L’Italia di La meglio gioventù è un set naturale che attira a sé e chiede di essere esplorato
Ciò che rende emozionante La meglio gioventù è il modo in cui i suoi personaggi vengono attratti dall'Italia pur volendo scappare
Nella prima sezione de La meglio gioventù, un gruppo di improbabili diciottenni (improbabili perché gli attori che li interpretavano avevano ben più di 30 anni) decide di fare un viaggio a Capo Nord con gli amici, a chiusura dell’anno universitario. Non gli riuscirà. I due fratelli Matteo e Nicola Carati si separano dagli altri per andare a salvare Giorgia, una ragazza rinchiusa in una clinica psichiatrica.
Pensata come una serie TV in 4 episodi da fare uscire nel 2002, poi rinviata e presa dal festival di Cannes, dove ha vinto il premio miglior film in Un Certain Regard, l’operazione di Marco Tullio Giordana appartiene più al mondo del cinema che a quello della TV. Nonostante la sua durata colossale di 6 ore, La meglio gioventù è più film che serie. Lo si capisce guardando la sua struttura narrativa, che tende sempre al gran finale molto più che alla chiusura dei singoli episodi. Tanto che, nella divisione in due parti con cui è stata presentata al cinema, la scissione tra il primo e il secondo film è più un intervallo che un vero finale.
Le case cambiano con gli anni. La regia "perde tempo" nel mostrare i personaggi intenti a scegliere stili di arredamento e a cambiare i vestiti (quelli che un tempo erano da anziana che tornano di moda e vengono riutilizzati dalle giovani). L’Italia non è però raccontata attraverso il progresso tecnologico. C’è una sequenza tra padre e figlio con una macchina da scrivere, ma i computer non diventano mai un oggetto fondamentale. Il vagare del gruppo di amici nel tempo è sempre ancorato alla bellezza del loro presente, alle mode, alle usanze, ai pensieri che riempivano le giornate. Nel ’68 i personaggi pensano a ristrutturare la nazione. Nel 2000 il proprio casolare.
Racconto delle stagioni
Non servivano tutte e 6 le ore, nonostante alcuni passaggi nei rapporti tra i personaggi sembrino lo stesso molto rapidi. Non serviva tutta l’enfasi riposta qua e là, preannunciata dall’onnipresente tema musicale di Jules et Jim. A Marco Tullio Giordana sfugge talvolta di mano il simbolismo (una tremenda apparizione fantasmatica sul finale, alcuni sguardi tra madre e figlia). La meglio gioventù è lontano dall’essere un film perfetto. Anche come serie TV oggi sarebbe fatto con un altro ritmo e con diversi bilanciamenti. Eppure riesce a conquistare e a tenere agganciati per tutta la sua durata, grazie alla sua ambientazione.
Le vicende della famiglia Carati sono meno interessanti quando prendono la scena slegandosi dal resto. Quando invece si intersecano con la storia d’Italia rivelano la vera funzione che hanno all’interno del progetto. Perché scegliere proprio questi intrecci un po’ improbabili tra amori, legami di parentela e genitorialità per fare un affresco di una nazione? La risposta la dà Pier Paolo Pasolini. La sua raccolta di poesie intitolata La meglio gioventù è dedicata a quei giovani che fuggono. Come dice il professore di medicina a Nicola, in quella che è in assoluto la scena migliore, il ragazzo deve lasciare l’Italia. Deve farlo se ha qualche ambizione nella vita. “L’italia è un paese da distruggere, un posto bello e inutile destinato a morire”. Si augura poi un’apocalisse. Perché con quella almeno si potrebbe ricostruire.
L’apocalisse arriva sotto forma dell’alluvione di Firenze. È un evento collettore, che attrae a sé come un magnete il gruppo di amici. Tutta la sceneggiatura è strutturata così. La famiglia protagonista è tendente all’esplosione. Non appena i membri riescono a stare un po’ insieme succede qualcosa che li scaraventa agli angoli dell’Italia. Che sia una morte, un matrimonio o un evento storico questi tendono poi a ricomporsi come attratti magneticamente. Si ritrovano per perdersi nuovamente. Come un polmone che si contrae e si espande la storia de La meglio gioventù è fatta interamente di partenze e arrivi. Servivano dei personaggi così perché il progetto funzionasse: gente alla ricerca di una casa che porta il film con sé lungo le varie tappe del loro peregrinare.
La meglio gioventù del cinema italiano
Luigi Lo Cascio è capace di attraversare i decenni meglio di Alessio Boni. Jasmine Trinca, qui alla sua seconda interpretazione dopo La stanza del figlio, si è meritata lo spazio principale nella locandina pur avendo un ruolo tutto sommato marginale come screentime. Sonia Bergamasco funziona poco come brigatista, molto di più come madre riluttante. Fabrizio Gifuni, Maya Sansa, Camilla Filippi, Riccardo Scamarcio, Giovanni Scifoni e tutti gli altri nomi del cast sono volti diversi. Facce che appartengono alle regioni d’Italia e che ne rappresentano tutta la varietà. Un cast eccezionale, quello di La meglio gioventù, soprattutto visto oggi.
L’opera di Giordana fu infatti il punto di inizio e la svolta di molte carriere. Da lì quei volti, un po’ sconosciuti, diventarono amatissimi. Il suo primo passaggio in televisione fece 7 milioni di spettatori. Venne molto apprezzato anche all’estero, con unanime consenso critico.
Rappresenta l’ambizione di fare un cinema della memoria. Non che siano mancate questo tipo di opere strutturate su una sinergia tra eventi pubblici e privati. Ne abbiamo fatti fin troppi di film così negli anni successivi. Solo che pochi sono riusciti a ottenere con costanza questa peculiare atmosfera da grande diario di una nazione che si guarda indietro e sa di essere cambiata molto. Nostalgia consapevole, realistica, capace di individuare il dolore trascorso e trovargli un senso. All’inizio del nuovo millennio, dopo il cambiamento della percezione globale che è stato l’11 settembre e con la prima repubblica alle spalle, La meglio gioventù racconta un paese che si sente vecchio, che prende i diari scritti lungo gli anni più intensi e li rilegge con il senno del presente. Un'Italia molto riconoscibile anche oggi in questo.
Paradossalmente, quello che funziona di più nelle 6 ore di La meglio gioventù sta proprio in quello che non dice. Giordana lascia volutamente degli spazi di ambiguità nei suoi personaggi. La sessualità di Matteo è incerta, combattuta, la sua rabbia e il suo dolore potrebbe essere legata a un’omosessualità inespressa. Giulia fatica a uscire mentalmente dal desiderio rivoluzionario del ’68. Si riconosce nel terrorismo che pratica in maniera attiva lasciando indietro la famiglia. Diventa un fantasma per la figlia. Il secondo atto della sua trama sarà un lento ricongiungimento. Si può solo intuire quali siano i suoi pensieri, le sue idee, il suo rapporto con i crimini compiuti.
Tutto il resto è atmosfera. È l’immersione in un tempo passato. Così La meglio gioventù è un enorme dispositivo narrativo per generare nostalgia. All’epoca fu apprezzato per la capacità di riportare alla memoria gli anni che il pubblico aveva vissuto. Oggi la sua forza sta nel riuscire a ricreare stesse le sensazioni, le emozioni e i desideri, dentro un pubblico che quel tempo, invece, non l’ha potuto abitare.