Interceptor – Il guerriero della strada si è inventato la post-apocalisse

Interceptor – Il guerriero della strada ha codificato con tale precisione l’estetica della post-apocalisse che è copiato ancora oggi

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Interceptor – Il guerriero della strada uscì in Italia il 18 agosto 1982

E pensare che Interceptor – Il guerriero della strada, noto da queste parti anche come Mad Max 2 – Il guerriero della strada, ha rischiato di non esistere. Era l’inizio degli anni Ottanta e, dopo il successo inaspettato di Interceptor, quello che poi sarebbe diventato noto come “il primo Mad Max”, George Miller aveva ricevuto parecchie offerte da Hollywood, che gli promettevano budget a sei o sette zeri. Miller, però, è sempre stato un tipo indipendente e anche imprevedibile: invece di passare all’incasso insieme a Mel Gibson decise di dedicarsi a Roxanne, un film a sfondo musicale che non vide mai la luce. Un fallimento fortunato, visto che per riprendersi il regista australiano decise di cedere alle lusinghe, e di lavorare a un sequel di Mad Max. Probabilmente neanche lui, che aveva avuto l’idea del film leggendo Jung e Joseph Campbell, si aspettava che Interceptor – Il guerriero della strada sarebbe diventato uno dei film più importanti della storia del cinema.

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E soprattutto uno dei più influenti: da quando è uscito, quarant’anni fa oggi se consideriamo la data italiana, Interceptor è diventato il punto di riferimento, prima di tutto estetico, di tutta la narrativa post-apocalittica degli ultimi quattro decenni. Prendete quell’adorabile floppone di Waterworld, o quell’altrettanto deliziosa tamarrata di Doomsday; o magari uno young adult come Macchine mortali, o una serie di videogiochi come può essere Fallout. Tutte opere che parlano non tanto dell’apocalisse ma di quello che succede dopo, e che pescano a piene mani dall’immaginario milleriano: creste punk coloratissime, gente vestita con rattoppatissimi patchwork di abiti di ogni genere, quel mix tra tentazioni “medievali” e la voglia di aggrapparsi pervicacemente a una civiltà ormai collassata, ma anche macchine che montano cannoni sul cofano, bambini che si esprimono a grugniti…

Insomma: se un’opera di fantasia parte dal presupposto che la civiltà è crollata ed è stata sostituita da una post-civiltà, potete stare certi che Interceptor – Il guerriero della strada è in cima alla lista delle sue influenze. D’altra parte il film stesso nasce da forti ispirazioni esterne: i già citati Jung e Campbell, con le sue teorie sul viaggio dell’eroe e sulla struttura narrativa standard di ogni avventura, ma anche altri immancabili e intoccabili – Kurosawa (Yojimbo in particolare ispirerà in maniera evidente tutto il primo atto del terzo Mad Max, Oltre la sfera del tuono), Sergio Leone, John Ford. Ma dove questi autori avevano raccontato la parabola di uomini solitari e ai margini della società che nel perseguimento dei propri personali obiettivi riuscivano anche a trovare una redenzione più alta, Miller prende la stessa struttura e la appoggia sopra delle fondamenta narrative che prevedono che la società non esista più.

È forse il dettaglio fondamentale per capire Mad Max 2: le situazioni narrative sono familiari – nel film Max finisce per caso in mezzo a una guerra tra una banda di predoni e un gruppo di sopravvissuti che controllano l’ultima pompa di petrolio dell’Australia – ma avvengono in un mondo che sta regredendo, non progredendo. Uno dei temi classici del western, soprattutto quello moderno, è la distanza incolmabile tra l’eroe senza nome e senza casa che porta con sé morte e giustizia e il fatto che il resto del Paese sta invece facendo di tutto per civilizzarsi e formalizzare la giustizia stessa. In Interceptor questa dimensione manca, perché nell’Australia del film non esistono regole e non esiste un ordine costituito.

Per cui tutte le figure tipicamente western che popolano il film sono deformate, esagerate, trasfigurate. Il villain non è un capobanda in cerca di un bottino, o di vendetta: è un aspirante dittatore supremo, educato ed eloquente, per il quale la violenza e la tortura sono normali modalità espressive, e che si propone egli stesso come incarnazione dalla legge. Pappagallo, il capo della Tribù del Nord, non è il custode della propria terra (che ormai è desolata, inutilizzabile, inabitabile), ma sogna un futuro in cui lui e la sua gente riescono ad andarsene dalla loro prigione di sabbia per andare in cerca di un luogo migliore. Il Gyro Captain interpretato da Bruce Spence è un po’ spalla comica, un po’ parodia dell’aviatore senza macchia e senza paura della Prima Guerra Mondiale, e parla come se fosse una radio con le frequenze disturbate.

E poi ovviamente c’è Max, cavaliere solitario e silenzioso (in tutto il film apre bocca un totale di 14 volte) che, a differenza delle sue controparti interpretate da Toshiro Mifune e Clint Eastwood, è completamente privo di moralità e sentimenti, e agisce sempre ed esclusivamente per tornaconto personale – non c’è nessuna redenzione, nessun cambiamento spirituale come avviene sia in Yojimbo sia in Per un pugno di dollari. Max Rockatanski non è neanche un uomo ma un guscio vuoto (così lo descrive il voiceover iniziale), quasi non è un personaggio ma una mera funzione – perché a cosa serve cambiare, migliorare, evolvere se poi lo si fa in un mondo senza futuro?

Detto più brevemente, Interceptor – Il guerriero della strada è un film western senza speranza, un’opera alimentata a petrolio e disperazione nella quale la cosa migliore che ti può capitare è andartene altrove sperando che non faccia così schifo. Ed è quindi un film popolato di gente che fa cose strane, assurde, apparentemente senza criterio; ma anche di gente disposta a tutto pur di sopravvivere, e dotata di una particolare forma di ingegno che non può essere altro che una proprietà emergente dettata dal fatto di vivere in un deserto post-bellico. A tratti viene il sospetto che Miller e la costumista Norma Moriceau vivano davvero nella post-apocalisse, e che sappiano come fare a sopravvivere al caldo e ai predoni; il film è disseminato di dettagli e idee che sono contemporaneamente low cost e straripanti di creatività, il genere di idee che verrebbe a chi è sopravvissuto alla fine del mondo: il pullman usato come cancello dell’insediamento della Tribù del Nord, il boomerang letale, le balestre montate sull’avambraccio…

Tutte idee che abbiamo poi visto e rivisto in migliaia di altre opere. Interceptor – Il guerriero della strada è un film costato meno di cinque milioni di dollari, ma pensato e realizzato da gente che aveva in testa un’idea chiarissima di come apparirebbe il futuro se tutte le nostre peggiori previsioni dovessero avverarsi. Talmente chiara da avere influenzato chiunque sia venuto dopo: è impossibile fare narrativa post-apocalittica senza confrontarsi in qualche modo con Mad Max 2, tanto è vero che lo fa persino Fury Road. Sono passati quarant’anni da quando abbiamo conosciuto la Terra Desolata secondo George Miller, e ancora oggi fatichiamo a immaginarne una versione migliore.

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