Karate Kid III – La sfida finale è un gritty reboot ante litteram

Karate Kid III – La sfida finale è un film sulla perdita dell’innocenza, ma il salto rispetto ai due capitoli precedenti è troppo brusco e non funziona altrettanto bene

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Karate Kid III – La sfida finale è su Prime Video. Non è invece su Netflix, dove c’è il resto del franchise reboot compreso, e ovviamente Cobra Kai

Se pensate alla saga di Karate Kid come a un romanzo di formazione e di scoperta di sé stesso da parte di un adolescente in pieno sviluppo, Karate Kid III – La sfida finale è il momento della parabola nel quale il protagonista viene strappato dal suo universo un po’ zuccheroso fatto di perle di saggezza e riverbero anni Ottanta e scaraventato in mezzo alla strada, dove un gruppo di bulli lo riempiono di botte “perché forgia il carattere”. Insolitamente e anche sgradevolmente violento, lontano parente della favola rassicurante che era il primo film ma anche dell’avventura esotica del secondo, La sfida finale è una sorta di gritty reboot di sé stesso quando ancora i gritty reboot non andavano di moda, troppo simile all’originale e insieme troppo distante dal suo spirito per poterne replicare il successo.

La storia del franchise ve l’abbiamo già raccontata quando vi abbiamo parlato del secondo film: il successo di Karate Kid convinse la produzione di avere per le mani la più classica delle galline dalle uova d’oro, e Ralph Macchio e Pat Morita non poterono sfuggire alla tentazione del sequel immediato. Karate Kid III – La sfida finale uscì invece tre anni dopo, quando Macchio aveva già 27 anni e né John G. Avildsen né Robert Michael Kamen avevano granché voglia di tornare sui personaggi. Kamen in realtà un po’ di voglia ne aveva; ma la sua idea, come ha raccontato qui, era quella di prendere Daniel LaRusso e Miyagi e scaraventarli nella Cina del XVI secolo, dove avrebbero incontrato gli antenati dello stesso Miyagi e fatto scoprire al pubblico americano le gioie del wuxia.

AAAAA

Il passaggio più divertente dell’intervista sopracitata è quello in cui Kamen spiega che i produttori non presero benissimo la sua idea e gli proposero invece di fare “un altro Karate Kid”; Kamen inizialmente rifiutò, ma cambiò idea di fronte a un assegno particolarmente consistente. Karate Kid III – La sfida finale nasceva quindi già male: nessuno voleva davvero farlo, ma Columbia Pictures fece la più classica delle offerte che non si possono rifiutare.

Questa mancanza di entusiasmo traspare da ogni fotogramma del film, che abbandona le tentazioni esotiche del secondo per ritornare a Los Angeles, e mettere in piedi una storia che ricalca quella dell’originale in quasi tutti i passaggi. Con però sopra una bella passata di… come vogliamo chiamarla, maturità? Approccio adulto? All’inizio della saga, Daniel LaRusso è un adolescente confuso e insicuro, che trova nel karate, e nella sua amicizia con Miyagi, un punto di riferimento e un modello al quale guardare per ritrovare il proprio equilibrio. I primi due film sono una cronistoria della sua crescita, della sua presa di coscienza, ma non ancora della sua crescita definitiva: non bastano un torneo e un viaggio in Giappone per definirsi arrivati, e quello che ci si aspettava dal terzo capitolo era un film che proseguisse nella delicata esplorazione di una delle fasi più complicate della vita di un essere umano.

Karate Kid III - La sfida finale cattivi

E invece Karate Kid III – La sfida finale alza il volume fin dall’inizio. I bulli non bastano più: il vero villain del film è il Terry Silver di Thomas Ian Griffith, miliardario che fa i soldi scaricando scorie nucleari nella foresta vergine ed ex allievo/commilitone di John Kreese. Il karateka da sconfiggere è un “bad boy” che viene ingaggiato da Silver con l’esplicito scopo di fare del male, possibilmente duraturo, a Daniel. Kreese voleva umiliare Miyagi e dimostrargli di essere il miglior maestro di karate di Los Angeles; Silver vuole distruggergli la vita, condannarlo all’oblio, riempire la valle di decine di dojo controllati da lui, trasformare Cobra Kai in un franchise.

E allo stesso modo: in Karate Kid Daniel veniva inseguito e tormentato da un gruppo di bulli, che però si fermavano sempre prima della violenza vera; e l’unica volta che rischiavano di superare il limite Miyagi interveniva e fermava tutto. In La sfida finale la violenza è uno dei fil rouge dell’intero film – violenza organizzata, di stampo mafioso, ben lontana da quella adolescenziale dei primi due capitoli. A Daniel viene persino negato l’amore; come nei primi due film c’è un love interest, che però mette subito in chiaro di essere fidanzata e di voler solo essere sua amica (una necessità dettata anche dal fatto che Ralph Macchio aveva 27 anni e Robyn Lively 16); eppure neanche nella sua infinità castità la povera Jessica riesce a risparmiarsi minacce di stupro e persino di morte.

Jessica

Karate Kid III – La sfida finale prova anche a mettere in crisi il rapporto tra Daniel e Miyagi, ma anche questo strappo suona forzato e artefatto se messo a confronto con quanto dicevano i primi due film. Certo, volendo si può giustificare tutto quanto dicendo che Daniel è un adolescente e dunque naturalmente soggetto a cambi repentini d’umore e a gesti estremi; ma resta il fatto che guardando La sfida finale si ha la sensazione che manchi qualcosa, che quella che fino a quel momento era stata una crescita armoniosa stia subendo un’accelerata troppo brusca e troppo piena di scorciatoie.

È come se Daniel LaRusso non solo non fosse ancora pronto a quello che gli succede nel film, ma non lo sia neanche una volta che il film è finito; i suoi traguardi, la sua inevitabile vittoria nel combattimento finale che è un classico del franchise, non arrivano armonicamente, sono shock improvvisi che lo lasciano disorientato, e obbligano Miyagi a un ruolo da deus ex machina che avrebbe dovuto abbandonare dopo il primo film. L’idea stessa di chiudere Karate Kid III – La sfida finale come i primi due, con la vittoria di Daniel e la sua esultanza, senza lasciare spazio ad alcuna coda, è profondamente insoddisfacente: non stiamo più parlando di John Kreese che vede il suo miglior alunno perdere e dunque cade in disgrazia, ma di un criminale che ha messo Daniel nel mirino, e che arriva sui titoli di coda senza avere davvero perso. Certo, per tutto questo esiste Cobra Kai, direte voi. È vero, avete ragione, risponderemo noi, perché questo ci permette di far finta che Karate Kid 4 non sia mai esistito.

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