Il silenzio degli innocenti compie trent’anni, festeggiamo a fave e Chianti

Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme compie trent’anni: riflessioni su un film che cambiò molte regole del gioco

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Il giorno di San Valentino del 1991 dev’essere stato strano per milioni di coppie innamorate negli Stati Uniti: il 14 febbraio di quell’anno uscì infatti Il silenzio degli innocenti, un film che in qualche modo parla anche di amore e attrazione, solo non nel modo a cui penserebbero due piccioncini durante un’uscita romantica (speriamo). In Italia il film di Jonathan Demme arrivò poco dopo, il 5 marzo, esattamente trent’anni fa oggi: educati e signorili come il dottor Lecter, cominciano dunque il pezzo facendo gli auguri a un capolavoro che in una singola passata si portò a casa gli Oscar come Miglior film, Miglior regia, Miglior attore protagonista, Migliore attrice protagonista e Miglior sceneggiatura non originale, e che secondo l’American Film Institute è il quinto thriller migliore di sempre, dietro solo a Psyco, Lo squalo, L’esorcista e Intrigo internazionale.

Il silenzio degli innocenti Begins

Basato sul romanzo omonimo del 1988 scritto da Thomas Harris, Il silenzio degli innocenti non è, come a volte si legge in giro, il film che ha fatto conoscere al mondo il personaggio di Hannibal Lecter, rinomato psichiatra nonché serial killer cannibale; il primato va a Michael Mann e al suo Manhunter, uscito cinque anni prima del film di Demme, nel quale Brian Cox interpretava per la prima volta al cinema Lecter, che nel film fu ribattezzato Lecktor per motivi non meglio precisati. In Manhunter compariva anche, interpretato da Dennis Farina, il personaggio di Jack Crawford, capo della Behavioral Science Unit, la divisione dell’FBI che venne formata negli anni Settanta per far fronte all’esplosione in America dei casi di violenza e omicidi a sfondo sessuale.

In altre parole Manhunter preparava in qualche modo il terreno per Il silenzio degli innocenti e la vera celebrazione di Hannibal Lecter, o l’avrebbe fatto se non fosse stato un tremendo flop al botteghino: come raccontato nel 2001 dal Guardian, l’insuccesso del film di Mann portò il produttore Dino De Laurentiis a disinteressarsi del progetto dell’adattamento di un altro romanzo di Harris, Il silenzio degli innocenti appunto, e a concedere gratuitamente i diritti di sfruttamento del personaggio a Orion Pictures. In altre parole il film di Jonathan Demme nacque quasi per caso, o per fortuna, e il progetto era considerato un rischio finanziario gigantesco – per quanto calcolato; non sarebbe neanche dovuto essere “il film di Jonathan Demme”, in origine: la regia e il ruolo di Crawford sarebbero dovuti andare a Gene Hackman. Il quale abbandonò la nave quasi subito, lasciando il film senza un regista e ancora senza un cast.

Hannibal Lecter

Il silenzio degli innocenti: Rise of the Anthony Hopkins

Se il progetto riuscì ad andare avanti è solo per un motivo banalissimo: il romanzo di Thomas Harris è magnifico, e un po’ di gente lo lesse e decise che voleva salire a bordo. Andò così con Jonathan Demme, che tre anni prima aveva diretto la commedia mafiosa Una vedova allegra... ma non troppo e che quando lesse Il silenzio degli innocenti (sia il libro sia lo script) decise che sarebbe stato il suo prossimo progetto. E andò così con Jodie Foster, che però venne respinta proprio da Demme, come ha ammesso lui stesso qualche anno fa: il regista avrebbe voluto Michelle Pfeiffer, o Meg Ryan, o Laura Dern, e alla fine si arrese a Foster (peraltro fresca di Oscar per Sotto accusa) solo dietro insistenza dell’attrice e della produzione.

Sul resto del cast non c’è molto da dire, mentre vale la pena discutere di quello che, ammettiamolo senza problemi, è il motivo principale per cui Il silenzio degli innocenti è passato alla storia. Hannibal Lecter avrebbe dovuto avere il volto di Sean Connery, e fu solo il suo rifiuto a portare a bordo Anthony Hopkins. Che nel film compare forse per dieci/quindici minuti, condivide lo schermo con Jodie Foster tre o quattro volte al massimo e non è neanche il vero villain di turno, eppure è diventato il simbolo del film nonché il primo serial killer della storia del cinema a venire ritratto come una persona elegante, raffinata, intelligente, di classe – il contrario del classico mostro sanguinario da film slasher, e il vero inizio di una lunga tradizione che ha reso il “film di/sui serial killer” un sottogenere a sé stante, che domina incontrastato il grande e soprattutto il piccolo schermo da ormai trent’anni. Se parliamo di impatto, di prima impressione, di immagini marchiate a fuoco nell’inconscio collettivo, non c’è dubbio che Il silenzio degli innocenti sia tutto riassunto negli occhi da genio sanguinario e nei modi da serial killer gentiluomo di Anthony Hopkins.

Il silenzio degli innocenti Anthony Hopkins

Oltre al cannibale c’è di più

La prepotenza scenica di Hopkins è tale che Il silenzio degli innocenti è, di fatto, due film in uno. Quello dedicato al serial killer cannibale è breve, ficcante e si conclude con un cliffhanger clamoroso che spianò la strada ai vari Hannibal, Red Dragon e, ahinoi, Hannibal Rising. Lecter è in prigione per ragioni che vengono sì spiegate a sufficienza da farci capire di che razza di persona stiamo parlando, ma che rimangono abbastanza in superficie da lasciare ampi spazi all’immaginazione – e quello che sappiamo è sufficiente a riempirli con immagini terrificanti. La sua parabola (da psichiatra a serial killer a prigioniero a uomo libero) si incrocia quasi casualmente con quella di Clarice Starling, studentessa dell’FBI che comincia a farsi le ossa sotto la guida del già citato Jack Crawford (che qui è Scott Glenn) e viene subito gettata nella tana del lupo: c’è un serial killer in circolazione, Buffalo Bill, che rapisce ragazze giovani, le tiene prigioniere per qualche giorno, poi le ammazza, le scuoia e si libera del cadavere, e Crawford vuole che Starling entri in contatto con Lecter per farsi aiutare da lui – in quanto esperto del tema – a identificare e catturare Bill.

Nasce così una breve ma intensa collaborazione professionale tra i due, che si risolve in un paio di scene nelle quali Hopkins e Foster sono separati da un vetro e giocano a provocarsi a vicenda e a stuzzicarsi intellettualmente. Perché la meraviglia di Il silenzio degli innocenti è che, seppure in presenza di un personaggio gigantesco come Hannibal Lecter, il resto del film riesce a non farsi cannibalizzare. Il grosso del film, addirittura: Jodie Foster e il suo clamoroso accento della West Virginia dominano la scena tanto quanto Hopkins (se non di più, banalmente perché Clarice Starling è quasi sempre in scena), e molti dei discorsi portati avanti dal film non hanno nulla a che fare con il cannibale e la sua evasione e tutto a che fare con il personaggio della psichiatra dell’FBI. Ne abbiamo già parlato abbondantemente qui, ma vi basta rivedere la scena in cui Starling e Crawford scoprono per la prima volta una falena infilata nella gola di una delle vittime per capire di cosa stiamo parlando: Jodie Foster al centro dell’inquadratura, circondata da maschi che la guardano con un misto di desiderio e di fastidio per la presenza di una donna nel loro territorio. Clarice Starling è una donna in un mondo di uomini, e viene sottoposta di continuo ad attenzioni sgradevoli – dal direttore dell’ospedale psichiatrico dove è tenuto Lecter, dai pazienti dello stesso ospedale, da chiunque tranne che da Hannibal the Cannibal, in sostanza. Il personaggio di Jodie Foster si muove in un mondo che le è ostile per principio, e curiosamente il mostro di turno (uno dei due, almeno) è l’unico che sembra estraneo allo zeitgeist.

Jodie Foster

Il problema di Louis Friend

Non ci vuole una laurea in psicologia per capire che Il silenzio degli innocenti è un film che parla anche e soprattutto di sesso, inteso come genere e come atto, e riesce a farlo senza mostrare realmente nulla se non gli effetti del desiderio negli occhi di chi ne è schiavo. Gente più esperta di noi parlerebbe di psicanalisi, di Freud e di rape culture, che senza farsi troppo notare è uno dei temi portanti del film; Il silenzio degli innocenti è un thriller che approccia sia la violenza sia la sessualità con glacialità e distacco, analiticamente più che emotivamente. Con l’eccezione dell’altro serial killer, quello che in teoria dovrebbe essere il “mostro” del film, quello ancora attivo e che Clarice Starling deve riuscire a catturare. Qui entriamo in territorio SPOILER per cui se per qualche motivo non avete mai visto il film smettete pure di leggere, ma il problema con Jame Gumb è lo stesso che, in misura minore, affliggeva anche Basic Instinct: l’equivalenza diretta tra comportamento sessuale non conforme e malvagità.

Basic Instinct aveva suscitato polemiche perché la killer del film era una lesbica accecata dalla gelosia. Il serial killer di Il silenzio degli innocenti, invece, è transessuale, o per lo meno è una persona che rifiuta la propria identità di genere e per costruirsene un’altra ammazza e fa a pezzi ragazze innocenti. Le falene, uno dei segni distintivi dei suoi omicidi, rappresentano il cambiamento, la transizione, come viene spiegato nel film; e questa transizione, questo cambio d’identità di genere, coincide con la perdita della ragione e la trasformazione in un assassino seriale. Questa cosa al tempo non piacque, ovviamente, anche se a rileggerle oggi le critiche ci sembrano poco centrate (ci si lamentava del fatto che Gumb è omosessuale, quando il film non esplicita mai il suo orientamento); ma nel 1991 a Hollywood c’erano in generale pochissimi personaggi omosessuali, o trans, o comunque non eteronormativi, e vedersi all’improvviso rappresentati in un film da 300 milioni di incasso come dei mostri assetati di sangue non dev’essere stato il massimo.

A dirla tutta il film prova a giustificarsi o a salvarsi in corner: Gumb si era visto negato un cambio di sesso perché secondo chi l’aveva visitato non era realmente transessuale, e secondo Demme “Bill era solo un uomo tormentato che si odiava e che voleva diventare donna per diventare la cosa più lontana da sé stesso possibile”. Ma non c’è dubbio che, a rivederla oggi, la scena in cui Gumb si trasforma è parecchio esplicita nel suo tracciare un parallelo tra la transizione di genere e i suoi istinti omicidi. A dirla tutta non crediamo si tratti di un attacco o di una scelta del tutto consapevole: ripetiamo che stiamo parlando di un film del 1991, e lo stesso Demme ha ammesso che le proteste seguite al film gli hanno fatto aprire gli occhi e “realizzare che ci sono veramente troppo pochi personaggi positivi nei film che siano anche gay”. C’è poi un’ultima considerazione a riguardo: è vero che Buffalo Bill è un personaggio problematico, ma è anche vero che il 99% dei personaggi maschili eterosessuali del film lo sono altrettanto, e forse ancora di più visto che la loro perversione (perché fare battute a sfondo sessuale all’unica donna presente in un contesto lavorativo è senza dubbio una perversione) è accettata e istituzionalizzata. Vedetela così: in Il silenzo degli innocenti è tutto il mondo che fa schifo, è tutto il mondo a essere un posto pericoloso e pieno di predatori, soprattutto se sei una donna. Non è un’idea rassicurante, ma chi l’ha detto che i capolavori devono esserlo?

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