In True Detective il due è il numero che regola la lotta eterna tra bene e male
True Detective racconta lo stretto rapporto tra il bene e il male, le sfumature della giustizia attraverso la contrapposizione di due estremi
L’altra dicotomia che aleggia su tutta la serie è quella tra la realtà concreta, spesso terribile e quella mistica-rivelatrice. E per capirlo prenderemo come esempio le prime due (appunto) stagioni.
Il meccanismo è ancora più forte nella prima stagione, dal pronunciato stampo lovecraftiano. Che potenza quel mix tra un noir convenzionale e il mistero soprannaturale dell’ignoto! Il sogno è quasi tangente all’universo lynchiano. Sia in True Detective che in Twin Peaks lo stato di assenza della coscienza è in realtà accesso alla ricchezza percettiva. All’intuizione che mostra un’altra faccia della medaglia. Lo stato di veglia è un momento in cui si raccolgono ispirazioni, segnali cosmici di Dei indifferenti al fato umano.
Due trame che si svolgono in un’America spezzata in due. La Louisiana della prima stagione è un luogo dimenticato, paludoso e primordiale. Il progresso e la ragione comunicate dalle grandi città sono ben lontane, qui ci sono legami di sangue, vige la superstizione e l’abbassamento agli istinti. Nick Pizzolatto nel seguito scrive invece la California mettendola in contrasto con il suo lato oscuro della nuova corsa all'oro. Ovvero ciò che accade sotto gli occhi di tutti: il radicato sistema criminale che governa lo sviluppo del territorio. Il racconto è aggrovigliato proprio come le strade della metropoli. Le vite dei personaggi rifiutano la semplicità lineare, ma si contorcono nella propria incapacità di pace.
La vita personale si mischia con quella lavorativa. Non c’è divisione tra le due parti della giornata che si fondono come il giorno e la notte. I famigliari, se ce ne sono, subiscono le conseguenze dell’immersione nell’oscurità che i detective devono affrontare. Sono armati solo di flebili torce per portare in salvo non le vittime, ma la verità.
C’è una forte opposizione anche tra le due stagioni della serie antologica. Radicalmente opposte per temi, portata e generi di appartenenza (la seconda è un poliziesco più tradizionale, la prima un noir gotico sudista). Persino nel metodo produttivo lo sceneggiatore Pizzolatto ha tracciato una linea di demarcazione indelebile.
True Detective aveva infatti segnato una pietra miliare nella serialità televisiva per la compattezza narrativa che era riuscita a ottenere. Di pregevole fattura non era solo la scrittura dello sceneggiatore, ma anche la regia di Cary Joji Fukunaga. Prima di allora pressoché sconosciuto la sua fu la rivelazione di un talento inaspettata e potentissima!
Il piano sequenza interminabile e complessissimo fu una delle note più forti della tv dei quegli anni. La consacrazione di un’epoca d’oro della serialità.
Fukunaga ha diretto tutti gli episodi della prima stagione, Pizzolatto li ha scritti tutti. Questo ha dato una compattezza cinematografica alla storia e una coerenza interna rara prima di allora nelle storie a episodi.
Per prendere l’eredità, nel seguito venne convocato un dream team di registi, che faticò però a trovare la giusta amalgama tra le varie puntate.
Ma i nomi fanno comunque impressione: Justin Lin, venuto direttamente dalla grande Hollywood della saga di Fast and Furious; Janus Metz Pedersen nome poco noto, ma autore del bellissimo Borg vs McEnroe; John Crowley reduce dai buoni sentimenti di Brooklyn; Jeremy Podeswa e Miguel Sapochnik, registi di alcuni degli episodi più belli de Il trono di spade; e il veterano Dan Attias che ha diretto episodi dei Soprano, True Blood, e Six Feet Under (tra le molte cose).
Fu questa una scelta spiazzante per molti, ma ripensandola oggi fu anche la più sensata e l’unica strada percorribile per dividere il peso di un prodotto che portava con sé aspettative pari ad un nuovo avvento del messia televisivo.
E infine, l’ultima grande dualità che ha segnato True Detective in tutta la sua durata, è la presenza di due protagonisti. Due interpretazioni della giustizia spesso opposte ma sempre comunicanti. Angeli e demoni, poliziotti buoni e poliziotti cattivi. Rust e Martin non possono essere più diversi, eppure funzionano solo in coppia, si alimentano a vicenda e si curano le rispettive paranoie. Il detective Ray Velcoro di Colin Farrell cammina sulle “sottili linee rosse”, attraversa il mondo del bene e della criminalità. Pizzolatto affianca Antigone (un nome che parla), la Ani Bezzerides di Rachel McAdams. Anche nella terza stagione nessuno è solo: Wayne Hays (Mahershala Ali) e Roland West (Stephen Dorff) sono entrambi al lavoro su un caso sospeso tra il tempo e i ricordi.
È questo che lega tutte le stagioni della serie: il doppio. Perché True Detective è infatti come una medaglia che, per sua fattura, possiede sempre due facce che si toccano.
Ed è per questo che, immergendosi nelle immagini, quel “true” (veri) del titolo suona sempre di più come un “two” (due). Servono due detective, per una giustizia complessa.
Le prime due stagioni di True Detective sono disponibili in streaming su NOW.