Il Signore degli Anelli: la Compagnia dell'Anello, Sam e il viaggio della vita | Un film in una scena

La Compagnia dell'Anello parla di un villaggio chiuso al mondo e di due giovani che trovano la vita e l'amicizia rischiandola nel viaggio

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C’è una scena marginale ne Il Signore degli Anelli: La Compagnia dell’Anello che colpisce ad ogni visione. È un momento che, strato dopo strato, anno dopo anno, si sposta sempre di più al centro del film. 20 anni dopo, quel breve istante è diventato il cuore che tiene insieme e infonde energia al primo capitolo della trilogia di Peter Jackson. Sono pochi secondi di sospensione dell’avventura fiabesca, proprio mentre stava per partire a mille. Come se i personaggi stessi avessero implorato il regista di aspettare. Di concedergli ancora un respiro di infanzia, prima di entrare in un cammino che li farà incontrare con la durezza della realtà e della guerra.

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Siamo ai confini della Contea. I Nazgul sono a caccia degli Hobbit e ombre di guerra si stagliano minacciose sulla loro terra, mai toccata dai fatti del mondo. I due amici, Frodo e Sam, attraversano i caseggiati, salutano i luoghi ben conosciuti. Stanno partendo per un’avventura che li eccita e li spaventa anche un po’. Sono giovani Hobbit, finalmente pronti a vedere le terre oltre la città, e non più ad immaginarsele nei racconti di Bilbo. Arrivato al confine tra i campi coltivati e la brulla vegetazione Sam si ferma.

A Frodo occorrono un paio di secondi per rendersi conto che il compagno è rimasto indietro. “Ci siamo” dice Sam con il volto teso. Dietro di lui uno spaventapasseri sgualcito con le braccia aperte segna le due direzioni: la Contea e il resto del mondo. “Se faccio ancora un passo non sarò mai stato così lontano da casa mia” continua lo Hobbit. Frodo si gira e si avvicina a lui. “Forza, Sam!” Risponde, mentre l’inquadratura si fa più ampia. I due sono piccolissimi nel paesaggio sconfinato. Le colline all’orizzonte e la strada senza fine suggeriscono un viaggio interminabile. Ma l’amico si avvicina, non lo prende per mano, non lo trascina. Semplicemente lo aspetta. E quando riesce a completare il passo più lungo che egli abbia mai fatto, gli batte la mano sulla spalla. Stanno diventando adulti. Stanno uscendo di casa per il viaggio della vita.

La compagnia dell'anello

La Compagnia dell’Anello parla di questo. Di un villaggio chiuso, in cui ogni straniero che entra (Gandalf) è guardato con sospetto in quanto portatore di guai. La Contea è un luogo in cui la vita scorre tranquilla, tra lavoro, feste e tradizioni. Inattaccata dal male, protetta dalle intemperie delle grandi società. Un luogo bucolico, certo, ma anche una prigione dorata. Non si è mai giovani lì dentro, e non si invecchia mai veramente. Si esiste e basta, senza far male a nessuno e cercando la massima tranquillità.

Frodo e Sam invece hanno dentro la curiosità giovanile, e quindi la vita vera. Sbagliano ingenuamente, hanno i piedi grandi adatti per camminare, ma non sanno come usarli per intraprendere la strada giusta. “È pericoloso uscire dalla porta, ti metti in strada e se non dirigi bene i piedi non si sa dove puoi finire spazzato via” dice sempre Bilbo.

Peter Jackson sa che i luoghi de Il Signore degli Anelli vivono di vita propria. Le torri di Gondor sono descritte come una dama splendente di una bellezza divina, i suoni dei boschi sono una culla che ripara o labirinti in cui perdersi. Le persone sono espressione del posto in cui crescono. L’architettura degli elfi ricorda i loro volti. Le miniere dei nani sono una paradossale ricerca di altezza in profondità. Mordor è tetro, spigoloso, solo le pietre o esseri senz’anima possono viverci.

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La Compagnia dell’Anello si regge su questo: l’andare. Ogni confine superato è un tassello in più della scoperta di sé. Si viaggia leggeri (come dice alla fine Aragorn), ma non da soli. La parabola degli Hobbit nel primo film è proprio questa: affrontare la strada in due. Poi in quattro. Poi in nove. Perdersi e ritrovarsi.

Poco prima del Concilio di Elrond, Frodo crede di avere completato la sua missione. È pronto a ritornare a casa. È quasi la presenza di Bilbo a ricordargli la Contea, gli prende la nostalgia di ritrovare le mura confortevoli e ben conosciute. Quest’ultimo è invecchiato a causa della distanza dall’Anello, certo, ma nel simbolismo del film appare anche come una conseguenza del viaggio. Il tempo ha ricominciato a scorrere, e la vita forse si fa più breve, ma le montagne ritrovate, i ruscelli d’acqua e le cascate, i vecchi amici di un tempo danno, valore a questi giorni.

Quando il viaggio si fa più arduo, è meglio affrontarlo con degli alleati. Si forma così la compagnia dell’anello, fatta di persone unite dal comune proposito di distruggere l’oggetto che corrompe, ma anche amici che vogliono portare il fardello con Frodo, sapendo che per lui solo è troppo pesante. 

Il signore degli anelli la compagnia dell'anello

Ci sono strade che si vogliono prendere e altre che si desidera evitare, ma che sono spesso inevitabili. Come quando Gandalf si toglie il peso di decidere se passare tra le miniere di Moria e affida la scelta a colui che porta l’Anello. Gandalf conosceva il suo destino? O forse voleva solo risparmiare a Gimli il dolore di dover attraversare quel cimitero dei suoi cari. Nonostante questo lo stregone accetta controvoglia il passaggio obbligato. Nel frattempo il gruppo prende con sé un altro viaggiatore. Una figura nell’ombra che li osserva da lontano “da tre giorni”: Gollum. 

Il cammino della vita è così: non è mai lineare, alcuni seguono, altri ancora si uniscono lungo il viaggio. Gli alleati tradiscono, e gli esseri più reietti e infimi possono ancora avere una parte da protagonisti nel grande disegno. Quando la compagnia dell’anello inizia a sgretolarsi, Frodo sa che dovrà continuare il viaggio da solo. Prendersi per la prima volta la piena responsabilità del destino di molti sulle piccole spalle da Hobbit.

Esita infatti sul finale. Sta fermo tenendo in mano l’anello che l’ha portato a vedere il mondo e a scrivere la propria storia, ma che l’ha anche allontanato da tutti. Vorrebbe liberarsene e gettarlo nell’acqua, ma il peso di quel gesto lo immobilizza.

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Mentre la compagnia dell’anello lotta per la sua vita, Frodo si allontana da solo in barca. Un amico, il vero amico, corre verso di lui. È Samvise Gamgee, colui che per tutto il viaggio è stato dietro, più lento, a coprire le spalle. Ora è disposto a buttarsi in acqua senza sapere nuotare. Frodo non guarda l’amico fedele, sa che girandosi e guardandolo desidererebbe la sua compagnia. Lo coinvolgerebbe così in un viaggio verso la morte certa. Però lo vuole con sé, è tentato. Si volta e non lo vede più: Sam è sott’acqua che affoga. Dalla superficie arriva una mano che lo tira su e lo salva.

In un film dove le mani continuano a volere, a desiderare, a prendere e rubare, gli Hobbit hanno mani che salvano e che si tendono in aiuto. Il resto del gruppo non può più proseguire. Ma può ancora aiutare gli Hobbit dalla distanza. Restando fedeli gli uni con gli altri e spianando la strada ai due piccoli eroi. La via si divide, il viaggio è diverso, ma la meta è ancora la stessa.

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