Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo è davvero così terribile?
Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo è davvero uno dei sequel peggiori di sempre, oppure è arrivato il momento di rivalutarlo?
Quando la settimana scorsa abbiamo pubblicato un pezzo su Indiana Jones e l’ultima crociata che invitava con entusiasmo a riguardarlo, abbiamo ricevuto due categorie di risposte sul sito e sui social: da una parte gente che diceva “è vero, riguardatelo, è bellissimo!”, dall’altra chi invece sosteneva che “Indiana Jones è una trilogia, il quarto film non esiste”. Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo è così odiato da una fetta così ampia di fan di Spielberg e di Indy che il suo titolo viene fuori, solitamente seguito da insulti, anche quando si parla d’altro, ed è un film sul quale chiunque ha espresso la propria opinione, da Shia LaBeouf (che qui su Variety ne parla malissimo) a Harrison Ford (che crede che l’opinione di Shia lo renda “un fottuto idiota”) passando per lo stesso Spielberg – e raramente si tratta di un’opinione positiva. Oggi su Paramount Network va in onda un’intera maratona dedicata a Indiana Jones, con tutti i film in fila: un’ottima occasione per rivedere anche il criticatissimo quarto capitolo, e provare a rispondere alla domanda “è davvero così un disastro?”.
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Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo: cos’è
La risposta più breve è “sì, abbastanza”: Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo ha una valanga di problemi, che vanno dal micro- al macro- al francamente irricevibile. Formalmente è un Indiana Jones come gli altri: c’è un MacGuffin archeologico che è la chiave per svelare un grande mistero del passato, c’è un archeologo che vuole scoprire di che mistero si tratta, e c’è una superpotenza straniera che gli mette i bastoni fra le ruote perché vuole impossessarsi di detto MacGuffin. E anche visto nell’ottica del canone-Jones ha perfettamente senso: i primi tre film (il secondo è un po’ un discorso a parte, ma lo infiliamo comunque nel mucchio per comodità) sono ambientati negli anni Quaranta e usano quindi i nazisti come villain di turno, mentre Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo si svolge dieci anni dopo, e sostituisce quindi i seguaci di Hitler con quelli di Stalin, la Germania con la Russia e la Seconda guerra mondiale con la Guerra fredda.
Persino il dettaglio più criticato di tutta l’operazione acquista un senso se visto in quest’ottica. I nazisti e Hitler in particolare hanno sempre avuto una certa fascinazione, a metà tra verità storica e mitologia, per gli artefatti paleocristiani, l’esoterismo e i misteri della nostra civiltà, e infatti sia in I predatori dell’arca perduta sia in L’ultima crociata andavano in cerca di reliquie legate alla religione cattolica e delle quali si è sempre detto siano dotate di poteri straordinari. Durante la Guerra fredda, invece, sia gli Stati Uniti sia l’Unione Sovietica si interessarono alla telepatia, alla gente con poteri psichici e ad altre amenità simili. Questo articolo uscito su Scientific American lo stesso anno del film di Spielberg racconta la vicenda, ma pensate anche a un film come L’uomo che fissava le capre: l’idea di mettere questo tipo di paranormale al centro di una storia ambientata negli anni Cinquanta, e di incrociarla con un’altra grande passione dell’epoca come gli alieni (il famigerato evento di Roswell è datato 1947), è pienamente in linea con quanto visto nei tre film precedenti.
Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo: cosa funziona...
Non è l’unico dettaglio pienamente in linea con quanto visto nei tre film precedenti, anzi: uno dei difetti di Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, ma anche uno dei motivi per cui risulta così familiare e tutto sommato piacevole da guardare, è che ogni elemento della trama riprende e remixa in qualche modo personaggi e situazioni già viste negli altri film. Mac (Ray Winstone) è un mix tra Sallah e Belloq, e si assume quindi il doppio ruolo di amico e nemesi di Indy; Charles (Jim Broadbent, purtroppo sottosfruttatissimo) è Marcus, e Marion, be’, è Marion. Ci sono tombe da esplorare con una torcia in mano piene di ossa e ragnatele, c’è una scena con una valanga di insetti disgustosi e ferocissimi, le sequenze animate con l’aereo che si sposta sulla mappa del mondo...
È tutto molto familiare, anche troppo, ed è chiaro che Spielberg non aveva granché voglia di impegnarsi per il film: dove può si affida alle cose che sa già che funzionano, e per il resto si lascia trascinare dalle intuizioni e dalle invenzioni di George Lucas, che è, insieme al povero David Koepp, il principale responsabile dei problemi di Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo. Ci sono parecchie scene che tutto sommato funzionano ed emozionano perché sono costruite su trent’anni di storia del personaggio: la reunion tra Indy e Marion, per esempio, e i successivi battibecchi sono molto più vitali di metà delle sequenze d’azione, e provocano ancora oggi un sorriso pieno d’affetto per questi due personaggi che tante soddisfazioni ci regalarono al tempo, quando ancora erano giovani e scattanti. Le cose migliori del quarto Indiana Jones, insomma, sono tali per un mix di nostalgia, rispetto, abitudine, affetto per gli attori e anche aspettative talmente istintive che vanno a un passo dalla madeleine: sfidiamo chiunque, anche chi odia questo film con la forza di mille soli, a non provare un brivido quando la sagoma di Indiana Jones compare in controluce e indossa il suo cappello, o quando Harrison Ford fa schioccare la frusta per la prima volta. C’è una frase di George Lucas pronunciata in un’intervista a Variety che spiega alla perfezione quello che intendiamo: «Il dettaglio più spaventoso di questo film è che sembra girato tre anni dopo L’ultima crociata. [...] E credo che la gente ne rimarrà entusiasta. È come tornare a sedersi sulla tua vecchia sedia comodissima e pensare “ehi, è proprio come allora”».
... e cosa proprio non va
E proprio grazie a questa frase siamo passati senza che ve ne accorgeste a parlare dei problemi del film. Che, è vero, per molti versi sembra girato vent’anni fa – persino la fotografia di Janusz Kamiński è copiata, parole sue, da quella di Douglas Slocombe. Però, però. Però, per esempio, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo è stato girato interamente negli Stati Uniti, nonostante la storia porti Indiana Jones e compagnia in giro per il mondo; e quindi tutti i paesaggi, le location, le tombe polverose, i templi antichissimi, le giungle e le cascate... è (quasi) tutto stato ricostruito in CGI, o ricreato a partire da materiale girato in loco tra Brasile e Argentina e utilizzato in studio per ricreare le location – alla fine circa il 30% del film è CGI, e anche molti effetti pratici, gli stunt prima di tutto, sono stati “aumentati” grazie alla tecnologia.
Il risultato è una certa, passateci il termine improprio, “plasticosità”, una sensazione di artificialità che permea soprattutto le sequenze più spettacolari; anche perché Harrison Ford nel 2008 non aveva più il fisico per risultare credibile in certe situazioni, ma Spielberg e Lucas se ne sono fregati e l’hanno anzi piazzato al centro di scene ancora più assurde di quelle dei tre film precedenti. Non che Indiana Jones abbia mai brillato per realismo, ma era più facile sospendere l’incredulità con l’Harrison Ford del 1981 che con quello del 2008. Per cui il punto non è tanto che la scena del frigorifero è ridicola – un po’ lo è, ma Spielberg si prende la briga di inquadrare l’etichetta interna dell’elettrodomestico dove c’è scritto che è foderato di piombo, a dimostrazione del fatto che ci ha pensato e che ci teneva a giustificarsi –, anche perché nel corso del film succede anche di peggio (Shia LaBeouf e le scimmie, la caduta dalla tripla cascata) e c’erano momenti altrettanto assurdi nei tre film precedenti. Il problema è rifarli come se non fossero passati trent’anni, e come se i gusti del pubblico (e quello a cui era abituato in termini di possibilità offerte dal digitale) non fossero cambiati radicalmente nel frattempo; quando uscì, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo chiedeva di accettare una serie di scelte creative che nel 2008 non avevano più senso e risultavano solo ridicole, e gli anni (o i chilometri) non hanno migliorato la sua posizione.
Altre cose che proprio non vanno, e che sarebbero risultate pessime anche se fossero uscite nel 1984: Cate Blanchett con l’accento russo, innanzitutto, fuori ruolo, fuori posto, distrattissima, recita come se stesse facendo un favore a Spielberg e a noi, e riesce a dare vita al villain con meno personalità della storia di Indiana Jones, spin-off televisivi compresi. Shia LaBeouf, ovviamente: gli anni ci (e gli) hanno dimostrato che questo cinema non è il suo, che ha bisogno di altri contesti e di altre storie per esprimersi al meglio, e in Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo è ancora più fuori posto di Cate Blanchett; purtroppo non basta fare il cosplay di James Dean per caratterizzare un personaggio, ed è un peccato che nessuno gliel’abbia detto al tempo. E poi, be’, c’è quel finale: Cate Blanchett che si scioglie, i tredici alieni (scusate, “esseri interdimensionali”) che si fondono ed evocano il disco volante, l’antico tempio che si trasforma in un portale... Certo, forse vi aspettavate una qualche forma di critica, un’argomentazione un po’ più approfondita di così, ma preferiamo far parlare le immagini.
Chiudiamo dunque rispondendo alla domanda che dà il titolo al pezzo: sì. Purtroppo sì. Speriamo nel quinto.