In memoria di Franco Zeffirelli

Tra culto della bellezza ed eccessi melodrammatici, Franco Zeffirelli ha tracciato un percorso altalenante nei risultati, ma sempre coerente

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Quando muore un artista, è tradizione ormai consolidata encomiarne i pregi e stendere un velo di discreta circospezione circa i difetti della sua opera. Sarebbe semplice applicare questa tacita legge anche a Franco Zeffirelli, che si è spento all'età di 96 anni dopo aver coperto più di mezzo secolo cinematografico italiano con i suoi film, ricoprendo peraltro una parallela posizione di spicco nel nostrano panorama teatrale. Si potrebbe facilmente sorvolare sui manierismi accentuatisi negli anni fino a prendere il totale sopravvento sulla sostanza narrativa, o sulla fatale attrazione per i toni più melodrammatici dei suoi film, più volte spinti sull'orlo di un sentimentalismo teatrale fin troppo melenso. Molti sono quelli che la critica ha definito passi falsi tra l'esordio del '57 con Camping, basato su un soggetto di Paolo Ferrari e Nino Manfredi, e l'ultimo Omaggio a Roma, cortometraggio del 2009 che vedeva gli emblemi d'italianità da cartolina Andrea Bocelli e Monica Bellucci nei panni di Mario Cavaradossi e Floria Tosca in una rilettura breve dell'opera pucciniana.

Due estremi diametralmente opposti, per spirito e messinscena: nulla, dell'esordio cinematografico di Zeffirelli, poteva far presagire la sontuosità barocca che ne sarebbe seguita. Prese ben presto le distanze dai toni scanzonati di Camping, il giovane regista nato scenografo riversò la propria radicata esperienza teatrale - maturata al fianco del compagno Luchino Visconti - nei suoi omaggi a Shakespeare (La Bisbetica Domata, Romeo e GiuliettaAmleto), alla grande lirica (OtelloCavalleria RusticanaPagliacciLa Traviata), alla fede cattolica mai abbandonata (Fratello Sole Sorella LunaGesù di Nazareth) e ai classici della letteratura (Storia di una capinera, Jane Eyre). Seppur con risultati alterni, i suoi adattamenti traghettarono un buon numero di spettatori verso lidi culturali che, altrimenti, non avrebbero mai sfiorato, attraverso un viaggio divulgativo d'incrollabile costanza. Inserendo capisaldi della narrativa mondiale in ambientazioni impeccabili, Zeffirelli ha però indulto talvolta nella comodità delle grandi storie che aveva scelto di portare sullo schermo, appiattendone i colori più vivaci attraverso una lente da romanzo popolare non sempre motivata.

Franco Zeffirelli

Non abbiamo taciuto sulle cadute di stile, e il motivo non è certo legato a un'astiosa pignoleria: ciò che ci spinge a non tralasciare le falle dell'opera di Zeffirelli è proprio il fatto che, a dispetto di manierismi e mielosità, il cineasta fiorentino si stagli comunque a buon diritto tra i grandi nomi del Novecento cinematografico italiano, unico vero erede dell'estetica - sebbene non della poetica - viscontiana. Nessuno - a parte forse Francesco Rosi, che da Visconti mutuò lo sguardo feroce sulla società - raccolse efficacemente il testimone del grande regista milanese, ma Zeffirelli osò proseguire sul cammino visuale tracciato dal maestro e amante, pur adattando la sua eredità al proprio gusto e alla propria sensibilità: ecco dunque la tagliente spietatezza viscontiana assumere tinte più tenui sotto la mano di Zeffirelli, dando vita a un universo sentimentale più dolce e consolatorio, che ricusa asperità e voglie disturbanti in favore di un costante, talvolta frenetico anelito alla bellezza pura.

Perché sì, Zeffirelli più d'ogni altra cosa ha amato e omaggiato la bellezza - celebrata anche quando ferita attraverso l'urlo di dolore del documentario Per Firenze, all'indomani dell'alluvione del '66 - attraversando a passo sicuro decenni che marciavano in senso contrario a quello in cui lui s'ostinava a proseguire. Si potrà continuare per molti anni ancora a cavillare sul moralismo stantio e sugli eccessi estetizzanti della sua opera, ma non gli si potrà mai negare il coraggio di una coerenza rarissima e controcorrente, nel segno di una poetica personale forse zuccherosa, forse ridondante, ma mai rinnegata per piacere a un pubblico più ampio. In questo senso, i fallimenti di Zeffirelli valgono tanto quanto i suoi trionfi, testimoniando la perenne fedeltà a se stesso di un arbiter elegantiarum fuori dal coro e al di sopra del tempo.

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