James Earl Jones: la voce di Darth Vader che non parlò per tutta l'infanzia
Compie 90 anni una delle voci più iconiche del cinema, quella di James Earl Jones. Raccontiamo la sua storia fatta di balbuzie e mutismo
E sono esplose le polemiche.
“There comes a time when one must take a position that is neither safe, nor politic, nor popular, but he must take it because conscience tells him it is right.” —Martin Luther King, Jr. pic.twitter.com/BHxhQvkoBU
— Star Wars (@starwars) January 18, 2021
La colpa del social media manager? Avere parlato di parità, ma di essersi dimenticato il compleanno di James Earl Jones, il leggendario attore che ha prestato la voce a Darth Vader, nato proprio lo stesso giorno di Kelly Marie Tran.
E mentre celebriamo i 90 anni della voce più celebre della galassia lontana lontana, guardiamo anche in retrospettiva la vita di un attore che ha fatto delle parole la sua arma vincente e anche lo strumento contro cui, da sempre, combatte.
La carriera di James Earl Jones copre l’arco di settant’anni. Inizia a calcare le scene come attore teatrale, verso la metà del 1950. Attore di vocazione shakespeariana, si è guadagnato cinque nomination ai Tony Award e tre vittorie.
Il suo primo ruolo al cinema arriva grazie a Stanley Kubrick che lo ingaggia nel Dottor Stranamore. Lavora in televisione, nella miniserie Radici. Spesso - soprattutto nella prima parte della carriera - i suoi ruoli si intrecciano con i personaggi chiave delle lotte per i diritti delle minoranze. È il narratore del documentario su Malcom X del 1972 e cinque anni dopo ne vestirà i panni nel film Io sono il più grande. Dopo l’assassinio di Martin Luther King, Jones fu uno dei narratori del documentario King: una testimonianza filmata... da Montgomery a Memphis. Nel 1970, la vedova dell’attivista, Coretta Scott King, acquistò una pagina su Variety per ringraziare gli autori del film, tra cui proprio James Earl Jones.
Ma l’attenzione popolare derivò da un fortunato ingaggio per quello che inizialmente era un semplice ruolo di doppiaggio. Nel 1977 arrivava nelle sale statunitensi Star Wars, e uno dei villain più amati di sempre: Darth Vader. Il personaggio è interpretato fisicamente dall’attore David Prowse che, nei piani iniziali, doveva mantenere la propria voce naturale. Una volta sul set, divenne chiaro che l’accento inglese dell’attore non era sufficientemente minaccioso.
Se volete farvi un’idea guardate il video qui sotto in cui la voce è registrata direttamente dal set.
Lucas cercava una voce profonda, incessante e minacciosa come quella di Orson Welles. Trovò quella di Jones, che si plasmò alla perfezione sulla fisicità e sul carattere di Vader. Fu questo il ruolo del grande salto, che lo fece passare da attore di teatro molto apprezzato a una delle voci più riconoscibili dell’industria cinematografica. La stanza del doppiaggio era l’ambiente perfetto per lui: un luogo in cui dare sfogo a tutta la potenza del palcoscenico, uscendo dalla propria fisicità.
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Eppure, prima di capire la portata del fenomeno di Star Wars, James Earl Jones disse a Lucas di non preoccuparsi e non mettere suo nome nei titoli di coda. Il motivo? Non credeva che il suo contributo fosse così importante per il film da meritarsi una citazione nei crediti.
C'era stato un precedente significativo:
Quando Linda Blair ha interpretato Regan MacNeil nell’Esorcista le era stata sostituita la “voce del diavolo” in post produzione. Le parole pronunciate da Pazuzu sono state infatti aggiunte successivamente in studio grazie all’attrice Mercedes McCambridge. Erano seguite parecchie discussioni per decidere se quest’ultima meritasse di essere citata allo stesso livello degli altri attori. Allo stesso modo, James Earl Jones credeva che la sua interpretazione di Vader fosse tutta merito degli effetti speciali, e quindi non meritevole di essere menzionata. Cambiò idea all'arrivo del terzo film.
Seguirono altri ruoli importanti come quello di Terence Mann ne L’uomo dei sogni, o l’amatissimo re Joffy Joffer de Il principe cerca moglie (che vedremo anche nell’imminente seguito Il principe cerca figlio). È stato in Conan il barbaro e in Caccia a ottobre rosso, ma uno dei suoi ruoli indimenticabili fu, ancora una volta, eseguito in sala di doppiaggio: la voce di Mufasa nelle due versioni de Il re leone (e seguito). La sua voce è profonda, pastosa, ha un suono distante e vibrante come un eco in una grotta, che trasmette saggezza e sicurezza.
Ma non è sempre stato così.
Classe 1931, James Earl Jones è nato in Mississipi da una madre insegnante e un padre tuttofare che lasciò la famiglia poco dopo la nascita di James, per diventare un attore cinematografico. Il figlio dovette andare a vivere dai nonni all’età di cinque anni. Si spostò quindi in Michigan, ma la fatica di adattarsi a un nuovo ambiente e il trauma del percepito abbandono gli provocarono una forte balbuzie. Preso in giro dai compagni di scuola e fortemente affaticato nel parlare, si chiuse in un lungo mutismo che durò per anni. Come spesso raccontato da Jones stesso, egli parlava solo con la propria famiglia, a fatica, e si intratteneva in lunghe discussioni con gli animali della fattoria con cui si lasciava andare senza sentirsi giudicato.
Il momento più importante del rapporto con la sua voce fu a scuola, quando per compito dovette scrivere una poesia che l’insegnante aveva trovato particolarmente bella. Nel momento della valutazione fece i complimenti al ragazzo e lo provocò: per dimostrare che era stato lui a scrivere veramente quelle righe avrebbe dovuto leggerle ad alta voce. Così fece, e riscoprì così la potenza delle parole. Lesse con sicurezza, proprio perché aveva impresso su carta i suoi pensieri, aveva dato ordine alle parole che faticavano a uscire di bocca.
Da lì iniziò la sua esplorazione dell’arte della recitazione. Una delle prime recensioni del suo lavoro apparve su Variety nel 1957 per lo spettacolo “The Congo”. La recensione elogiava il contrasto della sua voce, ma notava che spesso il tono ovattato della sua dizione rendeva difficile la comprensione delle parole.
Fu una delle poche critiche a una voce straordinaria, riconoscibile e distinta proprio grazie a quella sottile scia lasciata dalla balbuzie. Un piccolo inciampo nel ritmo delle parole, che fa sembrare i suoi monologhi come una pietra che cade da un pendio e porta con sé una potente valanga. Basta vedere questa registrazione di Fences (barriere) per gustare la sua grandezza.
Il rapporto con la propria voce non è mai stato semplice per James Earl Jones. Così ha detto in un’intervista al Dick Cavett Show:
Non sono innamorato della mia voce, se lo fossi sarebbe la storia d’amore più infedele mai avuta, perché mi tradisce spesso. Perché sono un balbuziente. Ma non solo: sono stato un stato un balbuziente così a lungo negli anni della crescita che non riesco ad avere una conversazione estemporanea.
Eppure, all’età di 90 anni, ancora James Earl Jones è per molti il simbolo vivente della potenza della voce, ma non solo, della capacità delle parole di penetrare nelle emozioni e segnarle per sempre.
Fonte: Variety