It contro It: chi vince?

It contro It: sfida all’ultimo palloncino tra la storica miniserie degli anni Novanta e i due film di Andy Muschietti

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IT

It: Capitolo Due va in onda su Italia 2 questa sera alle 21:15 e in replica domani sera alle 23:30

Nel mondo esistono due tipi di persone: quelle che hanno paura dei clown, e i clown. È stato dimostrato scientificamente che le persone che fanno parte della prima categoria hanno sviluppato la loro fobia per colpa di Tim Curry nel 79,7% dei casi: il suo Pennywise è l’archetipo del clown malvagio, un’icona immortale (… letteralmente) che ha segnato l’immaginario horror degli ultimi trent’anni anche al di fuori dei confini delle opere tratte da Stephen King.

D’altra parte, però, ci sono intere generazioni che nel 1990 non erano neanche nate, e che hanno scoperto It non grazie a quel vecchio film per la TV con gli effetti speciali invecchiati male, ma al doppio blockbuster ad altissimo budget di Andy Muschietti, il film horror di maggior successo al botteghino di sempre. Siamo ad Halloween, e proprio il secondo capitolo della più recente versione di It andrà in TV questa sera: è il momento perfetto per far sfidare il Pennywise di Curry con quello di Bill Skarsgård e scoprire chi vince.

It vs. It: la fedeltà alla fonte

Alla base di ogni discorso su un adattamento cinematografico o televisivo c’è sempre la stessa fondamentale questione: quanto assomiglia all’originale? E soprattutto, quanto conta? Partiamo da questa seconda domanda: è difficilissimo, quasi impossibile fare un film, una serie, una miniserie o un intero franchise rispettando la fonte letteraria in ogni singolo passaggio. Ci sono ovviamente casi più o meno virtuosi in questo senso, spesso aiutati dalla natura del romanzo di partenza (pensate a Non è un Paese per vecchi, scritto quasi come fosse una sceneggiatura), ma il semplice fatto di dover cambiare medium significa che certe cose che funzionano per iscritto ma non visivamente andranno tagliate o cambiate, e altre invece andranno aggiunte perché le necessità narrative del cinema sono diverse da quelle della letteratura.

Il discorso vale in particolar modo per un romanzo come It, che è lungo più di mille pagine e ha l’ambizione di essere non solo la storia di sette amici pre-adolescenti, ma di un’intera città e di un’intera comunità. Nel libro, King si prende tutto il tempo che gli serve per deviare dalla storia principale e dipingere la vita di Derry, la sua storia e le sue ferite. Lascia spazio a personaggi che sarebbe uno spreco approfondire in un film, e salta avanti indietro tra le linee temporali senza soluzione di continuità. Si è spesso detto che in un formato più classicamente televisivo It potrebbe funzionare: una bella serie lunga e logorante, lenta, spalmata magari su più stagioni, aiuterebbe a restituire il respiro epico del romanzo di King.

Ma quello che abbiamo a disposizione finora sono una miniserie per la TV composta da due film da 90 minuti l’uno e una coppia di film che superano le due ore (e nel caso di Capitolo 2 sfiorano le tre). Più di quanto ci stia normalmente in un film, ma meno di quanto serva per coprire tutto quello che viene raccontato in It. E allora ogni valutazione su fedeltà, aderenza e rispetto dell’originale va fatta al netto dei necessari (anche se a volte dolorosi) tagli: diventa decisivo cosa si sia scelto di conservare e cosa di tagliare. Fatte queste premesse, quindi, la nostra risposta è che a vincere è l’opera di Tommy Lee Wallace, e per un motivo preciso: dove i film di Muschietti sono nettamente divisi in “quello con i bambini” e “quello con gli adulti”, la miniserie imita la struttura del romanzo continuando a saltare avanti e indietro nel tempo, tra gli anni Sessanta e gli Anni Novanta.

Questo non cambia il fatto che la prima parte di It sia dedicata soprattutto ai Losers bambini mentre la seconda parte agli adulti: valeva lo stesso per il romanzo di King, nel quale le controparti anni Novanta dei protagonisti si prendevano sempre più spazio con il passare delle pagine. Ma in entrambe le parti vediamo le due linee del tempo e continuiamo quindi a fare paragoni tra com’erano i nostri eroi e come sono diventati – qualcosa che nei film di Muschietti, che sono a compartimenti stagni, manca.

It vs. It: il cast

Questo punto potrebbe essere visto come una naturale prosecuzione del precedente: la gente scelta per interpretare i personaggi assomiglia alle descrizioni che si trovano nel romanzo? La produzione si è presa qualche libertà? E se sì, perché l’ha fatto? E così via. Ci sembra in generale un esercizio un po’ futile, ma nel caso di It a venirci in aiuto è il fatto che King sia un maestro delle descrizioni, uno degli autori migliori del mondo quando si tratta di farti vedere un personaggio. E quindi sia Tommy Lee Wallace sia Andy Muschietti sono andati sul sicuro, andando in cerca di attori e attrici il più simili possibili alle indicazioni kinghiane. Decidere se siano meglio i Losers degli anni Novanta o quelli del 2017 è quindi un’operazione un po’ futile: sia il film sia la miniserie hanno un cast perfetto per quello che deve fare. Semmai ci si può soffermare sul talento delle persone coinvolte, e qui i film di Muschietti hanno un paio di assi nella manica, a partire da Sophia Lillis/Beverly passando per Finn Wolfhard/Richie (uno che è nato con la faccia del ragazzino da film tratto da Stephen King) e finendo ovviamente con il gruppo degli adulti: quelli della miniserie sono tutti nomi che hanno avuto una carriera dignitosa ma raramente spettacolare, mentre Muschietti ha potuto scegliere un gruppo di superstar con le quali si porta facilmente a casa la vittoria.

Derry

Abbiamo scritto il nome della cittadina del Maine sotto la quale It gorgoglia blasfemie da secoli, ma avremmo potuto scrivere semplicemente “atmosfera”. Stephen King, anche questa cosa è stata già detta miliardi di volte, è uno che usa le parole come un pittore: sa scegliere sempre i toni e i colori giusti per raccontare un luogo, e soprattutto sa descriverlo in maniera vivida senza necessariamente scendere nei dettagli. La Derry di It è caratterizzata da alcuni, pochi punti fissi (che siano case, negozi, cinema o lande desolate) e per il resto è riempita dalla nostra immaginazione e dagli spazi vuoti lasciati dalle descrizioni di King. Ricrearla su schermo significa dover ricreare anche questa complicata e sfuggente alchimia tra “non detto” e “detto con abbondanza di dettagli”. Significa lasciare gli stessi spazi vuoti che ci sono su carta in un medium nel quale è molto più difficile nasconderli. Significa lasciare libertà a chi guarda.

In questo, la miniserie parte avvantaggiata in partenza per un semplice motivo: il budget. Che ha obbligato la produzione a ridurre i set, a dedicare molta più attenzione a ciascuno e a lasciare Derry in larga parte inesplorata; chi ha letto il romanzo sa già che cosa c’è lì dove la macchina da presa non si avventura, mentre chi non ne sa nulla si può godere l’atmosfera onirica e quasi astratta di una cittadina della quale vediamo solo squarci fugaci. La Derry di Muschietti è indubbiamente più perfetta, con colori più vivaci e quasi iperrealistici, mentre quella di Tommy Lee Wallace assomiglia a un vero paese della provincia americana, e ha tutto quello squallore che nei due recenti film manca quasi completamente. I Barrens, in particolare, sono imparagonabili: quelli degli anni Novanta sembrano un luogo reale nel quale la produzione è inciampata mentre faceva location scouting, mentre quelli del 2017 sono talmente perfetti nella loro desolazione che persino i fili d’erba sembrano piegati a mano uno per uno. I luoghi di Stephen King sono sempre stati genuini e imperfetti: ecco perché per noi l’atmosfera della miniserie è di gran lunga superiore a quella dei film di Muschietti.

Ragni, serpenti, scorpioni e zanzare

Ci toglieremo ora un dente dolorosissimo: quando leggete in giro che l’It degli anni Novanta è invecchiato male dal punto di vista visivo, be’, è tutto vero. O meglio: più il film va avanti, più cresce la sua ambizione, più l’orrore ci viene mostrato, e peggio vanno le cose. C’è un abisso di efficacia tra le due metà della miniserie: nella prima il compito di spaventarci è affidato quasi interamente a Tim Curry truccato da pagliaccio, gli effetti speciali sono pochi e sono sottili e non invadenti, e più in generale stiamo ancora scoprendo la natura dell’orrore e lo stiamo solo intravedendo. Con il ritorno dei Losers a Derry, il film si fa via via più ambizioso, fino a culminare con la famosa/famigerata rivelazione della vera forma di Pennywise: un ragno gigante che sembra uscito da un film a basso budget fatto da un tizio che sogna di diventare Ray Harryhausen.

Non solo è un effetto speciale invecchiato male: non era nulla di speciale (perdonate il gioco di parole) neanche nel 1990, ed è una conclusione anche ideologicamente goffissima e che tradisce in parte la natura stessa di Pennywise. Già solo per queste considerazioni ci viene da premiare i film di Muschietti, che invece ci regalano una cascata di effetti mix tra pratici e digitali realizzati tutti a regola d’arte, e usati sempre con l’obiettivo di fare il più paura possibile. Questo porta i due film (soprattutto il secondo) anche a esagerare in certi momenti, ma sono dettagli: nel comparto “effetti e dintorni”, Muschietti vince a mani basse.

It vs. It: It

Nel senso di Pennywise in persona entità. Meglio Curry o Skarsgård? Il primo arrivava con già alle spalle una fama notevole, ed è riuscito a diventare un mito dovendo fare sostanzialmente pochissimo: parlare con tono gentile e inquietante insieme, salutare, ridere in quel modo orribile. Skarsgård è un Pennywise più mobile e acrobatico, un vero “clown ballerino”, e ha il merito di non provare a copiare il predecessore ma di costruirsi la sua personale versione del personaggio; d’altra parte gli manca il carisma infinito di Tim Curry, qualcosa di intangibile e difficile anche da descrivere ma che, tutto sommato, nonostante tutto, rende il Pennywise televisivo superiore a quello cinematografico – anche se di un’incollatura.

Il verdetto finale

Decidete voi, ci sono ottimi motivi per preferire la miniserie ai due film e altrettanto valide ragioni per trovare il lavoro di Muschietti superiore a quello di Tommy Lee Wallace. Dipende da cosa cercate in un horror e in questo horror in particolare, dipende se siete in cerca di un’opera che ponga l’accento sul dramma rurale insito nel romanzo di King o se preferite salire sulla giostra e farvi un giro nel tunnel degli orrori. Dipende, insomma, da cos’è It per voi. Vi aspettavate sul serio che avremmo concluso dando un giudizio definitivo e inappellabile?

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