Introduzione a Gian Luigi Rondi, croce e delizia di 70 anni di cinema italiano

La vita e le opere difficili da riassumere di Gian Luigi Rondi, critico unico nel suo genere come probabilmente non ne possono esistere più

Critico e giornalista cinematografico


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Di Gian Luigi Rondi due cose si conoscono più di tutte: la sciarpa bianca e l’epigramma di Pasolini (“Sei così ipocrita che l’ipocrisia ti avrà ucciso sarai all’inferno e ti crederai in paradiso”).

Pochi sanno che solo qualche anno dopo Pasolini stesso si pentì di quanto aveva scritto (non sarà né il primo né l’ultimo regista a odiare un critico) e divenne molto amico con Rondi. Ma del resto tutti erano amici di Rondi e Rondi era amico di tutti. Negli ultimi tempi era noto più che altro per la collaborazione assidua alla trasmissione di Rai Uno Cinematografo, chiusa burrascosamente qualche anno fa, ma in realtà è stato uno dei più rilevanti animatori culturali cinematografici della seconda metà del novecento italiano. Ci sono ottime ragioni per odiarne la figura, le idee e l’etica, come ce ne sono di altrettanto ottime per lodarne l’operato e la funzione di tramite tra il mondo distante dei critici tutto d’un pezzo e quello bieco della politica che nel cinema cerca una legittimazione. Di certo senza Rondi il cinema in Italia con buona probabilità conterebbe meno di quel che conta oggi.

Comunista cattolico, democristiano e recentemente piddino, Rondi stava dove bisognava stare, solo con il fascismo non è mai stato. Fece la resistenza e subito dopo la fine della guerra fu scelto da Silvio D’Amico come suo vice su Il Tempo nelle pagine di critica teatrale, dopodichè in un paio d’anni passò ad essere il principale critico di cinema di quella testata. Era il 1947, aveva 25 anni, uno dei più giovani critici cinematografici ad essere la prima penna di un quotidiano. Perfettamente coerente con la generazione cui apparteneva ha occupato quella poltrona fino a che non è morto. Solo un anno dopo il suo insediamento, nel 1948 era alla sua prima mostra di Venezia e faceva anche il corrispondente per Le Figaro e altre testate di cinema francesi e belghe. Non ha mai smesso di scrivere recensioni. Mai. Grandi film come B movie americani da 4 soldi con i cani rabbiosi mutanti, l'ultimo di Moretti come Il Cavaliere Oscuro, li recensiva tutti con il medesimo piglio d'altri tempi e tutto nonostante il fatto che quella di critico non sia stata la sua attività più rilevante. Difficilmente i suoi scritti saranno ricordati o i sui libri di critica studiati (ha insegnato in diverse università, cattoliche e non), difficilmente le sue idee sui film potranno formare qualcuno. Più facilmente invece il suo operato come divulgatore e politico del cinema lascerà un segno.

[caption id="attachment_195558" align="aligncenter" width="1024"]10265423_1680049248947310_2156240549311449339_o Con Pasolini e Geraldine Chaplin[/caption]

A capo della Mostra d’arte cinematografica di Venezia (nel cui nome si è sempre molto vantato di aver fatto inserire la parola “d’arte”) nel 1971 nei due anni dopo il 1968 e le contestazioni, non riuscì a tenerla in vita e dovette lavorare come suo solito di relazioni pubbliche, ungendo le ruote del potere per non essere cacciato anzitempo lungo quei due anni. La Mostra rimase sostanzialmente chiusa per un decennio, riaprendo ad inizio anni ‘80 grazie a Carlo Lizzani e poi a lui che la diresse dal 1983, perché era grande amico di Lizzani. Come di tutti. A capo del festival più antico del mondo fu il primo ad ammettere i film cinesi in anni di scarsa apertura al quel paese e soprattutto aprendo la strada al profluvio di cinema della quinta generazione degli anni ‘90. Non che l’avesse intravisto arrivare, più facile che ne avesse intravisto l’opportunità politica. Nondimeno era lì, ancora una volta.

In molti ricordano come rifiutò un posto in selezione a Velluto Blu di Lynch per il nudo di Isabella Rossellini, dimostrando pochissimo acume critico riguardo il “nuovo” cinema, ma in pochi ricordano che portò Ingmar Bergman in tv in Italia, in Rai, presentando un ciclo di suoi film e intervistandolo più volte (Bergman. Nella tv pubblica. In Italia), riuscì anche a dargli un Leone alla Carriera, a lui che non si muoveva mai, ma per l’amico Gian Luigi questo ed altro… Come del resto portò in televisione a fine anni ‘80 (in un periodo di piena concorrenza con le tv commerciali) Michelangelo Antonioni in una trasmissione d'approfondimento critico. Sembra già vecchissimo ma accadeva 30 anni fa e discutevano di cinema "elettronico", di alta definizione e infine di come, nelle parole di Antonioni, "Lo specifico filmico e televisivo convergeranno sempre di più" perchè i televisori diventano immensi e la qualità è la medesima del cinema. Era il 1987, Antonioni parlava di computer grafica tridimensionale e Rondi chiedeva "Ma quindi non parleremo più di noi ma di maghi, robot e eroi tra le stelle?" o anche tra l'utopico e il predittivo "Con i satelliti potrete distribuire il vostro film a tutti gli spettatori di tutto il mondo nella stessa notte?" ricevendo in risposta "Si e farà la felicità dei distributori che incasseranno tutto e subito".

È stato assieme a nomi come Vieri Razzini uno dei più grandi “divulgatori” di cinema, critico mai criptico, narratore di storie del cinema, presentatore di cicli in tv ma anche sceneggiatore per Pabst, Mankiewicz e ovviamente il grande amico René Clair, oltre a fare il regista di diversi documentari di cinema. C’è riuscito sicuramente in virtù della maniera in cui era completamente inserito in tutti gli organi che contano, nei movimenti e nei gruppi di pressione più importanti, vantando una quantità sterminata di onoreficenze e titoli. Da Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte a Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana fino a Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana e poi Cavaliere della Legion d'Onore (Francia), i Cavalieri di Malta e via dicendo. Una lista interminabile che ben rende la sostanza delle ramificazioni del suo potere e delle sue conoscenze.

[caption id="attachment_195560" align="aligncenter" width="1024"]In RAI durante un'intervista a Jean Renoir In RAI durante un'intervista a Jean Renoir[/caption]

Rondi in buona sostanza non somiglia a nessun altro critico nel nostro paese me è fondamentale per capire cosa fosse il cinema in Italia negli anni ‘50, ‘60 e ‘70. Perfettamente in linea con il tempo che ha vissuto, integrato nel sistema politico tanto quanto nella vita culturale (amico personale tra gli altri di Gina Lollobrigida, Claudia Cardinale, Monica Vitti, Alberto Sordi, Vittorio Gassman e tutti i nomi che contavano, invitato regolarmente alle loro feste di compleanno). Non ha mai nascosto di preferire l’amicizia al rigore critico. In una recente intervista fattagli da Paolo Mereghetti e comparsa sul Corriere della Sera dichiarava candidamente riguardo ai David di Donatello (sua vera grande opera ma ora ci arriviamo) che: “[...] al premio concorrevano una scelta di film italiani, non tutti. Il regolamento parlava di opere (possibilmente) inedite. E io, che ero l’unico critico a far parte del direttivo, mi ero preso l’incarico di selezionare i film da mettere in gara. Invitavo quelli che mi piacevano, privilegiando naturalmente i miei amici” e quando Mereghetti chiede “Ma come si spiegano alcuni premi inaspettati, per esempio al comunista Lizzani per il suo documentario sulla «Grande muraglia»?Rondi ribadisce: “Lizzani era un amico e l’amicizia veniva prima della sua tessera”.

Difficilmente identificabile come una buona bussola morale per qualsiasi critico, di certo è stato lavoratore instancabile, non basterebbero 3 articoli come questo per elencare tutto quel che ha fatto (Gli incontri di cinema di Sorrento, la presidenza della Biennale, la presidenza del Festival di Locarno e poi in giuria almeno una volta in tutti i grandi festival d’Europa, Cannes incluso, presidente della SIAE e del Festival di Roma quando già sfiorava i 90). Eppure la sua opera maggiore, lo sforzo di una vita, sono stati i David di Donatello, nella cui commissione entrò alla terza edizione, a 37 anni, nel 1958. In poco ne divenne il principale animatore e poi ovviamente presidente. A lungo gestiti come un modo di ricompensare amici, fare favori politici e mettere in ombra ciò che andava messo in ombra (non ha mai nascosto e si è detto pentito più volte di aver maltrattato Le Mani Sulla Città di Rosi per mere questioni di opportunità politica), i David sono stati una manifestazione retrospettiva mai capace di intercettare il nuovo ma a Rondi non importava, ha sempre detto che servivano a consacrare carriere e non a scoprirle. Dovevano essere i nostri Oscar e in un certo senso lo sono stati.

[caption id="attachment_195559" align="aligncenter" width="1024"]894075_1680051058947129_637513659920322402_o Ad un compleanno di Gina Lollobrigida con tutto il cinema italiano[/caption]

Quello che hanno fatto però, nonostante fossero sempre rivolti indietro, è stato promuovere instancabilmente il cinema italiano quando lo meritava e quando non lo meritava. Erano un premio ma anche un modo di rimettere in circolo i film più importanti, un modo di creare piccole gerarchie e tenere sulle pagine dei giornali il cinema italiano. Hanno tenuto alzata una bandiera in anni in cui forse nessun altro l’avrebbe fatto, hanno lavorato politicamente per mantenere il cinema rilevante nei corridoi del potere, hanno costituito il braccio armato di Rondi nella sua crociata (ideologica, personale, etica) nazionalista riguardo al cinema. Criticabilissimi e non certo perfetti, sono stati l'unica manifestazione in grado di dare un certo spolvero ai nostri film in anni in cui non ne avevano bisogno e in anni in cui ne avevano molto bisogno. Nonostante fosse inviso a molti e nonostante si disinteressasse del cinema più burrascoso e anticattolico (quindi forse il più vitale), fu il più grande avvocato di quest’arte nelle stanze dei bottoni. Impossibile concordare con lui, ma fondamentale nella rilevanza del cinema in questo paese.

[caption id="attachment_195563" align="aligncenter" width="1024"]Assieme al presidente Tito durante una visita in Jugoslavia Assieme al presidente Tito durante una visita in Jugoslavia[/caption]

Qualche anno fa Marco Chiani per Cinemonitor gli ha fatto una bellissima intervista, ottima per nerd della critica, tutta versata su un mondo e una critica che non esiste più, in certi casi per fortuna, in altri magari con più rimpianto.

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