con ironia. E, soprattutto, per come affronta il tema delle maschere, necessarie a distinguersi dalla massa e per avere una propria personalità, ma anche elemento di alienazione rispetto al vero senso della vita.

Più Baxter sale nella carriera lavorativa, più il suo ufficio si svuota. L’apice di una vita spesa a cercare di emergere e allontanarsi dalla confusione dei lavoratori indistinti. Ma il lieto fine è un’altro: egli abbandona l’ufficio, ormai vuoto, per potersi meritare una persona con cui condividere e riempire l’appartamento, ormai diventato casa.

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