Joker: Folie à Deux – purtroppo i cinecomic non hanno più credito per sbagliare
Nessun genere cinematografico è in grado di suscitare rabbia come il cinecomic. I toni apocalittici con cui è stato ricevuto dal pubblico Joker: Folie à Deux pongono una domanda: siamo ancora abituati alle delusioni?
Sono fortunati gli spettatori intervistati da Cinemascore all’uscita dalla proiezione di Joker: Folie à Deux che gli hanno assegnato una “D”, ovvero il secondo grado più basso della scala di valutazione. Sono fortunati perché, evidentemente, non hanno mai visto un brutto film. Colpa della cultura dell’hype, si potrebbe dire. Colpa di un modo di vedere film in cui lo spettatore entra in sala accompagnato da un’ombra che lo tiene per mano e si siede accanto a lui: quella di formulare un giudizio prima del film e dopo. L’obbligo di prendere posizione, di schierarsi. Di essere, in qualche modo, non solo un critico, ma il più severo (o il più aperto) dei critici! Il godimento dello spettatore, cioè il rischio di spendere una piccola somma per abbandonarsi a uno spettacolo sul grande schermo che può stupire o deludere, è come un panda in estinzione da preservare.
L’hype è normale e bello, ma va gestito e spesso fa sbagliare
Nella proiezione stampa in sala grande alla Mostra del Cinema di Venezia all’inizio di Joker: Folie à Deux è scattato un applauso spontaneo. Era lo sfogo di un’attesa durata anni. L’esaltazione di vedere questo secondo capitolo proprio dove il primo aveva trionfato vincendo il Leone d’oro. Siamo giornalisti ma, soprattutto, siamo appassionati di cinema. Anche noi, a volte, cadiamo nella trappola dell’hype. Succede sempre per film di registi molto amati. Nella stessa edizione, ad esempio, è accaduto anche con Pedro Almodóvar e il suo La stanza accanto. L’anno prima gli applausi a scena aperta sui titoli di testa erano stati tributati a Woody Allen (in una sala consapevole del peso, anche politico, di questo gesto).
Sicuri che Joker: Folie à Deux sia così slegato dal primo?
Povero Joker: Folie à Deux, trattato come Arthur Fleck. Incompreso, dicono i sostenitori; sbagliato e dannoso, per i detrattori. In ogni caso, giudicato frettolosamente da una giuria molto animosa. Bisogna dare atto a Todd Phillips di avere creato due film in grado di rispecchiare esattamente nella loro trama il giudizio del pubblico. L’ entusiasmo per il primo film, forse molto maggiore di quello che si sarebbe meritato, sembra essere lo stesso con cui i cittadini di Gotham hanno accolto il gracile Arthur Fleck come un rivoluzionario. Il capo di una rivolta che non c’è stata. Perché se il primo Joker si faceva forte della polemica scorsesiana sui cinecomic che non sarebbero cinema, ma attrazioni di parchi a tema, Joker: Folie à Deux rientra nei canoni da soap opera del cinefumetto grazie a un finale da serie regolare.
Certo, un po’ di danni li ha fatti anche il primo film. Con la sua voglia di essere diverso e “alto”, prendendo così tanto da Taxi Driver e Re per una notte da sembrare un ricalco, ha settato uno standard strano per i cinecomic. Joker volutamente non era un film su Joker, il villain dei fumetti. Si allontanava dalla fonte, quasi temendola (salvo poi sfruttare la potente IP nel titolo). Intitolatelo Arthur Fleck, togliete ogni riferimento ai fumetti e la storia, grossomodo, funziona lo stesso!
Joker: Folie à Deux intrattiene di meno. Usa il musical nella maniera più sbagliata possibile (ovvero bloccando il progredire della storia). Però parla del cinema stesso e del primo film. Cioè mette a tema tutto ciò che è successo dopo Joker. In Folie à Deux si menziona un film sulla storia di Arthur Fleck. Serve per posizionare lo spettatore nel ruolo della giuria. Il processo a Joker altro non è che un processo alle interpretazioni date al primo film. L’assassino è colpevole di un crimine premeditato o è una vittima, dal momento che è la società ad averlo spinto a tali azioni?
In altre parole: Todd Phillips pone agli spettatori del primo film la domanda: “Siete sicuri si averlo interpretato bene?”. Così Joker: Folie à Deux fa lavorare chi guarda. Lo studio del personaggio lo dobbiamo fare noi: chi è Arthur Fleck?
Provare ad essere diversi ad ogni costo
Lo spettatore-azionista a questo punto si indigna. Joker: Folie à Deux è un insulto, perché tradisce il precedente mettendolo in discussione. Perché è rated R, ma la violenza è minima (prima o poi bisognerà parlare seriamente di come i contenuti espliciti siano solo un’illusione rispetto alla maturità o meno di un film). Joaquin Phoenix recita meno in overacting, gli manca la grande sequenza da Oscar. Lady Gaga è sfruttata al minimo delle sue possibilità, facendole cantare canzoni altrui e senza affidare a questi momenti una vera carica emotiva. È un contro-sequel che costa di più - tra gli spettatori-azionisti c’è chi già si chiede dove abbiano speso quasi 200 milioni - ma riduce la scala del racconto. Questa è un’idea di cinema estremamente originale.
Joker: Folie à Deux vorrebbe essere tante, troppe cose, ma non riesce a stare dietro alla sua ambizione. Però i film non solo brutti, ma orribili, sono altri. Quotidianamente si consumano sulle piattaforme film e serie TV tutte uguali, dimenticabili, senza altra ambizione che intrattenere mentre si fa da mangiare. Questi film sono ben peggiori, perché non sono in grado nemmeno di fare arrabbiare. L’indignazione furibonda che segue questo secondo Joker è, in fondo, un’emozione fortissima per nulla semplice da ottenere.
Ingeriamo senza tributare la stessa rabbia prodotti da “second screen”, pensati cioè per essere fruiti facendo altro. Una brutta commedia non genera la metà dell’indignazione di un brutto cinecomic. In passato nel genere abbiamo tollerato tre film sui Fantastici 4, abbiamo dato a Morbius un punteggio Cinemascore maggiore di Joker: Folie à Deux. I Marvel Studios, che dalla fase 4 stanno subendo uno scrutinio severo e rabbioso quanto oggi riceve Todd Phillips, hanno potuto in passato infilare nel loro universo film come Thor: The Dark World o Iron Man 2 senza che partissero trend social al massacro.
I cinecomic non hanno più credito per fallire
Dieci anni fa il genere godeva di un credito pazzesco da parte del pubblico. C’era un sostegno palpabile ai progetti narrativi, c’era l’entusiasmo di vedere come poteva maturare il linguaggio. Oggi il cinecomic è in fase di stallo. C’è stato un vertice qualitativo (all’incirca in corrispondenza con il dittico Avengers: Infinity War ed Endgame) difficilmente replicabile. Quello che ha lasciato quel periodo ai registi è l’impossibilità di replicare quel momento e l’obbligo di provare ad essere diversi sperimentando nuove forme. Lo stanno facendo anche i Marvel Studios (si pensi al sottovalutato Eternals o al secondo Doctor Strange). Il problema è che, dopo avere “assaggiato” i piatti più prelibati, provare un’altra cucina potrebbe deludere.
Chiediamo al cinecomic di rinnovarsi, ma in quanti siamo disposti ad accettare il rischio che segue ogni esperimento? Cioè quello di fallire male. Viene da chiedersi perciò cosa sarebbe successo se Joker: Folie à Deux fosse arrivato un decennio fa, quando ancora il flop era considerato affare solo degli studi.
Agli esperti dell’audience invece il compito di dare una risposta alla più annosa delle domande: perché nell’esperienza di visione non è più contemplata la delusione? Perché l’emozione estrema della rabbia non viene considerata, appunto, un’emozione legittima data dal film quanto la gioia o l’entusiasmo per una bella storia? In fondo il compito di chi paga il biglietto, e il bello di fare quel gesto, è proprio di vivere il film come una scatola dal contenuto tutto da scoprire. Le delusioni fanno parte del gioco. Ci sarà sempre un altro film migliore. Ce ne sarà sempre uno peggiore. Ridiamoci su e andiamo a scoprirli.