Iron Man 2: come è stata girata la scena del Gran Premio? | Un film in una scena

Continua il viaggio nelle scene più iconiche dell'MCU: parliamo di Iron Man 2 e la scena del Gran Premio sul circuito di Monaco

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Chiunque sia, anche vagamente, appassionato di cinema non può non conoscere (o avere intuito) la cosiddetta “maledizione da sequel” che colpiva i blockbuster. Ecco lo scenario tipico: un film sbanca al box office sorprendendo tutti. Produttori e investitori si trovano dinnanzi a un unico problema: decidere quando far uscire il secondo capitolo. Solitamente la decisione ricade sulla data più vicina possibile al tempo presente, per far fruttare l’entusiasmo generato e godere della scia del successo. Eppure i tempi stretti, la voglia di replicare la formula vincente raddoppiandola, hanno portato il più delle volte a insuccessi.

È il caso di Iron Man 2.

Ora, intendiamoci, come nel caso de L’Incredibile Hulk bisogna andare cauti prima di parlare di trionfo o flop. Innanzitutto bisogna distinguere il risultato al botteghino dalla ricezione generale del pubblico e della critica. Iron Man 2 non fu certo un insuccesso, con i suoi 623 milioni incassati globalmente. Eppure, anche se non totalmente stroncato, il film di Jon Favreau non venne amato come il precedente. Tanto da rendere, per alcuni, incerto il futuro dell’MCU.

Un fatto ironico, se si considera che la sceneggiatura era stata riscritta in corsa su indicazioni della produzione proprio per aggiungere maggiori collegamenti con il futuro crossover degli Avengers. In questo caso il Marvel Creative Committee, il comitato di fumettisti atto a supervisionare il lavoro della divisione cinematografica, fece sentire particolarmente la sua mano. La produzione andò di fretta, senza riuscire a sviluppare al meglio il personaggio di Tony Stark e senza una visione chiara.

L’esito? Un film con grandi sequenze... male integrate. Una storia che attinge a piene mani dalla run fumettistica “il demone della bottiglia”, ma che non ha il coraggio di entrare appieno nell’oscurità del personaggio. La sceneggiatura, affidata a Justin Theroux su indicazione di Robert Downey Jr. dopo il successo di Tropic Thunder, fallì nel dispensare humor, tecnologia e avventura con l'equilibrio del precedente.

Ed è proprio il bilanciamento tra le parti il grande problema di Iron Man 2 un film sbagliato, ma capace di regalare sequenze che, prese da sole, possono valere il prezzo del biglietto. Una delle più iconiche e difficili da realizzare fu sicuramente il combattimento sulle strade del circuito di Monaco.

Iron Man 2 arrivò nei cinema nel 2010, in un’epoca in cui l’onnipotenza degli effetti visivi digitali ancora non rassicurava molto i registi. In quegli anni, l’azione che richiedeva effetti visivi digitali realistici veniva ambientata per la maggior parte di notte o in luoghi scuri e bui. La poca luminosità aiutava infatti il reparto effetti speciali a nascondere le imperfezioni. Così avvenne, ad esempio, per il terzo atto del film, in cui le armature sono immerse in un'atmosfera tetra.

La sequenza del Gran Premio era invece in pieno giorno, su strade “note” al pubblico e realistiche. Realizzarla fu un'impresa non da poco che richiese la combinazione di riprese dal vero, stunt e doppi digitali. 

Iron Man 2

Ecco come si articolò la lavorazione.

Il primo giorno di riprese venne utilizzato interamente per mimare i movimenti delle auto sul circuito, chiuso per l’occasione. Vennero girate le riprese in soggettiva poi montate nel film e alcuni stunt meno pericolosi, come Pepper e Happy che cercano di salvare Tony percorrendo il circuito al contrario.

Il giorno dopo le riprese ritornarono in studio, dove catturarono i movimenti delle auto da corsa davanti a un green screen. Queste vennero poi aggiunte digitalmente alle scene di gara.

Come terzo step la produzione ricreò il circuito in un set adibito per gli stunt a Los Angeles. Spalti finti con comparse (quasi interamente) finte e un asfalto dotato di apposite catapulte ed esplosivi per far ribaltare le auto in corsa. Anche questa volta, come nel precedente capitolo, per Iron Man fu fondamentale il lavoro fatto da Michael Bay nel franchise di Transformers. La luce che si riflette sull’armatura, la rappresentazione dei meccanismi e la texture metallica sono state sviluppate a partire dai progressi fatti su Optimus Prime. Allo stesso modo anche la gestione dell’azione con auto ed esplosioni era già stata sperimentata qualche anno prima in un modo molto simile nel film di Bay.

Come noto, il Gran premio viene interrotto dalla comparsa di Ivan Vanko, Whiplash, interpretato da Mickey Rourke, attore reduce dall’ambizioso The Wrestler. Nominato quello stesso anno come miglior attore protagonista per il film di Aronofsky, Rourke ambiva a costruire un personaggio tridimensionale e sfaccettato. Secondo le sue parole egli entrò in conflitto con il regista e la produzione, che invece cercava di semplificare al massimo le motivazioni e lo spessore di Vanko. Con anni di distanza possiamo dire, con quasi totale certezza, che è ragionevole pensare che le pressioni arrivavano non tanto da Favreau, ma dal sopra citato Marvel Creative Committee. 

Iron Man 2

Fatto sta che la dedizione al personaggio fu tanta per l’attore. Prese muscoli, molti muscoli. Poi si rese conto che, date le sue dimensioni, i movimenti con l’armatura addosso non sarebbero stati sufficientemente fluidi. Allora continuò ad allenarsi indossando un surrogato del costume.

Per entrare nel personaggio andò in un’autentica prigione. Discusse con la produzione su ogni singolo tatuaggio sul suo corpo affinché rappresentassero autentici simboli russi. Uno di questi doveva essere la figura di Loki tatuata sul collo, poi esclusa dal design per evitare confusione rispetto al personaggio visto in Avengers

Mentre lo vediamo avanzare nella scena, armato delle “fruste” elettriche, unico elemento digitale del suo costume, arriva in scena un oggetto molto importante per lo sviluppo estetico di Iron Man: la valigetta.

Sappiamo, sin dal primo film, dell’ossessione di Tony rispetto alla miniaturizzazione dell’armatura. Una corazza da portare con sé ovunque. Una seconda pelle (come diventerà negli ultimi Avengers). Ecco che allora la valigetta lanciatagli da Happy Hogan è il primo segno, concreto, di evoluzione psicologica del supereroe (non tanto dell’uomo) in questo secondo capitolo. Ogni “Mark” dell’armatura corrisponde a uno stato psicologico: quelle colorate e sopra le righe degli inizi, alle numerose armature di Iron Man 3 segno di una psiche instabile, fino alla perfetta unione tra uomo e macchina di un Tony finalmente in equilibrio, creata con le nano tecnologie.

Rispetto al primo Iron Man in pochi anni gli effetti visivi generati con la motion capture hanno fatto passi da gigante. La vestizione, da valigetta ad armatura completa, fu realizzata in digitale con alcune referenze sul corpo dell'attore. L’accurato ingranaggio che circonda il corpo di Tony è ripreso da vicino, dandoci per la prima volta la possibilità di vedere come è fatta l’armatura all’interno. In quel sottile strato che separa il freddo metallo dal cuore pulsante, e sempre più malato, dell’eroe. Una scena simile a quella vista in Iron Man, ma profondamente diversa nel significato e nel senso di urgenza che comunica. La migliore entrata ad effetto in un film pieno di entrate ad effetto.

E allora ecco che questa scena, unica che unisce sport e spettacolo supereroistico nell'MCU, resta la più memorabile del film. Perché è l'unica che riesce a mettere al centro l'uomo dentro l'armatura, a fare intravvedere la sua mortalità. Perché mostra il meccanismo dentro la corazza, seppur per un breve momento, facendoci intuire che, forse, l'armatura sta iniziando ad andare stretta a un eroe che non può più farne a meno.

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