L’incredibile Hulk è la sliding door dell'MCU

L’incredibile Hulk è il secondo film del Marvel Cinematic Universe e quello che ne ha indirettamente segnato il destino

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L’incredibile Hulk va in onda su Italia Uno questa sera alle 21:20

Cominciamo il pezzo con un’avvertenza: non ci interessa, o comunque ci interessa relativamente, parlare di L’incredibile Hulk di Louis Leterrier da un punto di vista qualitativo. Già quando uscì nel 2008 venne sepolto da critiche, e il suo risultato al botteghino venne considerato accettabile solo perché il precedente Hulk era andato ancora peggio e perché un mese prima Iron Man aveva incassato anche per lui. È ovviamente un film con dei difetti, che con il senno di poi sono forse meno gravi di quanto ci fossero sembrati al tempo; ed è anche un film che dimostra gli anni che ha, prima di tutto da un punto di vista tecnico. Ma a noi interessa un’altra cosa: e cioè il fatto che furono proprio quei due mesi, tra l’uscita di Iron Man a maggio e quella di L’incredibile Hulk a giugno, a determinare il destino del Marvel Cinematic Universe, e quindi di riflesso quello di una buona fetta della cultura pop degli ultimi quindici anni.

Pur essendo ancora lontano dal perfezionamento della formula che arriverà probabilmente con il primo Avengers, Iron Man è un film che mostra già molte delle caratteristiche comuni a più o meno tutti i film del Marvel Cinematic Universe, prima di tutto in termini di alternanza tra azione spettacolare e ironia pungente e post-moderna – botte e battutine, in pratica. Provate invece a riguardare i titoli di testa di L’incredibile Hulk, che in tre minuti riassumono tutta la backstory che serve per capire il film e che ricordano da vicino certe cose fatte da Zack Snyder:

È solo l’inizio di un film che, per toni e ritmi, è molto distante da tutti quelli che sarebbero venuti dopo. La scelta di riassumere quello che altrove sarebbe stato il primo atto in una singola sequenza iniziale lascia spazio a una caratterizzazione del personaggio di Bruce Banner proiettata più al passato, ai supereroi tormentati e cupi la cui ascesa era culminata proprio quell’anno con Il cavaliere oscuro, che al futuro epico e colorato che ci ha portato invece a Endgame (e a Thor: Ragnarok). Il Banner di Edward Norton è un eremita, un mostro di Frankenstein fuggito dai suoi creatori e che vede il suo superpotere come una malattia da guarire, non un’opportunità da sfruttare.

Vive da solo nella favela di Rocinha, in Brasile, studia tecniche di meditazione per provare a bloccare la sua trasformazione, è costretto a sopportare le angherie e anche le violenze dei colleghi per non rischiare di svelarsi per quello che davvero è (un po’ come Superman in Man of Steel). E Louis Leterrier ci racconta tutto questo senza risparmiarsi sullo squallore, e mostrandoci un supereroe al suo minimo storico (e che nel corso del film non farà grandi passi avanti, tutto sommato). Persino i cattivi di turno, soprattutto l’Abomination di Tim Roth, sono mossi da motivazioni egoistiche e meschine: creare un’arma biologica potentissima, o semplicemente dimostrare di essere il più grosso e il più cattivo dei mutanti.

Da un lato, dunque, nel mese di maggio 2008 uscì un film di supereroi con un protagonista carismatico, con la battuta sempre pronta e che affronta la vita con l’arroganza di chi sa che ne uscirà vincitore. Dall’altro, nel mese di giugno ne uscì uno con un protagonista depresso e isolato, schiavo dei suoi poteri e che anelava solo a una vita normale. Il primo, costato 140 milioni di dollari, ne incassò quasi 600. Il secondo, costato altrettanto, ne incassò 260. Lì Marvel si fermò due anni, fece due calcoli, e nel giro di altri due anni, tra il 2010 e il 2011, buttò fuori Iron Man 2, che era una versione esagerata del primo, e Thor, che ci presentava un dio del tuono con un insospettabile lato comico.

Captain America: The First Avenger è l’unico della Fase Uno che mantiene ancora un tono relativamente sobrio, prima di quell’orgia che è (ancora oggi!) il primo Avengers. E poi cominciò la Fase Due, arrivarono anche I Guardiani della Galassia e, be’, sapete com’è oggi la situazione. Siamo convinti che, se i numeri che abbiamo citato sopra fossero stati invertiti, oggi questo pezzo sarebbe completamente diverso. Se L’incredibile Hulk avesse avuto più successo di Iron Man, Tony Stark non avrebbe avuto bisogno di arrivare al terzo capitolo della sua personale trilogia per avere i primi veri turbamenti esistenziali, né probabilmente i Guardiani sarebbero stati affidati a uno come James Gunn.

Non è difficile vedere oggi, con il senno di poi, l’accoppiata L’incredibile Hulk/Iron Man come un doppio test di mercato, un modo per dare al pubblico due possibili versioni del futuro del Marvel Cinematic Universe per scoprire quale sia la più apprezzata, e adattare quindi le strategie aziendali di conseguenza. Ovviamente non è mai così semplice, perché Hulk ebbe problemi che andavano al di là del suo valore, dalle bizze di Edward Norton (che non ha mai apprezzato la sceneggiatura né il montaggio finale, e che si è in questo modo chiamato fuori da ogni possibilità di riprendere il personaggio in un sequel) ai brutti ricordi lasciati dal film di Ang Lee, passando per la clamorosa sfiga di avere come concorrente un film che è un manuale di istruzioni su come si azzecca un protagonista (e si fanno i miliardi).

Resta il fatto che, visti oggi, i due film rappresentano due strade molto diverse per far crescere l’MCU, e che il pubblico ha scelto quella del miliardario playboy filantropo e non quella dello scienziato depresso e solitario.

Da qualche parte nel multiverso è andata al contrario, e chissà com’è la loro versione di Avengers: Endgame.

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