Kris Kristofferson: 10 opere imperdibili tra cinema e musica

L'altro ieri è morta una figura fondamentale della musica e del cinema americano. Ripercorriamo la sua carriera alla ricerca delle opere fondamentali

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Icona americana, poeta country, ma anche attore fra i più rappresentativi della New Hollywood e anima democratica degli Usa: tutto questo è stato Kris Kristofferson, scomparso il 28 settembre all’età di 88 anni. Tanti ne stanno ricordando l’eclettismo, quello di un vero “uomo del Rinascimento” che ha mischiato cinema e musica, poesia e protesta, sempre nel segno di una monolitica coerenza morale. Impossibile scegliere tra i suoi due amori: ecco le 10 opere da recuperare per conoscere Kristofferson, scelte tra film e produzione musicale.

Kristofferson (1970)

L’album che rivela al mondo il talento di Kristofferson è una summa perfetta del suo stile musciale sobrio, al confine tra country e folk, e del suo talento per i testi. Come i migliori poeti in musica americani aveva la capacità di sintetizzare in tre minuti interi affreschi esistenziali, pennellando frasi che sono rimaste impresse nella coscienza di più generazioni. Alcuni dei suoi capolavori più grandi, da Me and Bobbie McGee a Sunday Morning Comin’ Down, si trovano in questo esordio.

Me and Bobby McGee – Janis Joplin (1971)

Fa storia a parte la cover incisa da Janis Joplin per il suo album Pearl, uscito postumo nel 1971. Una versione da studiare nelle scuole per come prende un testo leggendario e ne stravolge la musicalità, trasformandone la cantilena sonnacchiosa in un inno country-blues da brividi. Se c’è qualcosa che (nel suo immenso talento) Kristofferson non è mai stato, è un grande cantante. Per fortuna il suo Texas ci ha dato anche l’interprete capace di rendere giustizia alle sue liriche fra malinconia e libertà.

Pat Garrett e Billy the Kid (1973)

“Times have changed”. “Times, maybe. Not me”. Sembra uno degli aforismi che si trovavano nelle sue canzoni. Invece è la frase-simbolo del capolavoro di Sam Peckinpah, monumento del western crepuscolare dove Kristofferson incarna la più memorabile versione cinematografica del mito di Billy the Kid. Una delle vette della New Hollywood. Una lezione di stile e sofferta umanità. Da conoscere a memoria.

Alice non abita più qui (1974)

C’era uno Scorsese diverso che negli anni si è un po’ venuto a perdere. Capace di allontanarsi dai suoi gangster per assumere lo spirito vagabondo e ironico di quel cinema americano che andava riscrivendo le proprie regole. E di raccontare il mondo al femminile. Nei panni dell’everyman (per quanto possibile) che si innamora di Alice/Ellen Burstyn e stringe amicizia con suo figlio, Kristofferson non è mai stato una presenza così calda e affascinante. Naturalmente chitarra alla mano.

È nata una stella (1976)

Prima di Lady Gaga e Bradley Cooper (ma dopo Janet Gaynor/Frederick March e Judy Garland/James Mason) ci furono Barbra Streisand e Kris Kristofferson. Fu proprio la Streisand a volere il cantautore texano come coprotagonista, riconoscendone l’intensità musicale e la straordinaria presenza scenica. Il film vinse un Oscar per la canzone Evergreen.

Convoy (1978)

Alle porte degli anni 80 uno dei film che meglio incarnano la libertà espressiva e politica dei 70. Tra western, road movie e commedia surreale Sam Peckinpah racconta la protesta improvvisata di un convoglio di camionisti come una specie di esodo biblico, dove rivivono in chiave leggera le mitologie fuorilegge e lo spirito anarchico dei suoi capolavori. E chi meglio dell’eterno contestatore Kristofferson col suo carisma per guidare la carovana?


I cancelli del cielo (1980)

Il film che chiuse un’epoca (col suo fallimento commerciale si fa finire simbolicamente la New Hollywood) è uno dei più grandi western mai girati, nonché uno dei più progressisti: l’apice del perfezionismo folle di Michael Cimino e contemporaneamente uno spaccato d’America multiculturale visto decisamente da sinistra. Kristofferson era il protagonista perfetto a tutti i livelli. E quella del bacio in controluce con Isabelle Huppert è LA scena della sua carriera.

Highwayman (1985)

Mezz’ora scarsa di musica per riunire quattro leggende del country americano: Kristofferson, Willie Nelson, Waylon Jennings (le tre icone della corrente outlaw degli anni 70) e Johnny Cash, che di quel modo “sbagliato” e ribelle di approcciare il genere tradizionale per eccellenza era stato uno dei grandi ispiratori. Nel miglior spirito country quasi tutti i brani sono cover. Ma che piacere sentirle cantare da dei maestri.

Stella solitaria (1996)

Di John Sayles e dei suoi affreschi americani, scritti con la raffinatezza e la coralità della miglior letteratura, non si parla abbastanza. In questo bellissimo film tra noir e western, tra Coen e Robert Altman, Kristofferson ha una parte piccola ma indimenticabile nei panni dello sceriffo Charlie Wade, razzista e corrotto. Non aveva mai fatto così paura come quando interpretò l’antitesi di sé stesso e di tutti i suoi ideali. E anche per questo è impossibile non volergli bene.

Blade (1998) e Blade II (2002)

Anche dopo il suo periodo di gloria Kristofferson era rimasto un caratterista molto richiesto a Hollywood, con un volto perfetto per personaggi dalla moralità spiccata e incorruttibile. Il cinema di genere si è rivolto spesso a lui: oltre a Il pianeta delle scimmie (2001) di Tim Burton va ricordata la sua partecipazione al dittico Blade, dove indossò i panni di Abraham Whistler, mentore e compagno di avventure del vampiro interpretato da Wesley Snipes.

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