Il Signore degli Anelli: la Compagnia dell'Anello, la rivoluzione della scena finale

L'inquadratura finale di La compagnia dell'anello firmava il blockbuster d'autore e apriva ad un mondo di narrazione seriale nuovo

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Il signore degli anelli: la compagnia dell'anello usciva il 18 gennaio di 20 anni fa nei cinema italiani

Recentemente il finale di Dune di Denis Villeneuve ha mostrato il protagonista Paul Atreides e una parte del popolo dei Fremen mentre scavallano una duna. È la maniera in cui il film chiude la prima parte dicendo chiaramente al pubblico (come se non fosse chiaro dal resto del film o dalla dicitura “parte 1”) che questa storia si ferma in media res e continuerà esattamente da dove è stata interrotta nel film successivo. È una convenzione visiva: vediamo i personaggi arrivare ad un punto del loro viaggio da cui è possibile vedere molto altro, ciò che li aspetta, e li vediamo incamminarsi, intraprendere quel percorso, ma tutto finisce lì. Hanno superato delle avversità (il promontorio) e ora inizia una nuova parte del percorso con nuovi orizzonti. Quella convenzione di linguaggio visivo è stata cristallizzata da Il Signore degli Anelli: la compagnia dell’anello 20 anni fa, il primo grande film mainstream a finire senza finire. Non era certo il primo film di una serie che vedevamo (anzi) ma era il primo che non chiudeva nulla e si dichiarava incompleto senza gli altri. Era il primo, in buona sostanza, a concepirsi non come un film all’interno di una trilogia ma come un episodio di una serie.

Per fare un paragone nello stesso anno arrivava nelle sale Harry Potter e la pietra filosofale, primo film di una saga anche più lunga de Il Signore degli Anelli ma in cui ogni capitolo (quindi libro, quindi film) chiude una storia, lasciando solo in sospeso la trama orizzontale più grande. A confronto quella di Harry Potter è una strategia e un’idea di serialità cinematografica molto più tradizionale. Certo entrambe sono figlie dei loro romanzi. La compagnia dell’anello termina la sua ultima pagina in quella maniera e i romanzi di Harry Potter sono autoconclusivi. Ma guardando le loro versioni per il cinema è anche chiaro che sono frutto di due sforzi produttivi completamente diversi. Harry Potter è una serie di film cresciuta “organicamente”, di successo in successo. Il Signore degli Anelli, una trilogia girata tutta insieme, una follia che ha potuto permettersi un approccio (e quindi un finale) fedele e, all’epoca, folle per il cinema.

la compagnia dell'anello boromir

Si dice spesso che quel che è avvenuto tra televisione e cinema a fine anni ‘90 e inizio 2000 ha creato l’era dei franchise. Da un lato la narrazione seriale per la tv che diventa adulta, dall’altra la narrazione blockbuster del cinema che diventa episodica e finalizzata sempre e comunque al “world building”. Meno invece si dice che se dovessimo prendere un momento che cambia tutto, un segno filmico che fa da spartiacque, il gesto audace e che sconvolge e rimane memorabile, è quel finale di La compagnia dell’anello che non chiude niente e per la prima volta dice al pubblico che un film dal budget gigante non finisce, scommettendo sul fatto (per nulla scontato all’epoca) che tutti aspetteranno un altro anno per seguire la trama e che tra un anno ricorderanno dove eravamo rimasti (aiutati da un riassuntino).

Quel finale, in sé, era un gesto cinematografico purissimo di sovversione degli equilibri all’interno di un film che, tra le mille cose che diceva, c’era anche il fatto che anche un regista dalla grande visione poteva divertirsi con il racconto seriale, che la costruzione di un universo non era solo prerogativa di Guerre stellari, ma che era possibile immaginare un tipo di sfruttamento differente attraverso forme di film differenti. Era il franchise d’autore, qualcosa che ha cambiato tutto ma che poi è rimasto un esperimento quasi solitario. Perché in realtà il modello che ha attecchito davvero è stato l’altro, quello di Harry Potter e dei franchise eterogenei, in cui l’autorialità dei singoli è svilita per dare più peso al mondo creato. Ogni regista è importante ma nessuno è indispensabile perché nessuno è più importante dei personaggi, l’unica vera risorsa dello studio.

https://www.youtube.com/watch?v=6GA5AtPl5EY

Così visioni differenti (per stile, tono, fotografia, montaggio e interpretazione) possono essere parte di un’unica grande storia. Per intenderci è il modello Marvel o quello Fast & Furious. O ancora Jumanji, Jurassic World ecc. ecc. sono figli molto più di Harry Potter, mentre in pochissimi hanno scelto la strada del franchise con visione unica come i Batman di Nolan (che comunque sono storie che chiudono il loro arco all’interno dei singoli film) e per l’appunto il Dune di Denis Villeneuve, narrazione ancora più audace perché il secondo film era ancora da cominciare quando il primo ha chiuso con quella citazione a La compagnia dell’anello.

Continua a leggere su BadTaste