Jurassic World aggiorna la lezione dell’originale
Jurassic World è un sequel perfetto di Jurassic Park perché ne capisce la lezione più importante e la fa propria, aggiornandola
Jurassic World, quarto film del franchise creato da Steven Spielberg e primo ad abbandonare la parola “parco” in favore di “mondo”, uscì al cinema nel 2015 con un carico immenso di aspettative, e con risultati che, seppur strepitosi, non sono riusciti a tenerlo alla larga da qualche critica. Per ogni persona che ne lodava lo spettacolo visivo e tesseva le lodi di Chris Pratt ce n’era un’altra che lamentava l’abuso di CGI e l’eccessiva adesione al modello dell’originale del 1993 – tutti ragionamenti legittimi, che un po’ impallidiscono di fronte alla constatazione che il film ha incassato più di un miliardo di dollari, e soprattutto che non tengono in considerazione la caratteristica più importante di Jurassic World: è un ottimo sequel di Jurassic Park perché ne ha imparato la lezione principale, aggiornandola ai nostri tempi.
Jurassic World e Jurassic Park
Scritto da un team composito che comprende tra l’altro il regista Colin Trevorrow (uno che arrivava dai documentari e dalle commedie romantiche e che si è dimostrato fin da subito più che adeguato anche per un monster movie), Jurassic World (qui c’è la nostra recensione) è un film profondamente legato alla trilogia che lo precede, e al primo capitolo in particolare. A partire dall’idea di fondo: se Jurassic Park raccontava un parco in divenire e quindi ancora senza pubblico, World nasce per riproporre la stessa situazione di partenza (dinosauro molto grosso evade dal suo recinto e comincia a fare casino) ma nel contesto di un parco già ben avviato, e quindi strapieno di gente. Con le ovvie conseguenze dell’incontro tra dinosauri ed esseri umani, che in Jurassic Park venivano esplorate grazie a un manipolo di personaggi e che qui vengono allargate a una folla di migliaia di persone terrorizzate.
Jurassic World e gli incassi
Ci sono ovviamente anche elementi di novità in Jurassic World rispetto al modello originale (se così non fosse staremmo parlando di un remake in scala 1:1), a partire dall’aspetto tecnico: avere a disposizione vent’anni di avanzamenti tecnologici in più rispetto a Spielberg permette a Trevorrow di affidarsi in gran parte alla CGI, e quindi di non doversi impegnare troppo, come fece lo zio Steven, per immaginare soluzioni creative che facciano intuire il mostro senza davvero farlo vedere. Jurassic World è un film che mostra tutto quello che può, pieno di sequenze spettacolari in cui i dinosauri sono visibili in tutto il loro splendore – è un modo quasi volgare per mostrare i muscoli, ed è la più grossa differenza tra Park e World.
Che però azzecca il gancio più importante di tutti, il dettaglio decisivo che lo promuove a ottimo sequel concepito nel modo giusto. Ed è un discorso che non ha nulla a che fare con i dinosauri e tutto con noi esseri umani: il discorso degli incassi. Non quelli cinematografici: Jurassic Park raccontava di un parco che fin lì era stato un pozzo senza fondo dove gettare valanghe di soldi, ed era quindi ancora un investimento, un progetto, anche una speranza, reso possibile dall’intraprendenza di un singolo e dalla sua immensa disponibilità di capitale. Capitale che com’è uscito deve rientrare: è il motivo per cui John Hammond ha fretta di terminare le ispezioni e aprire il parco anche se questo significa prendere qualche scorciatoia, ed è anche il motivo per cui Dennis Nedry tradisce il suo datore di lavoro.
In sostanza tutto quello che succede in Jurassic Park, incidenti di percorso, catastrofi, avvocati divorati al cesso, è sì conseguenza dell’hybris di un uomo che è convinto di poter soggiogare la natura e invertire il corso dell’evoluzione de-estinguendo specie scomparse da milioni di anni, ma è anche quello che succede quando gli investitori ti chiedono conto delle tue spese e si aspettano i dividendi di fine anno; forse è soprattutto questo, se considerate che con un po’ più di tempo a disposizione il Jurassic Park si sarebbe probabilmente potuto aprire in tutta sicurezza.
Il ritorno del capitale feroce
Jurassic World riprende tutti questi discorsi, con un twist: questa volta il progetto è stato sottoposto a tutti i controlli di sicurezza e i lavori hanno rispettato i tempi, e il parco è aperto e funzionante, a dimostrazione che quello che voleva fare John Hammond non era una follia ma un’impresa fattibile e molto redditizia. Rispetto a Jurassic Park manca quindi tutto l’aspetto sperimentale e pionieristico di un parco che non ha ancora aperto i battenti e di un rapporto (quello tra uomo e dinosauro) da costruire da zero con tutti i rischi del caso: il Jurassic World funziona, è un trionfo del capitale, un’impresa fiorente, la realizzazione del sogno di John Hammond.
In una società votata alla crescita costante e affascinata da ogni nuova cosa brillante che arrivi sul mercato, però, anche lo spettacolo del Jurassic World ha i giorni contati: a un certo punto la gente si stufa di vedere sempre i soliti dinosauri, e anche lo stupore di trovarsi di fronte a creature estinte fino a pochi anni fa perde il suo impatto. È proprio questa tensione verso la novità a tutti i costi che sta alla base del film, e del caos che si sviluppa nel Jurassic World quando un nuovo bestio geneticamente modificato (una nuova geniale soluzione di marketing: dinosauri mai esistiti prima!) esce dal suo recinto e si dimostra essere la versione dinosauresca di uno Yautja: se John Hammond ci insegnava che non c’è nulla che si possa frapporre fra un uomo con il capitale e il suo sogno, Simon Masrani, il proprietario del Jurassic World, ci insegna che non c’è nulla che si possa frapporre fra un uomo con il capitale e la sua clientela, e che the show must go on, anche quando gli pterosauri sono fuggiti dalle gabbie.
Prima di chiudere vale la pena segnalare che anche Jurassic World: Il regno distrutto (qui la nostra recensione) prosegue su questa scia: dopo il capitalista avventuroso e il turbocapitalista globalista introduce l’elemento militare nel mix, generando un tale caos che il prossimo film della saga, Dominion, assomiglia già parecchio, a giudicare dai trailer e dai presupposti, a Mad Max con i dinosauri (o al film su Cadillac & Dinosaurs che abbiamo sempre sognato). Quello che non cambia mai è il messaggio di fondo, che rimane lo stesso dal 1993, o dal 1990 quando uscì il romanzo di Crichton: de-estinguere i dinosauri, e in particolare farlo fare a investitori privati, è una pessima idea.