Indiana Jones e l’ultima crociata è una conclusione perfetta
Indiana Jones e l’ultima crociata sarà anche imperfetto come si dice, ma non potrebbe chiudere meglio la trilogia
Indiana Jones e l’ultima crociata venne presentato al Festival di Venezia il 9 settembre 1989. Oggi lo trovate su Disney+
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Indiana Jones e l’ultima crociata e il protocollo Super Mario
CI sono, ne abbiamo discusso parecchio anche in passato, tanti modi per fare un sequel. Ce ne sono un po’ di meno quando si decide di creare una trilogia e arriva il momento di concluderla: rispetto a un secondo film, che può permettersi di andare in direzioni tangenziali e infilarsi in vicoli ciechi, il terzo deve chiudere tutte le parentesi, completare tutti gli archi e non lasciare nulla di irrisolto o non spiegato (a meno che non si voglia trasformare il tutto in un cineuniverso, ma nel 1989 ancora non si pensava in quei termini). Deve essere fedele alla formula, ma introdurre abbastanza novità da non sembrare un remake del primo capitolo. Deve essere tutto più grosso, ma senza saltare lo squalo.
Fino all’uscita di Indiana Jones e l’ultima crociata, l’esempio perfetto di come chiudere una trilogia era probabilmente Il ritorno dello Jedi, ma a noi piace invece pensare a un altro paragone, ovviamente azzardato e non basato su alcuna dichiarazione ufficiale, ma utile a spiegare come si faccia un terzo capitolo: quello che chiameremo il protocollo Super Mario. Se non avete familiarità con i videogiochi ve lo spieghiamo in breve. Super Mario Bros. 1 era un gioco perfetto, semplice, lineare, con meccaniche facili da assimilare e sfruttate in ogni modo possibile, diviso in livelli discreti ciascuno dei quali rappresentava una sfida autocontenuta, e progettato con una perfezione maniacale che rendeva ogni salto un ostacolo interessante ma mai insuperabile o frustrante. Super Mario Bros. 2, invece, stravolgeva la formula sperimentando in modi pazzi, conseguenza del fatto che era nato con un altro titolo al quale poi era stata appiccicata l’etichetta “Super Mario” (come capita a volte nel cinema quando si assimila in un franchise pre-esistente un film già pronto, vedete il caso di 22 Cloverfield Lane).
Il miglior trequel di sempre?
Ci sono ottime ragioni per affermare che Indiana Jones e l’ultima crociata sia un terzo capitolo anche migliore di Il ritorno dello Jedi – e con “ragioni” non intendiamo “Ewoks”. Quello è un errore imperdonabile, ma non è il punto del nostro discorso: a noi interessano questi film in quanto terzi capitoli. E L’ultima crociata è una collezione di grandi idee per un terzo capitolo. La sequenza iniziale con un giovane Indiana Jones, che ci catapulta quindi in un passato che non avevamo ancora visto; e da quello stesso passato viene pescata anche la grande novità del film, cioè il padre di Indiana Jones. La scelta di Sean Connery è ancora oggi un colpo di genio difficilmente pareggiabile, anche se è vero che i duetti tra lui e Harrison Ford arrivano a essere persino troppi, e a rallentare un po’ il solito ritmo forsennato alla Indiana Jones (ecco una delle imperfezioni di cui parlavamo).
E poi: ritorna Brody, che era un fan favorite e la cui assenza, seppur giustificata, si sentiva in Il tempio maledetto. Ritorna Sallah, che forse più di tutti è “il personaggio senza il quale non è un vero Indiana Jones”. E ritornano i nazi, dopo la deviazione etnicamente scorretta del film precedente; “è sempre bello picchiare i nazi” è una delle grandi lezioni di Indiana Jones, che qui viene messa in pratica con gran gusto. Le scene d’azione sono di più, più grosse, più spettacolari. Visto dal punto di vista di un terzo capitolo, Indiana Jones e l’ultima crociata è un manuale, un bigino, un gigantesco libretto d’istruzioni che a un certo punto Hollywood ha deciso di cestinare, con risultati tra il rivedibile e il catastrofico.
Indiana Jones e la scena finale
Non c’è niente che illustri meglio la natura di conclusione ideale di una trilogia di Indiana Jones e l’ultima crociata come il finale. E non parliamo del terzo atto, il climax, gli indovinelli nel tempio, Sean Connery che rischia di morire, il cavaliere del Graal, la morte di Elsa. Parliamo proprio della scena che chiude il film e l’arco dell’Indiana Jones migliore: lui, il padre e Sallah discutono di minuzie e frivolezze, Sallah scopre l’origine del nome del suo amico e scoppia a ridere, e Indiana Jones si allontana a cavallo verso il tramonto, come l’eroe di un western. Poi, anni dopo, si è deciso di farlo tornare sui suoi passi e lasciarsi il tramonto alle spalle per imbarcarsi in nuove avventure; ma la perfezione di quell’immagine, l’addio ideale a un personaggio indimenticabile, per fortuna rimane intatta.