Kickboxer: Retaliation: c’erano Van Damme, Mike Tyson e Ronaldinho...
Kickboxer: Retaliation è la dimostrazione che con tanta libertà creativa e un po’ di locura si può creare qualcosa di bello
Per apprezzare appieno Kickboxer: Retaliation, il sequel del reboot del franchise che nel 1989 contribuì a lanciare definitivamente la carriera di Jean-Claude Van Damme, dovete appartenere a una specifica categoria di persone, e soddisfare certi pre-requisiti. Dovete accettare in partenza il fatto che si tratta, per l’appunto, del remake di un classico, privo del suo portato mitologico, un’operazione fatta con passione e fuori tempo massimo. Dovete essere in grado di passare sopra al fatto che si tratta di un film che dopo un rapido passaggio in sala è finito subito in VOD e home video, e che effettivamente ha più l’aspetto di un DTV di lusso che di un film per il cinema. Dovete sopportare una serie di prove attoriali discutibili, a partire da quella del protagonista Alain Moussi. Dovete non storcere il naso quando il regista Dimitri Logothetis si lascia andare a momenti di sublime pacchianeria da soap opera e a inspiegabili sequenze oniriche.
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Risse come questa, piazzata praticamente a inizio film, per mettere subito in chiaro dove si vuole andare a parare (partite da 00:50):
Kickboxer, l’originale con Jean-Claude Van Damme, era la storia di un secondo violino che si scopriva superstar dopo la paralisi del fratello Eric. Kickboxer – La vendetta del guerriero, uscito invece nel 2016, era un tentativo di resuscitare il franchise (che era andato avanti con altri quattro film) facendolo ripartire da capo: spostava Van Damme dalla casella del protagonista a quella del mentore, introduceva un nuovo Kurt Sloane e un nuovo Tong Po (Dave Bautista al posto di Michel Qissi), e per il resto ripeteva, drammatizzandolo ancora di più, lo schema del film del 1989.
Proprio il ruolo nuovo Sloane era uno dei punti deboli del progetto: Alain Moussi è uno stuntman e un artista marziale esperto di jiu-jitsu e kickboxing, ma è anche un attore con una frazione del carisma di Jean-Claude Van Damme, e in La vendetta del guerriero aveva anche la sfortuna di venire diretto da un regista, John Stockwell, per nulla a suo agio con certe scene d’azione e certe coreografie. Per cui il reboot di Kickboxer andò così così – ma non abbastanza male da impedire alla produzione di programmare ben due sequel, il primo dei quali è, appunto, Kickboxer: Retaliation.
Per Retaliation, la produzione passa in mano tra gli altri a Dimitri Logothetis, che aveva già scritto La vendetta del guerriero e che aveva (e più o meno ha ancora) alle spalle una lunga, onorata e parecchio anonima carriera cominciata nel 1987. Per l’occasione decide di occuparsi anche della regia e ancora una volta della sceneggiatura; ed essere contemporaneamente la persona che trova i soldi e che sceglie come spenderli dev’essere una sensazione liberatoria, almeno a giudicare dalla reazione di Logothetis. Che decide che Retaliation dev’essere tutto quello che La vendetta del guerriero non era riuscito a essere: uno showcase di combattimenti spettacolari innestati su una trama massimalista e a tratti idiota, piena di personaggi sopra le righe e situazioni improbabili, comparsate assurde e altrettanto inspiegabili momenti ultra-pop.
La storia di Retaliation è una delizia: Kurt Sloane ha ucciso Tong Po con il potere dei flashback (Bautista non torna in scena perché aveva altro da fare), e per questo è finito nel mirino del tizio che in Thailandia organizza quei combattimenti che hanno portato alla morte di Eric e di Tong Po. Il problema è quest’ultimo: era il campione, e ora che è stato sconfitto il titolo è passato a Sloane, che viene dunque prelevato da due finti poliziotti e riportato di peso in una galera thailandese, dove il suddetto organizzatore gli offre una via d’uscita: combatti per me, gli dice, e io ti lascerò andare, e non ammazzerò tua moglie che ho giustappunto appena rapito.
L’organizzatore, Thomas Moore, è un Christopher Lambert spaesatissimo e molto poco convinto di quello che fa; ma d’altra parte tutto Kickboxer: Retaliation è una collezione di facce note e un po’ disorientate. In galera Sloane incontra Mike Tyson, incontra il suo ex mentore Jean-Claude Van Damme che è stato accecato da Christopher Lambert e ora combatte con una benda sugli occhi, incontra persino Ronaldinho, nei panni di un prigioniero bravo a giocare a calcio e che per questo viene soprannominato “Ronaldo” (davvero).
In un modo o nell’altro, prima o poi nel corso del film tutti si menano con tutti (a parte Ronaldinho).
Il mondo di Retaliation è un luogo semplicissimo: non serve a nulla discutere, filosofare o argomentare, il modo migliore per risolvere qualsiasi problema, o anche solo per avere una conversazione, è prendersi a botte. Sloane incontra Mike Tyson (che nel film si chiama Briggs) in prigione: la prima cosa che fanno appena si vedono è una bella rissa. Tyson si mena anche con Van Damme (Durand), e anche Sloane fa a botte con Durand. Il nuovo campione di combattimenti illegali, quello che Thomas Moore vuole vedere scontrarsi con Sloane e che è interpretato dalla letterale montagna umana Hafþór Júlíus Björnsson (Montagna anche in Game of Thrones), compare in scena in almeno tre occasioni diverse, tutte e tre le volte urlando e mostrando i muscoli e poi rovinando di mazzate qualche povero malcapitato.
La cosa meraviglia di questo tripudio di cazzotti e calci in faccia è che tutto quello Alain Moussi non ha in termini in carisma lo recupera in atletismo e un buon occhio per il cinema – è lui a coreografare tutti i combattimenti, i suoi e quelli degli altri, ed è chiaro che ha tantissime idee e che trova in Logothetis il complice ideale per metterle in scena. Un classico modo di mostrare i muscoli registici girando un film d’azione è il combattimento in piano sequenza; in Kickboxer: Retaliation ce ne sono ben due, uno più bello dell’altro (letteralmente: il secondo non è purtroppo all’altezza del primo, per quanto avercene). C’è un combattimento girato in una sala degli specchi illuminata di blu che coinvolge Sloane e due artiste marziali in bikini e tatuaggi fosforescenti. L’attesissimo scontro finale tra Sloane e la montagna (Mongkut, si chiama, in onore di un noto sovrano thailandese) dura mezz’ora abbondante, e contiene più plot twist degli ultimi tre o quattro film di Shyamalan.
E in mezzo succede più o meno di tutto, e tutte le volte che non stanno volando pugni e calci Logothetis si abbandona ad altri istinti altrettanto assurdi, infilando le già citate sequenze oniriche, montaggi bizzarri e sgrammaticati che però per qualche motivo funzionano, crossfade da soap opera come se piovesse, primi piani intensi. Non tutto funziona, e d’altra parte Kickboxer: Retaliation è tutto tranne che un film perfetto; ma è un film pieno di idee e di voglia di fare, di provare, di sperimentare, e questo è ancora più importante.