John Rambo e Rambo: Last Blood sono solo per fan

John Rambo e Rambo: Last Blood sono film dedicati a chi ama il personaggio del veterano del Vietnam, ma hanno poco da offrire al resto del mondo

Condividi
John Rambo è su Netflix

La parabola di John Rambo si poteva concludere con il terzo film e nessuno si sarebbe offeso. Dopo aver combattuto l’indifferenza dell’America, la sua patria che l’aveva mandato a morire e poi se n’era dimenticato, nel primo film, dopo aver dimostrato che in guerra non esistono buoni e cattivi nel secondo, e dopo aver combattuto contro il concetto stesso di guerra e di esportazione della democrazia nel terzo, la carriera dell’ex veterano si sarebbe potuta chiudere in gloria, dopo aver detto tutto quello che c’era da dire sull’argomento e arrivando anzi a esagerare e a ripetersi, il primo segno che un franchise ha fatto il suo tempo. Ma Sylvester Stallone non è tipo da tirarsi indietro di fronte a una sfida, né alla possibilità di interpretare uno dei suoi personaggi preferiti, né tantomeno alla prospettiva di incassare un bel po’ di soldi; e quindi tra il 2008 e il 2019 Sly è tornato due volte a indossare la bandana e ad armarsi fino ai denti per far fuori i cattivi di turno – con risultati rivedibili seppur non privi di grandi momenti.

John Rambo e i Karen

Neanche Stallone voleva fare John Rambo, in originale intitolato semplicemente Rambo, come racconta lui stesso in It’s a Long Road, mini-documentario sul film contenuto negli extra dell’edizione home video. L’unica idea che l’aveva stimolato negli ultimi vent’anni era quella di prendere Rambo e spedirlo in Messico a liberare una ragazza rapita – stuzzicante, ma non abbastanza nel personaggio, secondo Sly (sì, lo sappiamo che è la trama di Rambo: Last Blood: ci torniamo). Fino a che l’attore non venne a sapere dell’esistenza del Myanmar, e della guerra civile che lo stava devastando dopo la rivoluzione zafferano del 2007: Stallone si immaginò immediatamente John Rambo sullo sfondo di quel conflitto, e John Rambo come un’occasione per raccontare al mondo quello che stava succedendo in quel Paese.

L’intenzione dietro John Rambo, quindi, era quella di fare un altro film politico, nella tradizione del franchise; e il fatto che tra i protagonisti del film ci fosse anche Maung Maung Khin, attore ed ex ribelle Karen che aveva paura che se avesse accettato il ruolo il governo avrebbe messo in galera la sua famiglia, donava un’ulteriore aria di attivismo e di denuncia al tutto. Aggiungeteci che per la prima volta era Stallone in persona ad assumersi i compiti di regia, perché secondo lui il film sarebbe dovuto essere la risposta alla domanda “come sarebbe un film di Rambo diretto da John Rambo?”.

John Stallone Rambo Sylvester

John Rambo, Rambo per gli amici

Il risultato è probabilmente il capitolo più discusso e amato/odiato dell’intera saga. La struttura è sempre la solita: questa volta c’è un gruppo di missionari guidati da Julie Benz che dal Vietnam vogliono raggiungere un villaggio isolato in Myanmar per portare cibo e viveri (e la parola di Cristo). Rambo, che è sparito dal mondo un’altra volta andandosi a nascondere nella giungla dove fa il cacciatore di serpenti e il barcaiolo, li accompagna, poi li lascia, questi vengono rapiti dalle milizie locali, Rambo lo viene a sapere, si infuria e li massacra tutti. Non c’è particolare finezza nella scrittura, né nel modo in cui vengono rappresentati i ribelli Karen e soprattutto i villain di turno, l’SPDC, State Peace and Development Council, cioè l’organo di governo del Paese durante i 23 anni di dittatura militare (quella precedente: sicuramente lo sapete già, ma ora ce n’è un’altra).

John Rambo è un film di cattivi cattivissimi, che massacrano interi villaggi, rapiscono i giovani per farli arruolare, stuprano e abusano delle donne, e in generale non hanno alcuna caratteristica positiva o che possa anche solo cominciare a redimerli o giustificarli; Stallone non si prende neanche la briga di far sottotitolare i loro dialoghi: sono il Male Assoluto, e in quanto tale vanno eradicati. Per cui John Rambo è principalmente una macelleria, ultraviolento come il franchise non lo era mai stato, un film dove le mutilazioni e la carne lacerata da pezzi di metallo sono anche più numerose delle esplosioni. In un certo senso è un aggiornamento al 2008 del tipo di azione inventata dal secondo e terzo capitolo: dopo vent’anni di imitazioni, l’unico modo per fare di meglio è shockare, sconvolgere, puntare su un approccio quasi splatter – e così arriviamo anche a parlare anche del film successivo, uscito undici anni dopo.

Sylvester Stallone

Rambo: Last Blood, ma proprio tanto tanto tanto blood

John Rambo era, come detto, Rambo 2/III in un’altra location e con molta più violenza – e con una cura registica figlia dell’amore per il franchise di Stallone, che, vi piaccia o meno il film, fa un lavoro incredibile con la giungla del Myanmar (in realtà Thailandia), le sue luci e le sue ombre, e soprattutto la sua pioggia. Rambo: Last Blood, invece, è un film francamente inspiegabile. Lasciamo stare il fatto che all’inizio sembrava che il film dovesse parlare di Rambo alla guida di un team di cacciatori a caccia di una pericolosissima creatura geneticamente modificata, e lasciamo anche stare il fatto che in teoria nel 2010 Sly disse “basta” con John Rambo (e lo ripeté sei anni dopo).

Concentriamoci sul fatto che quel pitch sulla ragazza rapita al confine con il Messico alla fine diventò il quinto capitolo di Rambo, e che in altre parole Last Blood è Io vi troverò con John Rambo al posto di Liam Neeson. È la prima volta che Rambo si trova coinvolto in una faccenda che non è politica, ma al 100% personale (e infatti è il primo film del franchise nel quale il veterano fa qualcosa di tecnicamente illegale e al di fuori delle regole d’ingaggio di un conflitto armato), e vede coinvolta anche una ragazza appena maggiorenne (Yvette Montreal) che vive con lui e la sua badante nel suo ranch in Arizona. La ragazza vuole andare in Messico (trattato per tutto il film come se fosse il comune di fianco, tipo “vado in Messico, ci vediamo per cena”) a trovare il padre che l’ha abbandonata, Rambo glielo sconsiglia perché “non posso proteggerti dalle cose brutte che ci sono là fuori”, lei lo fa comunque e finisce nelle grinfie di una banda che droga ragazze in discoteca, le rapisce e le costringe a prostituirsi.

Casa di Rambo

Tantissimo, veramente tantissimo blood

Basta questo per capire di che genere di film stiamo parlando: Rambo va in Messico, massacra i cattivi, salva la ragazza e se ne va verso il tramonto biascicando qualche malinconica frase sulla cattiveria del mondo. Se non fosse che non è così, perché se quella di Rambo è sempre stata una saga cinica e amara, Last Blood sfocia direttamente nel nichilismo. Perdonateci per il piccolo spoiler (se volete smettete di leggere qui), ma Gabrielle, la figlia-di-fatto di Rambo che viene rapita, non torna a casa sana e salva, ma muore tra le braccia di “zio John”, lasciando il nostro eroe con un enorme buco nel cuore; è un po’ il colpo di grazia definitivo al personaggio: neanche quando ha definitivamente abbandonato la vita militare per godersi il buen retiro in mezzo alla campagna riesce a lasciarsi del tutto alle spalle la violenza, perché la violenza del mondo non è diretta solo verso di lui, ma è onnipresente, casuale e crudele.

E quindi l’unica reazione possibile è altro nichilismo: l’ultima mezz’ora di Rambo: Last Blood, dopo la morte di Gabrielle, è sostanzialmente Predator con Stallone al posto dello Yautja, o se preferite è Mamma ho perso l’aereo VM18. Tutte le lungaggini e la cattiva scrittura dei primi due atti evaporano di fronte a Rambo che si ritrova per la prima volta la guerra sull’uscio di casa, e reagisce trasformando il suo idillio in un campo di battaglia. È geniale l’approccio quasi da film horror a questa sequenza: quando i cattivi messicani rapitori drogatori arrivano allo Slywalker Ranch (potrebbe non chiamarsi così), il funzionalissimo regista Adrian Grünberg smette di considerare Rambo come il protagonista e lo tratta invece come il mostro di uno slasher, e ci fa vedere la mattanza dal punto di vista dei poveracci che lo sono andati a cercare convinti di trovarsi davanti un vecchietto un po’ arrugginito. La saga di Rambo non è mai stata così violenta come in Last Blood, né la vendetta così soddisfacente, perché così personale.

Ora però speriamo che il povero John possa definitivamente riposarsi.

Rambo Last Blood

Continua a leggere su BadTaste