In memoria di Franco Zeffirelli
Tra culto della bellezza ed eccessi melodrammatici, Franco Zeffirelli ha tracciato un percorso altalenante nei risultati, ma sempre coerente
Due estremi diametralmente opposti, per spirito e messinscena: nulla, dell'esordio cinematografico di Zeffirelli, poteva far presagire la sontuosità barocca che ne sarebbe seguita. Prese ben presto le distanze dai toni scanzonati di Camping, il giovane regista nato scenografo riversò la propria radicata esperienza teatrale - maturata al fianco del compagno Luchino Visconti - nei suoi omaggi a Shakespeare (La Bisbetica Domata, Romeo e Giulietta, Amleto), alla grande lirica (Otello, Cavalleria Rusticana, Pagliacci, La Traviata), alla fede cattolica mai abbandonata (Fratello Sole Sorella Luna, Gesù di Nazareth) e ai classici della letteratura (Storia di una capinera, Jane Eyre). Seppur con risultati alterni, i suoi adattamenti traghettarono un buon numero di spettatori verso lidi culturali che, altrimenti, non avrebbero mai sfiorato, attraverso un viaggio divulgativo d'incrollabile costanza. Inserendo capisaldi della narrativa mondiale in ambientazioni impeccabili, Zeffirelli ha però indulto talvolta nella comodità delle grandi storie che aveva scelto di portare sullo schermo, appiattendone i colori più vivaci attraverso una lente da romanzo popolare non sempre motivata.
Non abbiamo taciuto sulle cadute di stile, e il motivo non è certo legato a un'astiosa pignoleria: ciò che ci spinge a non tralasciare le falle dell'opera di Zeffirelli è proprio il fatto che, a dispetto di manierismi e mielosità, il cineasta fiorentino si stagli comunque a buon diritto tra i grandi nomi del Novecento cinematografico italiano, unico vero erede dell'estetica - sebbene non della poetica - viscontiana. Nessuno - a parte forse Francesco Rosi, che da Visconti mutuò lo sguardo feroce sulla società - raccolse efficacemente il testimone del grande regista milanese, ma Zeffirelli osò proseguire sul cammino visuale tracciato dal maestro e amante, pur adattando la sua eredità al proprio gusto e alla propria sensibilità: ecco dunque la tagliente spietatezza viscontiana assumere tinte più tenui sotto la mano di Zeffirelli, dando vita a un universo sentimentale più dolce e consolatorio, che ricusa asperità e voglie disturbanti in favore di un costante, talvolta frenetico anelito alla bellezza pura.