Jumanji: compie 25 anni l'horror (ebbene sì) con Robin Williams

Jumanji compie 25 anni: era davvero un'avventura per tutta la famiglia o c'era qualcosa di sinistro nel film con Robin Williams?

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Jumanji compie 25 anni, o meglio, oggi festeggiamo i 25 anni dall’uscita italiana del film di Joe Johnston, che sconvolse un’intera generazione convincendola che i giochi in scatola potessero evocare rinoceronti, leoni e cacciatori con grossi baffi bianchi, creando in milioni di persone aspettative enormi e puntualmente deluse dalla cruda realtà o in alternativa un terrore atavico dei dadi a sei facce. Grande successo al box office, oggetto cinematografico di culto, una delle interpretazioni più memorabili di Robin Williams, generatore di meme ormai decennali ma sempre vivi e vitali, Jumanji è anche un film pedagogico, un’introduzione al cinema horror travestita da avventura per tutta la famiglia – un trucchetto che Joe Johnston aveva già tentato sei anni prima e che qui gli è riuscito talmente bene che ancora oggi è difficile accorgersene.

Jumanji e Joe Johnston

Eppure gli indizi sono tutti lì, in bella vista. Tratto da un romanzo illustrato per ragazzi la cui copertina più famosa è questa (ragazza terrorizzata, scimmie con ghigno satanico, angolo visuale da horror classico), Jumanji è il quarto film della carriera di Joe Johnston; una carriera iniziata lavorando agli effetti speciali di, per dirne tre, Star Wars, Willow e Indiana Jones, tre film che hanno in comune, tra le altre cose, un certo culto dell’orrido in certe creature e invenzioni visive – pensate al Sarlacc, al drago deforme del film di Ron Howard o al finale di I predatori dell’arca perduta, per esempio. Questo non significa che stiamo parlando di film horror, ovviamente, solo che il background cinematografico di gente come George Lucas o Steven Spielberg comprende inevitabilmente anche il cinema dell’orrore, i creature feature e tutto quell’immaginario che si associa ai drive-in e ai cestoni di pop-corn.

E Joe Johnston, che è loro coetaneo, è cresciuto immerso nello stesso clima e con gli stessi riferimenti visivi, e il suo debutto da regista lo dimostra: Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi è un film Disney, certo, ma è scritto da Brian Yuzna e Stuart Gordon ed è, sotto la patina di avventura per famiglie con protagonisti giovani e genitori disperati per facilitare l’identificazione di grandi e piccini, un vero e proprio film di mostri, ricco di tensione e di sequenze dove la vita dei nostri eroi sembra costantemente appesa a un filo e dove solo il loro ingegno riuscirà a salvarli contro la furia della natura qui rappresentata da formiche giganti. Ancora una volta, non stiamo dicendo che Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi fosse un film horror o la risposta americana a Godzilla; ma che il linguaggio del genere, la grammatica del film di mostri, è chiaramente nel suo DNA, nonostante sia semi-nascosta dalla faccia buffa di Rick Moranis.

Orore

Jumanji è un film horror

Con il senno di poi, Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi sembra una sorta di prova generale per Jumanji. In qualche modo lo sembrano anche i due film successivi: prima Le avventure di Rocketeer, dove Johnston sfoga la sua passione per la fantascienza anni Cinquanta e le riviste pulp, e Pagemaster, dove c’è un personaggio che si chiama letteralmente Horror. In questo senso Jumanji diventa il culmine di questa prima fase di carriera per Johnston – che poi si dedicherà a sperimentare con generi che non gli vengono altrettanto bene (ve lo ricordate Hidalgo?) prima di tornare all’ovile e mettere anche la sua impronta sul Marvel Cinematic Universe con il primo Captain America –, un film per il quale gli viene concesso un budget più che generoso (65 milioni di dollari nel 1995), un attore fresco di un successo generazionale come Mrs. Doubtfire, e una notevole libertà creativa, a lui e alla sua intera squadra.

Il risultato è, come andiamo ripetendo da un po’, un film dell’orrore mascherato da film d’avventura per tutta la famiglia. Guardate qui: questa è la sequenza di apertura di Jumanji.

Buio. Lampi. Un bosco immerso nella nebbia. Il terrore sul volto di due ragazzi. Qualcosa di misterioso che li insegue. Già l’idea stessa di aprire con un flashback a un tempo passato è tipicamente horror, e serve a mostrare l’oggetto maledetto che verrà inavvertitamente recuperato nel tempo presente dai protagonisti del film. Non contento di questo inizio d’atmosfera, Johnston piazza poi un’altra sequenza-flashback, questa volta di chiarissima ispirazione kinghiana: anni Sessanta, sonnolenta cittadina in mezzo al nulla, ragazzini in bicicletta, bullismo, e il povero Alan Parrish, figlio del potente impresario locale ma anche bersaglio delle angherie dei succitati bulli. È cercando di sfuggir loro che Alan incappa nello stesso oggetto che abbiamo appena visto sepolto in tutta fretta un secolo prima, e scopriamo finalmente cos’è: un gioco in scatola con poteri magici.

L’oggetto incantato che viene riportato alla luce insieme a una qualche antica maledizione è un classico dell’horror, e anche i giochi in scatola non ne sono esenti – certo, solitamente sono per esempio tavole ouija, non una versione tribale del gioco dell’oca. E quello che accade non appena Alan e l’amica Sarah cominciano a giocare a questo misterioso Jumanji mantiene tutte le promesse: prima compare un branco di pipistrelli particolarmente aggressivi, poi Alan viene risucchiato dentro al gioco in una non meglio specificata giungla...

Jumanji Robin Williams

Le due vite di Alan Parrish

... e qui il film lo abbandona e ricomincia da capo, per una terza volta, con nuovi personaggi e un nuovo riferimento temporale. Siamo nel 1995, o quello che all’epoca si chiamava “il presente”, e nella casa dove abitava Alan si sta per trasferire una nuova famiglia – nuova anche nel senso di “appena formata”, figlia del trauma e di una perdita terribile, quella dei genitori di Judy e Peter (Kirsten Dunst e bradley Pierce), i quali vengono adottati dalla zia Nora (Bebe Neuwirth) e portati a vivere in questa magione antichissima, desolata e spettrale come solo le ville negli horror sanno essere.

Jumanji è un film su un oggetto maledetto, e gli oggetti maledetti hanno una caratteristica molto importante: sanno come farsi trovare. Il gioco in scatola che nel 1969 intrappola il povero Alan si ripresenta anche nel 1995, e questa volta non si limita a generare un paio di mammiferi volanti e far sparire un preadolescente: Judy e Peter (perché sono sempre i bambini che vengono attirati dagli oggetti proibiti) riprendono la partita cominciata 26 anni prima da Alan e Sarah, e così facendo liberano sì Alan (che a questo punto ha sviluppato la faccia di Robin Williams), ma anche tutto l’inferno nel quale ha vissuto per quasi tre decenni. Jumanji prende così, nel giro di una scena, una delle direzioni più classiche per gli horror che parlano di cianfrusaglia maledetta: i responsabili del male originale tornano in azione, e si alleano con le nuove vittime per sconfiggerlo finalmente una volta per tutte.

Tabellone

Nel mentre, il male originale in questione continua a fare danni: in Jumanji questo significa che la città viene invasa da scimmie feroci e particolarmente intelligenti, alcuni grossi mammiferi erbivori tipo quelli che inseguivano Simba in quella scena del Re Leone, un leone, appunto, e persino un’altra vittima del gioco, un vecchio cacciatore che vuole far fuori Alan e che aggiunge l’elemento “serial killer” al mix. Sentiamo parlare della giungla da cui viene per due ore, ma non la vediamo mai: Jumanji è il genere di horror che porta l’inferno sulla Terra, non i terrestri all’inferno, e cambia il tessuto stesso della realtà per rendere terrificante anche ciò che dovrebbe essere familiare e rassicurante – tipo il pavimento di casa.

“Horror? Chi, io?”

Ovviamente Jumanji declina tutto questo nella maniera più digeribile e universale possibile: l’approccio di Johnston è quello del regista che vuole divertire tutta la famiglia con i suoi effetti speciali e con le faccette di Robin Williams che urla WHAT YEAR IS IT, e raramente si fa sfuggire più di un ammiccamento a generi più cupi e meno adatti ai più piccoli. Jumanji fa spesso ridere, ed è anche un film emotivamente carico che dedica ampio spazio all’elaborazione di traumi di ogni genere: quello di Alan che torna nel mondo dopo 26 anni di solitudine, ma anche quello, più concreto e tangibile, della morte dei genitori di Peter e Judy, alla quale fratello e sorella reagiscono in modo molto diverso ma altrettanto estremo.

Eppure, eppure...

Eppure qui c’è Robin Williams che viene inghiottito dal pavimento e mentre le sue compagne di gioco stanno cercando di metterlo in salvo vengono attaccate da ragni giganti. Non sarà un horror, però...

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