Kong: Skull Island e le stranezze del MonsterVerse

Kong: Skull Island è un perfetto riassunto del MonsterVerse, nel quale coesistono momenti gloriosi e incredibili idiozie

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Kong: Skull Island va in onda su Italia 1 e Italia 1 HD questa sera alle 21:20

Il MonsterVerse di Legendary è un mostro strano, e Kong: Skull Island ne è la plastica dimostrazione. Concepito per portare su grande schermo una serie di, appunto, mostri famosi della storia del cinema, a cominciare da King Kong e Godzilla, è stato costruito un po’ a caso nel corso di quattro film che riescono nell’impresa di coniugare il meglio e il peggio del cinema di mostri ad alto budget di questo millennio. Se il MCU è l’esempio da seguire quando si tratta di creare una narrazione orizzontale coerente e spalmata su decine di film, e quello DC è invece additato come modello da non imitare, il MonsterVerse sta esattamente a metà strada, come una sorta di mostro democristiano: qualcosa funziona, qualcosa non funziona, qualcosa è bello, qualcosa è impresentabile. Lo stesso discorso che vale per Kong: Skull Island, forse anche più che per gli altri tre (per ora) film del franchise.

Kong: Skull Island: riassunto delle puntate precedenti

Innanzitutto: che cos’è Kong: Skull Island, come si colloca nel MonsterVerse, e che legame ha con il King Kong di Peter Jackson, l’ultima opera cinematografica dedicata al gorilla gigante? Partiamo proprio da qui, riassumendo la situazione in una parola: reboot. Inizia tutto quando il capo di Legendary Thomas Tull riesce ad acquisire i diritti sia per Godzilla sia per King Kong, e comincia a ragionare sul modo migliore per portarli al cinema. Stando a Max Borenstein, sceneggiatore ufficiale del MonsterVerse visto che ha scritto tutti e quattro i film, l’idea iniziale non era quella di un universo condiviso, ma di un semplice reboot di Godzilla (l’ennesimo, e il primo dopo il pessimo lavoro fatto da Emmerich nel 1998), utile a misurare la temperatura e la voglia del pubblico di andare al cinema a vedere film di mostri.

E in effetti Godzilla di Gareth Edwards, datato 2014, è un film che si regge sulle sue (gigantesche) gambe, e avrebbe anche potuto restare un unicum, o al limite diventare il primo di una trilogia dedicata alla lucertola atomica. Invece per Kong: Skull Island Tull chiese a Borenstein qualcosa di diverso: un film sulle origini di King Kong, certo, ma che stabilisse anche in maniera chiara che il primate di Skull Island esiste nello stesso universo del rettilone di Tokyo. La soluzione di Borenstein è un po’ come tutto il MonsterVerse: assurdamente e inutilmente complicata, affascinante, un po’ confusa e alla quale è impossibile non volere almeno un po’ di bene; Kong: Skull Island è contemporaneamente un sequel e un prequel del Godzilla di Edwards, ed è ambientato negli anni Settanta, un’intuizione che serve sia a dettare il tono del film sia, non sappiamo quanto volontariamente, a preparare al meglio la strada per i due capitoli successivi.

Kong: Skull Island mostri

Kong: Skull Island e Jordan Vogt-Roberts

Una cosa che il MonsterVerse fa benissimo, anche meglio di altri noti universi cinematografici, è la scelta dei nomi autori dietro ai film. L’idea di prendere un autore indipendente e abituato ai piccoli budget e di proporgli un progetto fuori scala rispetto alle sue abitudini, sfidandolo ad adattarsi al salto senza perdere la sua visione, non è esclusiva di Legendary: ci ha provato Marvel affidando Ant-Man a Edgar Wright, ci ha provato DC coinvolgendo David Ayer per Suicide Squad, volendo ci ha provato anche Disney quando diede Solo a Phil Lord e Chris Miller (che però si erano già fatti le ossa con The Lego Movie). Avrete forse notato un minimo comun denominatore in tutti questi esempi: non sono andati benissimo, e in certi casi l’autore in questione ha abbandonato il set prima delle fine delle riprese.

Anche Legendary ha deciso di seguire questa strada: prima di Godzilla Gareth Edwards aveva diretto un solo film, Monsters, che era costato meno dello stipendio settimanale di Cristiano Ronaldo, e prima di Skull Island Voigt-Roberts veniva dal Sundance e dalla commedia indipendente; vedetela come volete, ma l’idea di affidare un film su un gorilla gigante che vive su un’isola popolata da dinosauri e altri mostri a un regista che fino a quel momento aveva diretto solo il dramma indipendente The Kings of Summer è abbastanza folle che ha la possibilità di rivelarsi geniale. Immaginiamo che il ragionamento di Thomas Tull sia stato il seguente: “fare i mostri in un film di mostri non è difficile, quello che è difficile è trovare qualcuno che lo giri mantenendo vivo e vitale anche l’elemento umano, l’empatia, il coinvolgimento del pubblico grazie a una serie di personaggi interessanti e con i quali identificarsi. Se chiamo un regista di film indipendenti e tutti basati sui personaggi ho risolto la questione”.

Polposo sì

E invece...

E invece Jordan Vogt-Roberts stupisce tutti, e decide che se hai a disposizione King Kong e un’isola popolata da mostri non vale la pena perdere troppo tempo dietro agli esseri umani. In superficie, Kong: Skull Island funziona come tutti i film su King Kong: c’è una spedizione che arriva su Skull Island e scopre che è popolata da mostri di ogni genere, il più grosso dei quali è un primate talmente enorme che viene spontaneo pensare di catturarlo e riportarlo nella civiltà. Visto però che il film deve collegarsi in qualche modo al Godzilla di Edwards, la spedizione di turno non va su Skull Island alla cieca, ma specificamente in cerca di mostri giganti: nel 1973, anno nel quale è ambientato il film, esiste addirittura un’organizzazione governativa americana chiamata Monarch che si occupa di individuare e studiare questi Titani, come li chiamano nella serie.

Per cui la spedizione su Skull Island parte armata di tutto punto: la guida John Goodman nel ruolo dell’uomo delle istituzioni, lo seguono Tom Hiddleston (ex soldato del Vietnam assoldato per via della sua esperienza come cacciatore), Samuel L. Jackson (il capitano Achab del film, dove Kong è la sua Moby Dick) e Brie Larson (la giornalista con il compito di osservare e raccontare). Giunta sull’isola, la spedizione viene immediatamente dispersa a cazzotti da King Kong in persona, che non apprezza l’invasione del suo spazio vitale, e da lì comincia un doppio film, con due gruppi separati che devono sopravvivere a Skull Island e trovare il modo di fuggire, magari portandosi dietro Kong.

Brie e Tom

Mostri sì, esseri umani no

Tutto bene sulla carta, il problema è l’esecuzione. Se infatti la parte, diciamo così, “mostrologica” del film è inattaccabile, e in linea per spettacolarità e inventiva con l’inimitabile modello di Peter Jackson, quella umana è disastrosa. Un po’ perché Vogt-Roberts sembra non capire che non basta avere un volto noto per ottenere un personaggio interessante: sia Tom Hiddleston sia Brie Larson vengono lasciati senza direzione alcuna, e così il primo si inventa un protagonista piatto e senza una briciola di personalità, la seconda dimostra addirittura di non essere particolarmente abituata a lavorare con il green screen e passa gran parte del film a guardarsi in giro con aria smarrita, probabilmente immaginandosi mostri dove poi il reparto VFX non li ha aggiunti. Si salva giusto Samuel L. Jackson, il cui ruolo richiede di andare sopra le righe tutte le volte che è possibile, ma anche la sua costante lotta (a distanza) con King Kong dopo un po’ diventa ripetitiva: c’è un limite a quanto si possano citare Moby Dick e Apocalypse Now senza stufare.

Anche l’idea di spezzare la tensione con la linea comica, rappresentata da John C. Reilly, è assurda e sgangherata quanto il resto della sceneggiatura. Si arriva così al punto che ogni volta che sullo schermo compare Kong che prende a pugni elicotteri o altri mostri non si può che esultare, perché lo spettacolo visivo è all’altezza delle aspettative e Vogt-Roberts dimostra anche di avere idee originali di messa in scena e coreografie; e al contrario ogni volta che Kong se ne torna nella giungla e l’attenzione si sposta su Tom, Brie e compagnia la tentazione di skippare si fa quasi insopportabile. Per cui, nonostante tutte le buone intenzioni del mondo, per Kong: Skull Island vale il discorso che poi si potrà riciclare anche per Godzilla: King of the Monsters, e chissà forse anche per Godzilla vs. Kong: il voto al film di mostri è altissimo, intorno al 9, mentre il voto al film di esseri umani si aggira intorno al 4.

Facendo una media siamo sul 6,5: ci sono modi molto peggiori per riempire una serata.

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