Io sto con gli ippopotami ripete senza originalità la formula base di Bud Spencer e Terence Hill
Replicando quel che avevano già fatto Bud Spencer e Terence Hill, Io sto con gli ippopotami mostra la fine della spinta della novità e la necessità di nuovi stimoli
Prima che esistessero i cinefumetti i film di Bud Spencer e Terence Hill erano la cosa più vicina ai cinefumetti che avessimo in Italia: avevano al centro dei personaggi sempre diversi ma sempre uguali, disegnati a colori molto forti, con personalità molto nette e un codice morale che li identifica (uno sempre positivo e giocherellone, l’altro ombroso, avido e misantropo), avevano di film in film costumi fissi, le loro erano storie d’azione con molti combattimenti, avevano dei colpi esclusivi e dei villain esagerati nella malvagità, nelle movenze e nel piccolo esercito di minion che lavorano per loro. Infine gli eroi, schierati dalla parte dei più deboli, potevano riuscire praticamente in qualsiasi impresa.
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Nonostante un livello più che accettabile e alcune scene rimaste tra le più note in assoluto, Io sto con gli ippopotami però mostra tutta la fatica e la stanchezza cui era arrivata questa formula base. Priva di spunti più originali (come il gioco dei doppi di Non c’è due senza quattro, le indagini o la caccia al tesoro) l’idea che stava alla base dei primi successi è così stiracchiata che il film nel suo terzo atto perde tempo, divaga e sembra non saper come arrivare ad un minutaggio decente prima del gran finale (che così grande poi in questo caso non è). Nemmeno i combattimenti hanno una coreografia particolare.
L’idea sembra essere quella di muoversi nei paraggi di ...più forte ragazzi! (ci sono pure Barbara Alberti e Amedeo Pagani a sceneggiare come in quel film), cioè puntare sull’ambientazione esotica (fu girato in Sudafrica) sfiorando un po’ tutto. Era un’idea produttiva molto pigra che soprattutto trascurava come il fattore più importante di quei primi film fosse la novità, esattamente ciò che non c’era più. Non che con Io sto con gli ippopotami la coppia avesse esaurito il potenziale (i film successivi dimostreranno che non era così), ma avevano di certo esaurito la spinta della novità. Questo non impedì al film di essere il campione d’incassi della sua annata, sia chiaro, ma rivisto oggi è tra i meno efficaci.
[caption id="attachment_457953" align="aligncenter" width="400"] Non solo facevano i propri stunt da sè ma stavano anche nelle inquadrature con gli animali feroci senza protezione[/caption]
Il contrasto tra i due, uno burbero e attaccatissimo ai soldi, l’altro invece pieno di ideali e sentimenti, è sempre fondato su una celebrazione virile dell’amicizia, non se lo dicono mai ma sono unitissimi. Il fatto che siano complementari come tipologie umane, come fisici e anche come arti marziali è quello che lo racconta. La loro amicizia non ha bisogno di essere professata, è l’unione che il film crea per loro e come arrivino all’obiettivo con efficacia a dirlo. Tutto il punto dei film di Bud Spencer e Terence Hill è quello: raccontare l’unione tra due uomini di caratteri e interessi opposti, accomunati da una visione di mondo e in un certo senso da un’etica.
Non è allora un caso che la sequenza migliore, la più memorabile di Io sto con gli ippopotami, sia quella del pranzo, l’unica che mostri un’inventiva degna di un cinefumetto. In una tavolata lunghissima, con una parte centrale che si smonta per essere rifornita di cibarie e si reinserisce, tutti (buoni e cattivi!) mangiano alla stessa tavola nella più classica delle dimostrazioni di forza tramite il cibo. È una competizione di voracità che si misura in modi demenziali, non solo mangiando tanto ma anche mangiando strano (il terribile cocktail di caviale e champagne di Terence). I due vincono dimostrandosi superiori con ironia. La voracità del resto è una delle caratteristiche cardinali della coppia, una che li caratterizza come uomini più uomini degli altri e che dice molto sulla percezione di come debba comportarsi un supereroe nell’Italia degli anni ‘70. Dei tanti pasti dei loro film questo è il più eccitante, esagerato e pieno di microinterazioni comiche valevoli.
Mangiare è come menare.
Non può dirsi lo stesso però delle sequenze di gioco (sempre coreografate dalla mani di Tony Binarelli che stavolta compare anche, con il turbante, come l’uomo del gioco delle tre carte). Come non può dirsi lo stesso, con somma delusione, del villain, l’ex pugile Joe Bugner, uno della compagnia di giro della coppia qui promosso a boss, uno dei pochi che i due possono effettivamente affrontare fisicamente. Solo che quando arriva lo showdown finale sarà abbastanza deludente e poco inventivo, simbolo perfetto della mancanza di spinta del film.
[caption id="attachment_457956" align="aligncenter" width="400"] Bud Spencer è stato sempre un attore migliore di Terence Hill, la sua risata esplosiva è uno dei molti marchi di fabbrica[/caption]