Da Into The Wild alle Otto Montagne: la felicità è difficile da tenere tra le mani 

I protagonisti de Le otto montagne hanno assimilato gli insegnamenti di Into The Wild, ma la felicità è selvaggia come la natura

Condividi

Into The Wild è su Prime Video, Le otto montagne è in sala in questi giorni.

Paolo Cognetti, nei suoi libri, non nasconde un forte legame letterario con Jon Krakauer ed emotivo con Christopher McCandless. Non stupisce che il film Le otto montagne si inserisca quindi nel sentiero di Into The Wild come un seguito filosofico. Cambia l’ambientazione, dall’Alaska alla Valle d’Aosta, i soggetti: un ragazzo di buona famiglia che fugge da solo, contro due amici uno di città e uno di montagna. Lo spirito però è quello.

Into the Wild è, nel film di Sean Penn, un viaggio alla ricerca di una solitudine liberatoria. Una fuga dalla società incastrata come un ingranaggio nelle fasi della vita. Làureati, prendi casa, fai una famiglia, figli, lavora, invecchia, muori. Alex Supertamp (lo pseudonimo nelle terre selvagge di McCandless) cerca un altro ritmo. Quello delle stagioni: nascere sopravvivere, risplendere, invecchiare, morire. Quello della natura che non è né buona né cattiva. Nelle Otto montagne c’è un dialogo importante sul termine. La natura è un qualcosa di astratto, una definizione da città, dice Bruno. Esiste la terra con gli alberi, gli animali; un’infinità di distinzioni che dà personalità diverse a ciò che ci circonda. Ci sono animali utili, bestie innocue, altre predatrici. Alcuni alberi sopravvivono, altri crescono forti solo nel loro terreno, altri muoiono.

È una concretezza, quella di Bruno Guglielmina, che sarebbe servita ad Alex prima del suo viaggio. Pietro Guasti incarna invece l’ingenuità da città. Quella più vicina a Christopher McCandless che alla sua rinascita Supertramp. Come se Cognetti avesse sdoppiato il personaggio, e la persona, complessa narrata da Krakauer e messa in scena da Sean Penn. 

Le otto montagne inizia però ritraendo persone che Into The Wild l’hanno letto (potremmo dire anche visto). Due giovani che ne hanno assimilato la filosofia: “la felicità è autentica solo se condivisa”. Pietro e Bruno invece che viaggiare insieme nei luoghi selvaggi si fermano quindi e costruiscono una casa. Era l’idea del padre di entrambi: biologico per uno, adottivo per l’altro. Come in Into The Wild l’assenza e la distanza dalle proprie radici, dai genitori, sono la condizione che attiva una ricerca interiore. La sfida dei personaggi è diversa dalle altre. C’è chi deve superare un ostacolo che gli impedisce di realizzare il proprio desiderio. Loro invece devono proprio capire quale sia questo desiderio. 

Sanno che la solitudine è un errore. Il loro approccio è diverso da quello di Supertramp. Affrontano la montagna e le cime innamorandosi. Cercano di stabilirsi, di affondare le radici in un terreno sconnesso e difficile. Il padre Giovanni è come un McCandless che non è mai partito per il suo viaggio. La città è il suo contrappasso. Mesi di grigio, di rabbia, di convenzioni, da sopportare per avere qualche settimana di autenticità. Sente lo stesso richiamo: è infelice anche assolvendo tutti i compiti che, secondo le leggi autoimposte dall’uomo, assolvono ai doveri sociali. Se la felicità è autentica solo quando condivisa, allora a Giovanni non resta che condividerla con la sua famiglia nella natura. Tracciando i propri sentieri insieme. 

Quello che Into The Wild affidava alle scritte del diario, Le otto montagne lo fa esprimere da Bruno e Pietro. È una inquietudine che non viene risolta. Uno è ben radicato. Conosce il posto dove deve stare. Però la montagna è un luogo senza futuro, inospitale, dove il terreno per coltivare le relazioni di cui scrive McCandless è difficile. Per Pietro invece la casa è ancora da trovare. Sacrifica le suole delle scarpe salendo le cime del mondo sperando di ricevere in cambio un posto dove stare.

La risposta non è mai in solitaria, e loro lo sanno. In Into The Wild sono gli incontri che si fanno durante il viaggio a cambiare le cose. Christopher\Alex si forma in maniera lineare. Cambia luogo, fa esperienze, cresce. Nell’opera di Paolo Cognetti l’andamento è ad ellissi, salta cioè nel tempo. Perché la crescita di Bruno e Pietro è basata su ciò che non hanno fatto, molto di più che sulle avventure vissute.

Così le due storie, libro e film, si parlano. Un ragazzo che traccia il suo sentiero. E due figli che scelgono se seguire le orme dei padri. Into the wild è stato letto, assimilato, sia dai narratori di oggi che dai loro personaggi. Cognetti, insieme a Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, guarda all’opposto l’assunto sulla felicità di McCandless.

Pur sapendo che non si può vivere da soli è come se la solitudine fosse una tentazione continua. La sorte di un giovane inquieto, morto da solo, bussa alle porte di tutti. Qualcuno non riesce a respingerla e ne diventa vittima. Senza esserne affascinato, ma solo per dolore, l’uomo fa ciò che gli animali non fanno: si rifugia nel pericolo, nelle terre selvagge, e lì muore. Allora è questa la vera "natura" indagata dai film, il concetto astratto che racchiude tutto: la natura di cui sono fatte le persone, sempre alla ricerca della felicità, ma incapaci di tenersela.

Continua a leggere su BadTaste