Il sole a mezzanotte – Midnight Sun è scoraggiante
Il sole a mezzanotte – Midnight Sun fa di tutto per farsi amare, e in questo modo riesce a risultare antipatico in ogni singolo fotogramma
Midnight Sun è il titolo di un romanzo di Stephenie Meyer, una rilettura del primo Twilight vista però dagli occhi di Batman Edward Cullen e non da quelli di Bella Swan. Il libro è stato pubblicato nel 2020 ed è stato accolto con frizzi, lazzi e pernacchie, descritto come “troppo scritto e troppo poco editato” quando non come “ridicolmente pessimo”. In questo modo, Midnight Sun è riuscito nell’impresa di diventare la peggior opera di finzione intitolata “Midnight Sun”, superando in classifica la precedente capolista, cioè Il sole a mezzanotte – Midnight Sun di Scott Speer – un film che quando uscì in sala nel 2018 venne distribuito insieme a una fornitura di Scottex (non è uno scherzo: in molti cinema americani vennero davvero distribuiti pacchetti di fazzoletti prima della visione), un dettaglio che da solo dovrebbe dirvi tutto quello che c’è da sapere a riguardo.
È la stessa malattia della quale soffrono i figli di Nicole Kidman in The Others, ma soprattutto è una malattia che colpisce in media una persona su 100.000 – cifra che in Giappone diventa però 1 su 22.000, contro l’1 su 250.000 degli Stati Uniti e 1 su 430.000 dell’Europa (se ve lo state chiedendo, il Paese messo peggio è l’India, dove colpisce una persona su 370). Il Midnight Sun giapponese, dunque, parlava di un problema che, per quanto raro, è sufficientemente presente nella vita degli adolescenti locali. La semplice scelta di trasportarlo in America, dove la condizione è molto meno diffusa, lo depotenzia almeno in parte: l’idea sarebbe quella di provocare identificazione e di parlare a una particolare fetta di pubblico (chi soffre di XP e le persone che stanno loro intorno), ma la frequenza del fenomeno nel luogo di riferimento è talmente bassa che la malattia di Katie diventa solo una generica “condizione”, quasi una curiosità – e soprattutto il genere di malattia sulla quale si può ricamare, poetare e fantasticare.
Ma va bene così, è un film, non la realtà: l’associazione delle persone malate di Xeroderma pigmentosum potrebbe lamentarsi della scarsa fedeltà con cui è stata rappresentata la loro condizione e avrebbe anche ragione, ma nel mondo della finzione è permesso tutto, anche remixare una malattia mantenendone solo gli aspetti più drammatici e romanzabili e nascondendo il resto. Il problema è che questa scelta di ritagliare la realtà a misura di romance non si limita alla malattia di Katie, ma permea un intero film che più che essere pensato per le giovani generazioni d’oggi sembra guardare con nostalgia (e con un centesimo del talento, ovviamente) ai film di John Hughes, a Love Story e a tutta quella genìa di drammoni romantici alla Autumn in New York nei quali una delle due metà della coppia è condannata a morte dal primo minuto.
Così, oppure il luogo in cui vivono Katie e Charlie (Patrick Schwarzenegger, che per ora è sostanzialmente una versione con meno talento del padre periodo Conan il barbaro) esiste ed è una sorta di bolla temporale nascosta in qualche luogo idilliaco e sconosciuto d’America. Un luogo dove una ragazza può passare la notte da sola sui gradini della stazione (nella quale arrivano solo treni a vapore) a suonare la sua chitarra, un luogo dove il bello-e-scemo della scuola (la cui unica speranza di andare al college stava in una borsa di studio per meriti atletici saltata a causa di un brutto infortunio) è anche un tenerone sensibile che odia le feste affollate e le cheer leader strafighe ma un po’ stronze che gli sbavano attorno e preferisce dedicare il suo tempo libero alla misteriosa ragazza della stazione. Un luogo dove Rob Riggle riesce contemporaneamente a essere il padre iperprotettivo richiesto dalla trama, e il padre compagnone supersimpatico e giovane dentro che ci viene naturale associare alla sua faccia.
C’è una scena in particolare che ci ha colpito e che segnala quanto la sceneggiatura di Il sole a mezzanotte sia poco più che un retropensiero appiccicato sopra alle parole “Bella Thorne e Patrick Schwarzenegger”. Katie, costretta a vivere da reclusa fin da piccola a causa della sua condizione, chiede al padre se per quella sera può rimandare di un’ora il suo coprifuoco, perché ha il primo appuntamento romantico della sua vita. Il padre (rigorosamente single) ci rimane male, perché sperava di passare la serata con la figlia a mangiare cibo cinese e guardare film romantici. Katie gli promette che la sera dopo si rifaranno, e lei gli dedicherà tutta la sua attenzione. Il padre, che è un cool dad, acconsente, ma quando Katie esce di casa la macchina da presa indugia qualche secondo sui suoi occhi tristi, nei quali si legge l’epifania più terribile per un genitore: sto cominciando a perderla.
La sera dopo Katie chiede ancora al padre di uscire, e lui, che si è completamente dimenticato della promessa della nottata precedente, acconsente con entusiasmo.
È questo il livello di sciatteria con cui Eric Kirsten ha approcciato la scrittura di questo remake, e con cui Scott Speer (uno la cui carriera è cominciata con i video musicali per Paris Hilton, è proseguita con Step Up Revolution e Midnight Sun ed è arrivata infine alla scrittura di una trilogia di romanzi sci-fantasy young adult e alla regia di un cortometraggio a tema esorcismi) affronta tutta la vicenda. Non c’è un singolo snodo narrativo che non si sia già visto altrove e fatto meglio, e l’unico discorso realmente interessante portato avanti sull’XP (Katie non vuole rivelare la sua condizione a Charlie perché vuole essere vista come una ragazza e non come una malattia che cammina) viene ripetuto talmente tante volte senza alcuna variazione che alla fine porta allo sfinimento.
Eppure pensate: nonostante tutto questo, Midnight Sun, il romanzo di Stephenie Meyer, è peggio!