Ora finalmente Jean-Luc Godard può diventare a tutti gli effetti pura immagine

Il regista più radicale che abbia mai girato e parlato di cinema, il più rivoluzionario e intellettualmente selvaggio è diventato immagine.

Critico e giornalista cinematografico


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Dove eravate il giorno in cui è morto Jean-Luc Godard?

Dove eravate quando è morto l’uomo che sì è fatto simbolo stesso di una certa maniera di intendere il cinema, la politica e il rapporto tra chi crea immagini e lo spettatore? Il cineasta più radicale che abbia mai acceso una macchina da presa, il più amato e odiato con scarse vie di mezzo, il più coerente e quello con la schiena più dritta di tutti. 

Godard lungo la sua carriera ha trasfigurato se stesso in icona. Nonostante sia stato abbastanza schivo, nonostante non fosse di certo un presenzialista né un uomo-marketing dei propri film come Hitchcock, lo stesso la sua immagine, che è passata gradualmente negli anni da occhiali da sole e sigaretta a capelli arruffati e sigaro, è diventata una bandiera. Famoso per le one-line fulminanti (nelle interviste, nei film meno), per la chiarezza nella visione del cinema e del suo ruolo sociale, politico e culturale lungo le varie decadi e per una intrattabilità che faceva così rima con l’ermetismo dei suoi film (più che altro quelle della seconda e terza parte della sua carriera) da sembrare quasi necessaria, Godard ora finalmente può trascendere la realtà e diventare anch'egli immagine o ancora di più segno. Uno dei pochi cineasti la cui rappresentazione può stare al medesimo livello di quella dei propri personaggi.

La capacità di influenzare passa anche da questo, dall’essere simbolo di una battaglia culturale. È stata una delle 3 forse 4 persone per le quali si può dire che abbia rivoluzionato la sua forma d’espressione. Prima di lui il cinema era inquadrato in regole stringenti che si faticava a rompere, dopo di lui la libertà stilistica è diventata prima una forma di ribellismo dei giovani cineasti poi una nuova regola quando questi sono invecchiati. E a quel punto lui era già fuori da questa battaglia per la forma, già da un’altra parte, già di nuovo in minoranza mai alla testa di un plotone. Non che non si girassero film formalmente liberi anche in precedenza (solo in Francia basta pensare a Sacha Guitry negli anni ‘30!) ma il successo travolgente dei suoi primi 4 film (almeno!), le libertà che si prendevano, la maniera in cui trasformavano quelli che altrove erano errori della grammatica del cinema in espedienti per la creazione di significato, erano in grado di cambiare le teste.

Se Federico Fellini ha girato “il Ben-Hur del cinema d’avanguardia” cioè 8 e mezzo secondo Morando Morandini, Jean-Luc Godard ha quantomeno girato il Via col vento del cinema di sperimentazione, cioè Fino all’ultimo respiro. Sfrontato come pochi, capace di occupare il palazzo del cinema di Cannes durante il ‘68 (assieme a Truffaut), quando erano entrambi già registi famosi e inseriti nel sistema, capace di partecipare ai moti rivoluzionari e ad un certo punto cambiare, decidendo di mettere il cinema al servizio della politica e non del linguaggio, capace di litigare a morte con l’amico di una volta (Truffaut per l’appunto) scrivendosi lettere velenosissime e infine capace di ritirarsi quasi in isolamento negli ultimi anni, un eremitaggio da cui lanciava ogni tanto un nuovo film, spesso molto antiquati nella concezione, ogni tanto di nuovo sperimentali nella fattura (Addio al linguaggio, tutto in 3D), Jean-Luc Godard è stato senza dubbio l’ultimo a credere nel potere del cinema di cambiare il mondo attraverso l’uso delle immagini.

Nonostante non girasse film di largo appeal, alcune delle immagini più travolgenti, sentimentali, sexy e desiderabili mai create sono sue (cosa c’è di più significativo dell’amicizia e della comunanza intellettuale della corsa dentro il Louvre di Bande à part??). Nonostante non fosse di certo un regista di genere ha contribuito alla più grande rivalutazione dei meccanismi di genere. Nonostante non fosse di certo un cineasta che cercava le star, ha creato lui più star di molti altri registi commerciali. Come per i grandi pittori astratti, anche sotto il cinema di Godard esisteva una capacità narrativa eccezionale. La donna è donna, Questa è la mia vita, Bande à part lo dimostrano. Poi qualcosa è cambiato e, lo racconta benissimo Michel Hazanavicius nel film Il mio Godard, c’è stata una svolta, l’ennesima. Una scelta politica più che cinematografica che ha portato i suoi film successivi a La cinese e One+One sempre più in un altro territorio. Godard ha smesso di ingaggiare un dialogo con il suo tempo e ha iniziato a fare altro.

Ora che è morto inizia una nuova fase della sua carriera, quella nella quale non partecipa più alla gestione della sua immagine (memorabile il fatto che l’Academy non sia riuscita a dargli l’Oscar alla carriera perché non gli rispondeva né gli apriva la porta!), diventa a tutti gli effetti un oggetto pop, non diversamente dal volto di Ernesto Guevara, pronto per essere travisato, per essere estremizzato nelle sue idee e per diventare uno spauracchio, facile da odiare per chi non concorda con la sua visione di cinema e ancora più facile da innalzare per chi vuole accrescere il proprio status. Per tutti gli altri invece rimangono i suoi film, splendidamente fuori dal tempo, orgogliosamente attaccati alla politica delle immagini.

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