Il sol dell’avvenire è un film di Nanni Moretti sui film di Nanni Moretti

Il sol dell'avvenire chiude la prima parte della filmografia di Nanni Moretti con uno stile che non si pensava di poter più vedere

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Il sol dell’avvenire è una capsula del tempo che riporta al 1998. L’anno in cui tutto cambiò per Nanni Moretti. Con Aprile si chiudeva la prima fase del suo cinema. Quella di un autore militante che attraverso la macchina da presa guardava in faccia lo spettatore e gli sottoponeva le proprie idiosincrasie, gli odi e le passioni. Un cinema pieno di piccoli nemici che solo i suoi personaggi (le tipiche maschere morettiane) sapevano individuare. Minuscole storture del mondo che, agli occhi di Michele Apicella e compagnia, apparivano enormi segnalatori di un declino.

Nel 2001 La stanza del figlio aprì per lui, tra gli applausi di tutti, una via al cinema più tradizionale. Soggetti con uno sviluppo lineare, una trama facilmente descrivibile. Moretti continuò per questa direzione. Lui, che faceva un cinema personale dalla scrittura alla regia, provò anche l’adattamento da un’opera letteraria. Serviva probabilmente lo shock di Tre Piani (opera poco riuscita tratta dal toccante romanzo di Eshkol Nevo) a innescare il ritorno al passato de Il sol dell’avvenire.  

Sin dalla sequenza di apertura in cui il titolo viene dipinto a mano su un muro, il film ha il prezioso sapore di passato, di un’opera rimasta nel cassetto per anni e ritrovata solo oggi. Ed è una sensazione bellissima che non ci si immaginava di poter più provare. Perché Il sol dell’avvenire è una grande macedonia di tutte le più grandi trovate dell’autore messe insieme come in un medley finale. Un saluto fatto apposta per lo spettatore come ammette lui stesso - non troppo esplicitamente - in una scena. Il fan service interpretato da Moretti.

Tutto questo sarebbe stato solo un fastidioso gioco autoreferenziale (anche se il cinema di Moretti è narcisista, e lo si ama per questo), se non avesse avuto una buonissima storia a tenerlo insieme. 

Alla ricerca del proprio posto nel mondo

Ennio è a capo di una piccola sezione del Partito Comunista nel quartiere romano del Quarticciolo. Siamo nel 1956, in città è arrivato il circo Budavari da Budapest. Mentre si festeggia l’arrivo della luce elettrica, le prime televisioni comunicano l’invasione dell’armata sovietica in Ungheria. Che fare? Dissociarsi e dare solidarietà ai circensi o seguire la linea del partito?

Stop, grida Giovanni (abbreviato Nanni), il regista protagonista del film. Il suo anacronistico film in costume è una produzione scalcagnata. Gli attori vanno per conto loro, i giovani collaboratori sono completamente ignari dei fatti. Solo l’autore ha a cuore il dilemma politico che potrebbe segnare il futuro della sinistra. 

Tra un ciak e l’altro Giovanni sogna le sue origini. Si identifica nei giovani protagonisti di un film musicale che desidera girare dopo questo (un po’ come il musical dentro Aprile). Un ragazzo e una ragazza, innamorati, guardano Fellini al cinema. Dietro di loro l’anziano regista suggerisce i gesti e le parole. 

Questa immagine di un uomo che parla al simbolo di sé nel passato, fa da collante alle due storie, il film nel film, e le inquietudini di colui che lo sta girando. Gianni è un vecchio burbero che oramai sa di esserlo e un po’ se ne dispiace. Ha fallito. 

Voleva sistemare il mondo una cosa alla volta, a partire dalle parole, che sono importanti. Ora invece canta “sono solo parole”, un po’ rassegnato. Eppure succede una cosa: alla fine di quella sequenza lui chiama un nuovo ciak, azione. Ed è uno sguardo pieno di energia, di godimento nel fare cinema.

Nanni Moretti si sente fuori posto. La violenza è interpretata dai giovani registi come semplice intrattenimento. Lui si oppone, prende in ostaggio un set per otto ore, ma poi deve capitolare. Gli algoritmi scrivono i film. I dirigenti di Netflix parlano come automi. 

Dove si è chiuso lo spazio per gli autori, sono subentrate le formule magiche per conquistare i pubblici di 190 paesi. Però poi apparecchia una tavola, e un film, fatto di tante cinematografie diverse. Ci sono francesi, polacchi, coreani, ungheresi e anche gli italiani ovviamente. Nanni Moretti si guarda intorno. Fuori dalle piattaforme c’è ancora spazio. Esiste un mondo più grande a cui appartenere.

Il sol dell’avvenire è fan service con sostanza

Questa riflessione sul proprio posto è così importante perché Nanni Moretti si è giocato tutto. Questo non è un commiato, un testamento, dice nelle interviste. Eppure l’impressione è che per un attimo sia stato pensato così. Poi, con una mossa tarantiniana, ha deciso che la sua storia si può fare anche con i “se”. 

In questo film che viene da un tempo passato, l’intellettuale fuori dal tempo sceglie di restare nella sua minoranza. Vuole ancora marciare, a modo suo e verso la meta che deciderà lui, insieme a tutti i suoi personaggi. 

Grazie a questa immagine di enorme potenza, il gioco all’autocitazione assume un senso ben più grande del semplice omaggio. È un’autoanalisi e insieme un aggiornamento, un adeguamento dei “tormentoni cult” al tempo presente. 

L’effetto è pazzesco. Invece che diminuire la potenza ripetendo qualcosa di già visto, i pezzi forti si aggiornano. Durante il colloquio con Netflix, dopo la richiesta di un “turning point” o un momento “what the fuck”, basta un contro campo su Moretti per far ridere. Si ripensa alle reazioni di fronte alle parole vuote in Palombella Rossa e si attende lo stesso esito.

Invece qualcosa cambia. Di poco ma cambia. Ci sono sempre i rituali con la coperta di Sogni d’oro. Però lo scooter di Caro Diario è diventato un monopattino elettrico. Nel 1994 gli serviva una canna per sopportare l’elezione di Berlusconi, oggi è arrivato agli psicofarmaci. Ama ancora palleggiare come ne La messa è finita. Per il nuoto invece è passato troppo tempo, il film ambientato nelle piscine andava fatto da giovane!

Quando ha bisogno invoca la madre (ritratta in Mia madre), e continua a cantare in macchina per caricarsi contagiando chi ha intorno. Nanni Moretti è più buono ma ha ancora bisogno di nemici. Qui li trova nei sabot, dopo le pantofole di Palombella Rossa. In Netflix, ma un tempo erano le videocassette e la tv spazzatura, e soprattutto nella violenza. Dopo la visione di Henry, pioggia di sangue in Caro Diario se la prendeva con il critico che ne aveva scritto bene. Ne Il sol dell’avvenire si cita Breve film sull’uccidere di Krzysztof Kieślowski in una sequenza che omaggia Io e Annie. Alla fine, tutto è parte dello stesso discorso. 

Un film che guarda indietro per convincersi ad andare avanti.

L’MCU, il Moretti Cinematic Universe, chiude qui la sua prima fase, dopo aver già aperto la seconda ad inizio millennio. Torna indietro a consultare ancora tutte le sue maschere e tutti i suoi personaggi e scopre, un po’ stupendosi di questo, la loro stringente attualità. 

Il sol dell’avvenire è così un film di speranza e di accettazione del tempo che passa. Gli anni, come un setaccio tolgono ciò che non ha valore e fanno rimanere l’essenziale. Le scene brutte non fanno bene a nessuno. Quelle belle invece vanno protette e interrogate di tanto in tanto, mettendole a confronto con il tempo presente. Nanni Moretti è tornato e ci saluta nell’ultima inquadratura, perché ha deciso di restare e di continuare a marciare con i suoi personaggi. A modo suo.

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